mercoledì 9 marzo 2011

Uno Stato membro può, a talune condizioni, vietare la trasmissione in esclusiva dell’insieme degli incontri del campionato del mondo e d’Europa di calcio su una televisione a pagamento, al fine di assicurare la possibilità per il proprio pubblico di seguire questi eventi su una televisione ad accesso libero

Uno Stato membro può, a talune condizioni, vietare la trasmissione in esclusiva dell’insieme degli incontri del campionato del mondo e d’Europa di calcio su una televisione a pagamento, al fine di assicurare la possibilità per il proprio pubblico di seguire questi eventi su una televisione ad accesso libero
Allorché queste competizioni sono, nella loro integralità, di particolare rilevanza per la società, questa restrizione della libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento è giustificata dal diritto all’informazione e dalla necessità di assicurare un ampio accesso del pubblico alle trasmissioni televisive di questi eventi
La direttiva relativa all’esercizio di attività di trasmissione televisiva 1 consente agli Stati membri di vietare la trasmissione in esclusiva degli eventi che essi ritengono di particolare rilevanza per la loro società, allorché tale trasmissione priverebbe una parte considerevole del pubblico della possibilità di seguire tali eventi su una televisione ad accesso libero.
La Fédération internationale de football association (FIFA) organizza la fase finale della Coppa del mondo di calcio (la Coppa del mondo) e l’Union des associations européennes de footaball (UEFA) organizza il campionato d’Europa di calcio (l’EURO). La vendita dei diritti di trasmissione televisiva di queste competizioni costituisce una fonte rilevante dei loro introiti.
Il Belgio e il Regno Unito hanno compilato ciascuno un elenco degli eventi considerati di particolare rilevanza per la loro rispettiva società. Questi elenchi contenevano, in particolare per il Belgio, tutti gli incontri della fase finale della Coppa del mondo e, per il Regno Unito, l’insieme degli incontri della fase finale della Coppa del mondo e dell’EURO. Questi elenchi sono stati inviati alla Commissione, la quale ha deciso che erano compatibili con il diritto dell’Unione.
La FIFA e l’UEFA hanno tuttavia impugnato queste decisioni dinanzi al Tribunale contestando il fatto che tutti questi incontri potessero costituire eventi di particolare rilevanza per il pubblico di questi Stati.
Con la sentenza in data odierna, il Tribunale esamina talune particolarità che si collegano all’organizzazione della Coppa del mondo e dell’EURO nonché il loro impatto sulla trasmissione televisiva di queste competizioni. Successivamente, esso indica le norme dell’Unione e degli Stati membri relative alla trasmissione di questi eventi sportivi. Infine, il Tribunale affronta la questione se i diritti di trasmissione televisiva del campionato del mondo e d’Europa che possiedono la FIFA e l’UEFA possano essere limitati sulla base di un motivo imperativo di interesse pubblico.
Il Tribunale ritiene innanzitutto che il riferimento alla Coppa del mondo e all’EURO contenuto nel considerando 18 della direttiva 97/36 comporta che, allorché uno Stato membro inserisce incontri di queste competizioni nell’elenco che ha redatto, non è tenuto ad indicare nella sua comunicazione alla Commissione una specifica motivazione inerente al loro carattere di eventi di particolare rilevanza per la società. Tuttavia, l’eventuale conclusione della Commissione, nel senso che l’inserimento della Coppa del mondo e dell’EURO nella loro integralità in un elenco di eventi di particolare rilevanza per la società di uno Stato membro è compatibile con il diritto dell’Unione, in quanto tali competizioni sono, per le loro caratteristiche, considerate come eventi unici, può essere rimessa in discussione in base ad elementi specifici che dimostrino che gli incontri «non prime» della Coppa del mondo o «non gala» dell’EURO 2 non rivestono una tale importanza per la società di tale Stato.
Il Tribunale precisa in proposito che gli incontri «prime» e gli incontri «gala» nonché, per quanto riguarda l’EURO gli incontri che coinvolgono una squadra nazionale sono di particolare rilevanza per il pubblico di un determinato Stato membro e possono quindi essere inseriti in un elenco nazionale che comprende gli eventi che questo pubblico deve poter seguire su una televisione ad accesso libero.
Per quanto riguarda gli altri incontri della Coppa del mondo e dell’EURO il Tribunale rileva che queste competizioni possono essere considerate come eventi unici e non come serie di singoli eventi suddivisi in incontri «prime» e «non prime» o in incontri «gala» e «non gala». Così, ad esempio, i risultati degli incontri «non prime» e «non gala» possono avere un’incidenza sulla partecipazione delle squadre agli incontri «prime» e «gala», cosa che può suscitare presso il pubblico un interesse particolare a seguirli.
Il Tribunale rileva quindi che non si può determinare in anticipo – al momento della compilazione degli elenchi nazionali o dell’acquisizione dei diritti di trasmissione – quali incontri saranno veramente decisivi per le fasi successive di queste competizioni o avranno un’incidenza sulla sorte di una determinata squadra nazionale. Per tale motivo, il Tribunale ritiene che il fatto che taluni incontri «non prime» o «non gala» possano influire sulla partecipazione agli incontri «prime» o «gala» può giustificare la decisione di uno Stato membro di considerare che l’insieme degli incontri di queste competizioni rivestono una particolare rilevanza per la società.
Per quanto riguarda gli elementi statistici fatti valere dalle ricorrenti al fine di dimostrare che gli incontri «non prime» o «non gala» non sono di particolare rilevanza per la società belga e per la società del Regno Unito, il Tribunale constata che i dati di ascolto relativi a queste categorie di incontri negli ultimi campionati del mondo e d’Europa dimostrano che questi hanno attirato un numero rilevante di telespettatori, di cui una parte considerevole non è normalmente interessata al calcio.
Inoltre, il Tribunale constata l'assenza di armonizzazione nell’Unione degli eventi specifici che gli Stati membri possono considerare di particolare rilevanza per la società. Pertanto, in ordine all’iscrizione degli incontri della Coppa del mondo e dell’EURO in un elenco nazionale, diversi approcci possono essere parimenti compatibili con la direttiva. È quindi possibile che taluni Stati membri ritengano che solo gli incontri «prime», «gala» e, per quanto riguarda l’EURO, quelli che coinvolgono la/le squadra(e) nazionale(i) siano di particolare rilevanza per la società, mentre altri ritengono validamente che gli incontri «non prime» e «non gala» debbano anch’essi figurare nell’elenco nazionale.
Il Tribunale constata inoltre che anche se la qualificazione della Coppa del mondo e dell’EURO come «evento di particolare rilevanza per la società» può incidere sul prezzo che la FIFA e l’UEFA otterranno per la concessione dei diritti di trasmissione di queste competizioni, essa non azzera il valore commerciale di tali diritti, poiché non obbliga queste due organizzazioni a cederli a qualunque condizione. Inoltre, benché una tale qualificazione limiti la libertà di prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento, tale restrizione è giustificata in quanto mira a tutelare il diritto all’informazione e ad assicurare un ampio accesso del pubblico alla trasmissione televisiva di eventi di particolare rilevanza per la società.
Infine, il Tribunale rileva che la normativa del Regno Unito non conferisce diritti speciali o esclusivi a talune emittenti. Per queste ragioni, il Tribunale statuisce che la Commissione non ha commesso alcun errore ritenendo che la qualificazione da parte del Regno Unito dell’insieme degli incontri della Coppa del mondo e dell’EURO e da parte del Belgio di tutti gli incontri della Coppa del mondo come «eventi di particolare rilevanza» per la loro società è compatibile con il diritto dell’Unione. Di conseguenza, i ricorsi della FIFA e dell’UEFA sono respinti.

La Formula One Licensing non può impedire la registrazione di un marchio comunitario contenente le parole «F 1 Live»

La Formula One Licensing non può impedire la registrazione di un marchio comunitario contenente le parole «F 1 Live»
Non sussiste rischio di confusione tra il marchio richiesto ed i marchi della Formula One Licensing, a causa della tenue somiglianza tra i marchi e del carattere descrittivo attribuito dal pubblico all’abbreviazione F 1
Nell’aprile 2004, la Racing-Live SAS ha presentato all’UAMI (l’Ufficio dei marchi comunitari) una domanda di registrazione di marchio comunitario per il seguente segno figurativo, per prodotti e servizi relativi al settore della formula 1, vale a dire riviste, libri, pubblicazioni, prenotazione di posti per spettacoli e organizzazione di concorsi su Internet:
Tuttavia, la Formula One Licensing BV si è opposta a tale domanda. L’opposizione si fondava sull’esistenza di un marchio denominativo internazionale e di due marchi denominativi nazionali «F1», nonché del seguente marchio comunitario figurativo, utilizzato come logo:
Nell’ottobre 2008, l’UAMI ha respinto l’opposizione rilevando che non vi era rischio di confusione tra il marchio richiesto e quelli di cui la Formula One Licensing è titolare, dato che i segni in conflitto presentavano differenze manifeste. Inoltre, l’UAMI ha ritenuto che il pubblico di riferimento percepisse la combinazione della lettera «f» e della cifra «1» come l’indicazione generica di una categoria di automobili da competizione e, per estensione, di corse a cui prendono parte simili automobili. L’UAMI ha altresì dichiarato che solamente il marchio comunitario costituito dal logo F1 era un marchio notorio e che pochi consumatori attribuirebbero carattere distintivo all’abbreviazione «F1», a meno che essa non sia accompagnata dal suddetto logo.
La Formula One Licensing ha chiesto al Tribunale di annullare tale decisione dell’UAMI.
Nella sua odierna sentenza, il Tribunale respinge il ricorso e conferma la decisione dell’UAMI.
Il Tribunale osserva che l’UAMI ha correttamente operato una distinzione tra il segno F1 come vocabolo ed il segno «F1» come logo e conclude che il pubblico percepirebbe il logo come il marchio utilizzato dalla Formula One Licensing in relazione alle sue attività commerciali, mentre l’espressione «F1» sarebbe percepita dal pubblico come l’indicazione comune di una categoria di automobili da competizione e delle corse a cui prendono parte simili automobili. A tale riguardo, il Tribunale rileva che la promozione fatta dalla Formula One Licensing negli ultimi dieci anni riguarda unicamente il logo «F1» e che essa, nel concedere licenze, ha messo l’accento su tale logo, imponendo rigide regole sul suo utilizzo affinché il pubblico percepisca in modo costante il logo «F1» e non altre versioni di tale segno. Tuttavia, essa non ha imposto regole in merito all’uso di altre versioni del segno «F1» e quest’ultimo è sempre utilizzato dalla Formula One Licensing in combinazione con il logo.
Pertanto, l’UAMI ha correttamente dichiarato che l’indicazione «F1», in veste tipografica ordinaria, possedeva solamente un tenue carattere distintivo rispetto ai prodotti e servizi contraddistinti e che l’eventuale notorietà del marchio comunitario figurativo utilizzato nell’Unione era essenzialmente legata al logo stesso. Di conseguenza, l’argomento della Formula One Licensing secondo cui «F1» possiede carattere distintivo particolarmente elevato, nonché quello secondo cui l’indicazione «F1», in veste tipografica standard, gode di una notorietà pari a quella del logo, devono essere respinti in quanto infondati.
Il Tribunale ritiene che il grado di somiglianza tra i marchi denominativi «F1» della Formula One Licensing ed il marchio figurativo richiesto, che contiene, in aggiunta, il termine «live», sia debole.
Ne consegue che non sussiste rischio di confusione tra i marchi denominativi «F1» ed il marchio figurativo richiesto, dato che i consumatori non collegheranno l’elemento «F1» contenuto nel marchio richiesto alla Formula One Licensing, poiché il solo segno che hanno imparato ad associare a quest’ultima è il logo, mentre l’indicazione «F1» in veste tipografica ordinaria sarà da loro considerata come descrittiva.
Quanto al marchio comunitario figurativo – vale a dire il logo «F1» – il Tribunale conclude parimenti che non sussiste rischio di confusione tra i marchi, dal momento che non vi è alcuna somiglianza tra i marchi di cui trattasi sul piano visivo e che, sui piani fonetico e concettuale, la somiglianza è solamente limitata.
Il Tribunale aggiunge che il senso generico attribuito al segno «F1» dal pubblico garantisce che quest’ultimo comprenderà che il marchio richiesto riguarda la formula 1. Nondimeno, a causa dell’aspetto completamente differente, detto pubblico non stabilirà alcun nesso con le attività della Formula One Licensing.

Secondo l’avvocato generale Pedro Cruz Villalón gli Stati membri possono adottare misure volte a sanzionare, nelle aree urbane situate in prossimità degli aeroporti, il superamento dei livelli massimi delle emissioni acustiche misurate al suolo

Secondo l’avvocato generale Pedro Cruz Villalón gli Stati membri possono adottare misure volte a sanzionare, nelle aree urbane situate in prossimità degli aeroporti, il superamento dei livelli massimi delle emissioni acustiche misurate al suolo
Infatti, la tutela dei diritti fondamentali - in particolare, del diritto fondamentale alla vita privata, familiare e al domicilio, e del diritto alla tutela dell’ambiente - giustificano l’adozione di tali misure
La direttiva 2002/301, che è volta a contrastare l’inquinamento acustico negli aeroporti dell’Unione, disciplina l’adozione e gli effetti delle cosiddette «restrizioni operative». Nel determinare i presupposti per l’adozione di tali restrizioni operative, la direttiva rimanda al superamento di determinati livelli massimi di rumore misurati alla fonte (vale a dire presso l’aeromobile stesso) e non al suolo.
L’aeroporto di Bruxelles-National è ubicato nel territorio della regione delle Fiandre, ma le rotte ivi operate sorvolano anche la regione di Bruxelles-Capitale ad una quota molto bassa. Il 27 maggio 1999 il consiglio della Regione di Bruxelles-Capitale ha adottato un regime che fissa i valori acustici massimi per il passaggio di aeromobili sulla Regione. Tale regime stabilisce in particolare i valori acustici oltre i quali il passaggio di un aeromobile può essere sanzionato con un’ammenda, stabilita in funzione di diversi criteri. Tra questi ultimi si deve segnalare il livello di rumore in decibel nel luogo di destinazione, e non alla fonte.
La European Air Transport (EAT) è una compagnia aerea del gruppo DHL che effettua un servizio di trasporto di merci con origine, destinazione e scalo all’aeroporto di Bruxelles-National.
Il 19 ottobre 2007, l’Institut Bruxellois de Gestion de l’Environnement, organismo regionale competente per il controllo della normativa ambientale, ha irrogato alla EAT una sanzione amministrativa di EUR 56 113, per violazione della normativa regionale del 27 maggio 1999. In particolare è stata contestata alla EAT l’emissione dai suoi aeromobili, in orario notturno, di rumori che eccedono i valori stabiliti dalla suddetta normativa. La EAT ha impugnato tale decisione, sostenendo che la normativa regionale sulla quale si fondano le contestazioni delle infrazioni ad essa mosse è illegittima, in quanto utilizza quale criterio di misurazione del rumore i livelli di emissioni acustiche al suolo, e non alla fonte.
Il Conseil d’État (Belgio), che dovrà risolvere la controversia, ha quindi deciso di proporre alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale chiedendole di pronunciarsi sulla compatibilità con la direttiva 2002/30 della normativa della Regione di Bruxelles-Capitale che sanziona l’inquinamento acustico provocato dagli aeromobili che utilizzano l’aeroporto di Bruxelles-National.
Nelle sue conclusioni presentate in data odierna, l’avvocato generale Cruz Villalón considera, in primo luogo, che una «restrizione operativa» è una misura di divieto, assoluto o temporale, di carattere preventivo e oggettivo, che vieta categoricamente, e non solo ostacola, l’accesso di un aeromobile civile ad un aeroporto dell’Unione.
Inoltre, l’avvocato generale Cruz Villalón precisa che le restrizioni operative sono divieti specifici stabiliti nell’ambito della politica dei trasporti. In tal modo le restrizioni operative coesistono con altre misure nazionali in materia ambientale.
Di conseguenza, l’avvocato generale conclude che la disciplina sanzionatoria regionale belga, intesa a reprimere il superamento di determinati livelli massimi di emissioni acustiche misurati al suolo in aree situate in prossimità di un aeroporto, non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/30, dal momento che non costituisce una «restrizione operativa». Infatti, in particolare, la disciplina della Regione di Bruxelles-Capitale in questione non vieta ex ante, totalmente o per un certo periodo di tempo, l’accesso all’aeroporto di Bruxelles-National, bensì vieta di superare determinati livelli di emissioni. In tal modo, ai sensi della normativa regionale, nulla impedisce ad un aeroplano di atterrare e decollare da detto aeroporto e, in caso di superamento dei limiti stabiliti dalla normativa, la conseguenza giuridica è una sanzione, e non un divieto. Inoltre, la normativa regionale non è adottata nell’ambito di una politica dei trasporti e non viene approvata né applicata dalle autorità competenti in tale materia, poiché fa parte della normativa ambientale per la cui adozione sono costituzionalmente competenti le Regioni belghe.
In secondo luogo, l’avvocato generale considera che la direttiva 2002/30, che prevede un criterio di misurazione delle emissioni acustiche degli aeromobili alla fonte, non osta ad una misura nazionale come la normativa della Regione di Bruxelles-Capitale, che non costituisce una restrizione operativa e che applica un criterio di misurazione al suolo delle emissioni acustiche. A parere dell’avvocato generale, la direttiva 2002/30 non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni in materia ambientale che incidono indirettamente sulle norme relative all’aviazione civile armonizzate da tale direttiva.
Rispetto a tale questione, da un lato, l’avvocato generale considera che la direttiva 2002/30 ha carattere settoriale, e deve restare circoscritta esclusivamente all’adozione, regolamentazione e limitazione di «restrizioni operative».
Dall’altro, l’avvocato generale Cruz Villalón ricorda che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce il diritto fondamentale alla vita privata e familiare e al domicilio, riconoscendo al contempo, espressamente, un diritto alla tutela dell’ambiente. Inoltre, l’avvocato generale segnala che la Corte europea dei diritti dell’uomo non solo ha dichiarato in diverse occasioni che l’inquinamento acustico rientra nell’ambito dell’ambiente, ma ha altresì riconosciuto che le emissioni acustiche prodotte dagli aeroplani giustificano, e talora impongono, l’adozione di misure attive di tutela da parte degli Stati.
Pertanto, considerando che l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo è vincolante per l’Unione e deve essere presa in considerazione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, l’avvocato generale conclude nel senso che la direttiva 2002/30 consente l’adozione di misure di contrasto al rumore negli aeroporti diverse da quelle espressamente previste nella medesima direttiva. In caso contrario, si produrrebbe una sorta di paralisi nell’azione nazionale di contrasto all’inquinamento acustico, privando gli Stati di qualsiasi margine di manovra nell’esercizio delle loro politiche ambientali, urbanistiche e sanitarie.

Un’autorità giudiziaria nazionale non è tenuta a sopportare le spese sostenute da un testimone sentito, su richiesta dell’autorità stessa, dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro

Un’autorità giudiziaria nazionale non è tenuta a sopportare le spese sostenute da un testimone sentito, su richiesta dell’autorità stessa, dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro
In una fattispecie del genere, infatti, l’assunzione di prove in un altro Stato membro non deve generare un rallentamento dei procedimenti nazionali
Il regolamento (CE) n. 1206/20011 prevede che, se un giudice di uno Stato membro (autorità giudiziaria richiedente) chiede al giudice competente di un altro Stato membro (autorità giudiziaria richiesta) di procedere ad un atto istruttorio - quale, ad esempio, l’audizione di un testimone - quest’ultimo giudice dà esecuzione alla richiesta conformemente al proprio diritto nazionale.
In base al diritto irlandese un testimone è obbligato a comparire dinanzi ad un’autorità giudiziaria solo se gli venga versata una previa indennità per le spese di viaggio («viaticum»).
Nel 2009 il sig. Weryński ha proposto un ricorso dinanzi allo Sąd Rejonowy dla Warszawy Śródmieścia (tribunale distrettuale di Varsavia, Polonia) contro la Mediatel 4B spólka z o. o., sua ex datrice di lavoro, per ottenere il risarcimento dei danni relativo ad un patto di non concorrenza. Nell’ambito di tale procedimento, il giudice polacco ha richiesto al giudice irlandese, la Dublin Metropolitan District Court, l’audizione di un testimone. L'autorità giudiziaria richiesta ha subordinato, tuttavia, l’audizione del testimone al pagamento, da parte dell’autorità giudiziaria richiedente, di un’indennità di EUR 40, da versare ai testimoni in base al diritto irlandese.
Il giudice polacco chiede alla Corte di giustizia se debba ritenersi tenuto ad accollarsi le spese sostenute dal testimone sentito dall’autorità giudiziaria irlandese, vuoi sotto forma di un anticipo, vuoi sotto forma di successivo rimborso delle spese.
Relativamente al versamento all’autorità giudiziaria richiesta un anticipo dell’indennità per i testimoni, la Corte sottolinea che la facoltà di rifiutare l’esecuzione di una richiesta di assunzione delle prove deve essere limitata a situazioni eccezionali ben definite. Ne consegue che i motivi per i quali l’esecuzione di una richiesta del genere può essere rifiutata sono quelli tassativamente elencati nel regolamento. Quest’ultimo, tuttavia, non prevede la richiesta di un anticipo per l’audizione di un testimone. L’autorità giudiziaria richiesta non aveva dunque il diritto di subordinare lo svolgimento di un’audizione di un testimone al previo versamento di un anticipo a titolo dell’indennità per i testimoni. Di conseguenza, l’autorità giudiziaria richiedente non era tenuta a pagare l’anticipo.
Quanto al rimborso da parte dell’autorità giudiziaria richiedente delle indennità per i testimoni, il regolamento stabilisce che per l’esecuzione di una richiesta di assunzione delle prove non può essere chiesto il rimborso di tasse o spese.
La Corte precisa che per «tasse» si devono intendere le somme percepite dall’autorità giudiziaria per la sua attività, mentre per «spese» si devono intendere le somme versate dall’autorità giudiziaria a terzi nel corso del procedimento, in particolare a periti o a testimoni. Le indennità versate ad un testimone sentito dall’autorità giudiziaria richiesta rientrano quindi nella nozione di spese ai sensi del regolamento n. 1206/2001.
La Corte ricorda che il regolamento ha come obiettivo il semplice, efficiente e rapido svolgimento delle assunzioni transfrontaliere delle prove. Pertanto, l’assunzione, da parte dell’autorità giudiziaria di uno Stato membro, delle prove in un altro Stato membro non deve generare un rallentamento dei procedimenti nazionali.
Un obbligo per l’autorità giudiziaria richiedente di rimborsare le spese può dunque sussistere unicamente se può applicarsi una delle eccezioni previste dal regolamento. Non sono tuttavia ivi menzionate le indennità per i testimoni.
La Corte dichiara quindi che un’autorità giudiziaria richiedente non è tenuta, nei confronti dell’autorità giudiziaria richiesta, al versamento di un anticipo o al successivo rimborso dell’indennità riconosciuta al testimone interrogato.

La Corte conferma l’ammenda di 500 000 euro inflitta all’Activision Blizzard per la sua partecipazione ad un'intesa sul mercato delle console per videogiochi e delle cartucce giochi Nintendo

La Corte conferma l’ammenda di 500 000 euro inflitta all’Activision Blizzard per la sua partecipazione ad un'intesa sul mercato delle console per videogiochi e delle cartucce giochi Nintendo


Con decisione 30 ottobre 2002 1, la Commissione ha inflitto ammende alla Nintendo e a taluni suoi distributori per la loro partecipazione ad una serie di accordi e di pratiche concordate sui mercati delle console e delle cartucce giochi Nintendo. La decisione concerne la Nintendo e sette distributori in esclusiva di suoi prodotti, vale a dire: la John Mezies plc (Regno Unito), la Concentra – Produtos para crianças S.A. (Portogallo), la Linea GIG. S.p.A. (Italia), la Bergsala AB (Svezia), la Itochu Hellas, la controllata greca detenuta interamente dall’impresa giapponese Itochu Corporation, la Nortec A.E. (Grecia) e l’Activision Blizzard Germany GmbH, già CD-Contact Data GmbH (Belgio e Lussemburgo).

Detti accordi erano volti a limitare il commercio parallelo, vale a dire le esportazioni da un paese ad un altro tramite canali di distribuzione paralleli.

La Commissione ha ritenuto che i comportamenti delle imprese menzionate, nel periodo compreso tra il 1991 ed il 1997, fossero contrari al diritto dell’Unione e ha inflitto un’ammenda dell’importo complessivo di 167,843 milioni di euro. L’Activision Blizzard, per parte sua, è stata sanzionata con un’ammenda di un milione di euro.

Con sentenza 30 aprile 2009 2, il Tribunale ha riformato la decisione della Commissione nella parte in cui questa aveva negato all’Activision Blizzard il beneficio della circostanza attenuante per il suo ruolo puramente passivo nell’infrazione, e ha conseguentemente ridotto l’ammenda inflittale ad EUR 500 000. Il Tribunale ha invece respinto la domanda di annullamento della decisione della Commissione.

L’Activision Blizzard ha impugnato tale sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di giustizia.

Con la sua odierna sentenza, la Corte conclude, dopo aver esaminato gli argomenti dedotti dall’Activision Blizzard a sostegno della propria impugnazione, che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel respingere la domanda di annullamento della decisione della Commissione.

Infatti, la Corte dichiara che il Tribunale non ha snaturato gli elementi di prova, né ha commesso un errore manifesto di valutazione nel ritenere che i documenti richiamati dalla Commissione costituissero una prova sufficiente dell’esistenza di un accordo contrario al diritto dell’Unione tra l’Activision Blizzard e la Nintendo. Essa rileva, inoltre, che la sentenza impugnata è sufficientemente motivata per consentire all’Activision Blizzard di conoscere le ragioni che hanno condotto il Tribunale a concludere che essa aveva partecipato ad un accordo avente ad oggetto la limitazione del commercio parallelo e per permettere alla Corte di esercitare un sindacato sulla legittimità di tale sentenza.
Conseguentemente, la Corte respinge l’impugnazione.
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IMPORTANTE: Il ricorso di annullamento mira a far annullare atti delle istituzioni dell’Unione contrari al diritto dell’Unione. A determinate condizioni, gli Stati membri, le istituzioni europee e i privati possono investire la Corte di giustizia o il Tribunale di un ricorso di annullamento. Se il ricorso è fondato, l'atto viene annullato. L'istituzione interessata deve rimediare all’eventuale lacuna giuridica creata dall’annullamento dell’atto.

Il progetto di accordo diretto alla creazione di un Tribunale dei brevetti europeo e comunitario non è compatibile con il diritto dell'Unione europea

Il progetto di accordo diretto alla creazione di un Tribunale dei brevetti europeo e comunitario non è compatibile con il diritto dell'Unione europea
Il Consiglio dell'Unione europea ha elaborato un progetto di accordo internazionale che dovrebbe essere concluso tra gli Stati membri, l'Unione europea e gli Stati terzi aderenti alla Convenzione sul brevetto europeo 1, diretto all'istituzione di un tribunale competente sulle controversie relative al brevetto europeo e al futuro brevetto comunitario. Questo progetto di accordo si inserisce nella cornice più ampia dell'istituzione di un sistema integrato per il brevetto europeo e comunitario, che dovrebbe essere rilasciato dall'Ufficio europeo dei brevetti. Attualmente, sebbene la procedura di rilascio di questo titolo sia unica, il brevetto europeo si compone di una serie di brevetti nazionali, soggetti ciascuno alla normativa propria degli Stati designati dal titolare. Viceversa, il futuro brevetto comunitario si distinguerebbe per il suo carattere unitario e autonomo e produrrebbe i medesimi effetti nell'intera Unione. Esso potrebbe essere rilasciato, trasferito, annullato o esteso solo nei limiti di tale ambito territoriale.
Il progetto di accordo internazionale istituisce un Tribunale dei brevetti europeo e comunitario, composto di un tribunale di primo grado - comprendente una divisione centrale nonché divisioni locali e regionali -, di una corte d'appello e di una cancelleria comune.
In questa cornice, il Consiglio si è rivolto alla Corte di giustizia per ottenere il suo parere sulla compatibilità dell'accordo delineato con il diritto dell'Unione 2.
La Corte rileva anzitutto che, in base a questo accordo, il Tribunale dei brevetti europeo e comunitario è un'istituzione che si situa al di fuori della cornice istituzionale e giurisdizionale dell'Unione. Esso è un organo dotato di personalità giuridica propria in forza del diritto internazionale. Il progetto di accordo gli attribuisce competenze esclusive in relazione a un numero rilevante di azioni promosse da privati in materia di brevetti, segnatamente azioni per violazioni effettive o rischio di violazioni di brevetti, azioni di nullità e determinate azioni per risarcimento danni o per indennizzo. In tale contesto, gli organi giurisdizionali degli Stati membri vengono privati di tali competenze e conservano pertanto solo compiti che non rientrano nelle competenze esclusive del Tribunale dei brevetti europeo e comunitario.
La Corte aggiunge che quest'organo giurisdizionale, nell'esercizio delle sue funzioni, ha il compito di interpretare e di applicare il diritto dell'Unione. La Corte ha certamente dichiarato che un accordo internazionale che preveda l'istituzione di un giudice incaricato dell'interpretazione delle disposizioni di detto accordo non è incompatibile, in linea di principio, con il diritto dell'Unione. Essa ha parimenti riconosciuto che un accordo internazionale può incidere sulle sue competenze purché siano soddisfatti i requisiti essenziali affinché sia lasciata inalterata la natura di tali competenze e non sia violata l'autonomia dell'ordinamento giuridico dell'Unione. Tuttavia, a differenza di altri sistemi giurisdizionali internazionali sui quali la Corte si è pronunciata in passato 3, il Tribunale dei brevetti europeo e comunitario ha il compito di interpretare e di applicare non solo l'accordo internazionale delineato, ma anche disposizioni del diritto dell'Unione.
Inoltre, la Corte constata che l'istituzione di quest'organo giurisdizionale priverebbe i giudici nazionali della facoltà, per non dire, eventualmente, dell'obbligo di adire la Corte in via pregiudiziale in materia di brevetti, dato che il progetto di accordo prevede una procedura pregiudiziale che riserva la facoltà di rinvio pregiudiziale al Tribunale dei brevetti europeo e comunitario, privando della medesima i giudici nazionali.
Orbene, la Corte ricorda che il sistema attuale istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali, nell'ambito della quale questi ultimi partecipano strettamente alla corretta applicazione e all'interpretazione uniforme del diritto dell'Unione, nonché alla tutela dei diritti attribuiti da quest'ordinamento giuridico ai privati. Le funzioni attribuite, rispettivamente, ai giudici nazionali e alla Corte sono pertanto essenziali alla salvaguardia della natura stessa dell'ordinamento dell'Unione.
A tal riguardo, la Corte ricorda il principio secondo il quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai soggetti dell'ordinamento per violazioni del diritto dell'Unione ad esso imputabili, qualunque sia l'organo, anche giurisdizionale, di tale Stato all'origine della trasgressione. Parimenti, quando la violazione del diritto dell'Unione è commessa da un giudice nazionale, la Corte può essere adita al fine di far accertare una siffatta violazione nei confronti dello Stato membro interessato.
Tuttavia, la Corte rileva che una pronuncia del Tribunale dei brevetti europeo e comunitario, la quale violasse il diritto dell'Unione, non potrebbe essere oggetto di un giudizio di violazione, né comportare una qualsivoglia responsabilità patrimoniale in capo a uno o più Stati membri.
Alla luce di ciò, la Corte ritiene che il previsto accordo, attribuendo una competenza esclusiva a conoscere un rilevante numero di azioni promosse da privati in materia di brevetto comunitario, nonché ad interpretare e ad applicare il diritto dell'Unione in questa materia a un giudice internazionale, situato all'esterno della cornice istituzionale e giurisdizionale dell'Unione, priverebbe i giudici degli Stati membri delle loro competenze in materia di interpretazione e applicazione del diritto dell'Unione. L'accordo inciderebbe parimenti sulla competenza della Corte a risolvere, in via pregiudiziale, le questioni proposte dai giudici nazionali. Di conseguenza, l'accordo snaturerebbe le competenze attribuite alle istituzioni dell'Unione e agli Stati membri, le quali sono essenziali alla salvaguardia della natura stessa del diritto dell'Unione.
Di conseguenza, la Corte conclude dichiarando che il previsto accordo relativo alla creazione di un Tribunale dei brevetti europeo e comunitario non è compatibile con le disposizioni del diritto dell'Unione.
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IMPORTANTE: Uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione può richiedere il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parere negativo della Corte, il previsto accordo non può entrare in vigore, salvo modifica di quest'ultimo o revisione dei trattati.

(C‑283/09) COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE - ASSUNZIONE DELLE PROVE - AUDIZIONE DI UN TESTIMONE DA PARTE DELL'AUTORITA' GIUDIZIARIA RICHIESTA SU DOMANDA DELL'AUTORITA' GIUDIZIARIA RICHIEDENTE - INDENNITA' PER I TESTIMONI

(C‑283/09) COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE - ASSUNZIONE DELLE PROVE - AUDIZIONE DI UN TESTIMONE DA PARTE DELL'AUTORITA' GIUDIZIARIA RICHIESTA SU DOMANDA DELL'AUTORITA' GIUDIZIARIA RICHIEDENTE - INDENNITA' PER I TESTIMONI


La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che gli artt. 14 e 18 del regolamento (CE) del Consiglio 28 maggio 2001, n. 1206, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale, devono essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria richiedente non è tenuta, nei confronti dell’autorità giudiziaria richiesta, al versamento di un anticipo, ovvero al successivo rimborso dell’indennità riconosciuta al testimone interrogato. Nel caso di specie, il Tribunale distrettuale di Varsavia aveva richiesto l’audizione di un testimone alla Dublin Metropolitan District Court, che aveva subordinato l’espletamento dell’atto al pagamento, da parte dell’autorità giudiziaria richiedente, di un’indennità da versare ai testimoni sulla base della pertinente normativa irlandese. Successivamente, le autorità polacche hanno chiesto alla Corte di Giustizia se dovesse ritenersi configurabile l’obbligo di accollarsi le spese sostenute dal testimone sentito dall’autorità giudiziaria irlandese, o sotto forma di un anticipo, ovvero sotto la forma di un successivo rimborso. Al riguardo, la Corte ha chiarito che la facoltà di rifiutare l’esecuzione di una richiesta di assunzione delle prove deve essere limitata a situazioni eccezionali ben definite. Ne consegue che i motivi per i quali l’esecuzione di una richiesta del genere può essere rifiutata sono solo quelli tassativamente elencati nel su citato regolamento, che non contempla la richiesta di un anticipo per l’audizione di un testimone. L’autorità giudiziaria richiesta, pertanto, non aveva il diritto di subordinare lo svolgimento dell’audizione di un testimone al previo versamento di un anticipo a titolo di indennità, e l’autorità giudiziaria richiedente, a sua volta, non era tenuta a versarlo.



Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 17 febbraio 2011



Nel procedimento C‑283/09,



avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Sąd Rejonowy dla Warszawy Śródmieścia (Polonia), con decisione 17 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 23 luglio 2009, nella causa



Artur Weryński



contro



Mediatel 4B spółka z o.o.,



LA CORTE (Prima Sezione),



composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.‑J. Kasel, A. Borg Barthet, M. Ilešič e dalla sig.ra M. Berger (relatore), giudici,



ha pronunciato la seguente



Sentenza



1 La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del regolamento (CE) del Consiglio 28 maggio 2001, n. 1206, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale (GU L 174, pag. 1).



2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia fra il sig. Weryński e il suo ex datore di lavoro, la Mediatel 4B spółka z o.o., e, sostanzialmente, è diretta ad accertare se l’autorità giudiziaria irlandese richiesta possa subordinare l’audizione di un testimone al versamento di un’indennità da parte dell’autorità giudiziaria richiedente.



Contesto normativo



Il regolamento n. 1206/2001



3 Il regolamento n. 1206/2001 si propone di stabilire misure in materia di cooperazione giudiziaria nel settore civile applicabili a tutti gli Stati membri, ad eccezione del Regno di Danimarca, come enunciato all’art. 1, n. 3, del menzionato regolamento. Esso ha sostituito, in tal modo, la Convenzione sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile o commerciale conclusa all’Aia il 18 marzo 1970 (in prosieguo: la «convenzione dell’Aia»), cui fa riferimento il sesto ‘considerando’ del regolamento n. 1206/2001.



4 Secondo il ventunesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1206/2001, conformemente all’art. 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto alle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione e rispetto alla cooperazione giudiziaria in materia civile e alla cooperazione di polizia, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea, l’Irlanda ha notificato che intende partecipare all’adozione ed applicazione del regolamento medesimo.



5 Il secondo, settimo, ottavo, decimo, undicesimo e sedicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1206/2001 dispongono quanto segue:



«(2) Il corretto funzionamento del mercato interno presuppone che la cooperazione tra le autorità giudiziarie nel settore dell’assunzione delle prove sia migliorata, in particolare semplificata e accelerata.



(…)



(7) Poiché per pronunciarsi in merito ad un procedimento civile o commerciale pendente dinanzi ad un’autorità giudiziaria di uno Stato membro è spesso necessario assumere prove in un altro Stato membro, l’azione della Comunità non può limitarsi al solo settore della trasmissione degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale rientrante nel regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale [GU L 160, pag. 37]. Occorre pertanto continuare a migliorare la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove.



(8) Presupposto per l’efficienza dei procedimenti giudiziari in materia civile o commerciale è che la trasmissione e l’esecuzione della richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove avvenga in modo diretto e con il mezzo più rapido tra le autorità giudiziarie degli Stati membri.



(…)



(10) Una richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove dovrebbe essere eseguita rapidamente. Tuttavia, nei casi in cui non sia possibile soddisfare la richiesta 90 giorni dopo la sua ricezione da parte dell’autorità giudiziaria richiesta, quest’ultima dovrebbe informarne l’autorità giudiziaria richiedente indicando i motivi che si oppongono a un’esecuzione rapida della richiesta.



(11) Per garantire l’efficacia del presente regolamento, la facoltà di rifiutare l’esecuzione di una richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove dovrebbe essere limitata a ben definite situazioni eccezionali.



(…)



(16) Per l’esecuzione delle richieste ai sensi dell’articolo 10 non può essere chiesto il rimborso di tasse o spese. Tuttavia, se l’autorità giudiziaria richiesta chiede il rimborso, i compensi versati ai periti e agli interpreti e le spese risultanti dall’applicazione dell’articolo 10, paragrafo 3 e 4, dovrebbero essere sostenute da detta autorità. In tal caso l’autorità giudiziaria richiedente deve adottare le misure necessarie per vigilare a che si proceda senza indugio al rimborso. Se è richiesto il parere di un perito, l’autorità giudiziaria richiesta può, prima di dare esecuzione alla richiesta, chiedere all’autorità giudiziaria richiedente di provvedere a che sia costituito un adeguato deposito o anticipo per le spese richieste».



6 L’art. 10 del regolamento n. 1206/2001, relativo alle disposizioni generali sull’esecuzione delle richieste, stabilisce che:



«1. L’autorità giudiziaria richiesta dà esecuzione alla richiesta senza indugio, al più tardi entro 90 giorni dalla sua ricezione.



2. L’autorità giudiziaria richiesta dà esecuzione alla richiesta applicando le leggi del proprio Stato membro.



3. L’autorità giudiziaria richiedente può chiedere che la richiesta sia eseguita secondo una procedura particolare prevista dalla legge del proprio Stato membro, utilizzando il formulario A che figura in allegato. L’autorità giudiziaria richiesta accoglie tale richiesta a meno che detta procedura non sia incompatibile con le leggi del suo Stato membro o per notevoli difficoltà d’ordine pratico. Se l’autorità giudiziaria richiesta non accoglie la richiesta per uno dei summenzionati motivi, ne informa l’autorità giudiziaria richiedente utilizzando il formulario E che figura in allegato.



4. L’autorità giudiziaria richiedente può chiedere all’autorità giudiziaria richiesta di avvalersi delle tecnologie della comunicazione per l’esecuzione dell’assunzione delle prove, in particolare utilizzando la videoconferenza e la teleconferenza.



L’autorità giudiziaria richiesta ottempera a tale richiesta salvo qualora questa sia incompatibile con le leggi del suo Stato membro o sussistano notevoli difficoltà di ordine pratico.



Se l’autorità giudiziaria richiesta non ottempera alla richiesta per uno dei summenzionati motivi, ne informa l’autorità giudiziaria richiedente utilizzando il formulario E che figura in allegato.



Se non hanno accesso ai mezzi tecnici di cui sopra le autorità giudiziarie richiedenti o richieste possono convenire di renderli disponibili».



7 L’art. 14 del regolamento n. 1206/2001 così recita:



«1. Una richiesta di audizione di una persona non viene eseguita se la persona interessata invoca un diritto o un obbligo di astenersi dal deporre in base:



a) alla legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiesta, o



b) alla legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiedente e detto diritto o obbligo siano specificati nella richiesta o, se del caso, attestati dall’autorità giudiziaria richiedente a richiesta dell’autorità giudiziaria richiesta.



2. In aggiunta ai motivi di cui al paragrafo 1, l’esecuzione di una richiesta può essere rifiutata soltanto se:



(…)



d) un deposito o un anticipo chiesto a norma dell’articolo 18, paragrafo 3 non è costituito entro 60 giorni dalla presentazione della domanda di tale deposito o anticipo.



(…)»



8 Ai sensi dell’art. 18 del regolamento n. 1206/2001:



«1. Per l’esecuzione delle richieste ai sensi dell’articolo 10 non può essere chiesto il rimborso di tasse o spese.



2. Tuttavia, se l’autorità giudiziaria richiesta lo chiede, l’autorità giudiziaria richiedente vigila a che si proceda senza indugio al rimborso:



– dei compensi versati ai periti o agli interpreti e



– delle spese risultanti dall’applicazione dell’articolo 10, paragrafi 3 e 4.



L’obbligo delle parti di sostenere tali compensi o spese è disciplinato dalla legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiedente.



3. Nei casi in cui è richiesto il parere di un perito, l’autorità giudiziaria richiesta può, prima di dare esecuzione alla richiesta, chiedere all’autorità giudiziaria richiedente di provvedere a che sia costituito un adeguato deposito o anticipo per le spese richieste. In tutti gli altri casi, il deposito o l’anticipo non è una condizione per l’esecuzione di una richiesta.



Il deposito o l’anticipo è costituito dalle parti se ciò è previsto dalla legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiedente».



La convenzione dell’Aia



9 La convenzione dell’Aia si propone di aumentare l’efficacia della mutua cooperazione giudiziaria in materia civile o commerciale.



10 Ai sensi dell’art. 14 della convenzione dell’Aia:



«L’esecuzione di una rogatoria non può dar luogo al rimborso di tasse o spese qualunque sia la loro natura.



Tuttavia, lo Stato richiesto ha il diritto di esigere dallo Stato richiedente il rimborso delle indennità pagate ai periti ed agli interpreti nonché delle spese risultanti dall’applicazione di una particolare procedura richiesta dallo Stato richiedente, conformemente all’art. 9, secondo comma.



L’autorità richiesta, la cui legislazione lasci alle parti la cura di raccogliere le prove e che non sia in grado di eseguire essa stessa la rogatoria, può incaricare una persona abilitata a tal fine, previo il consenso dell’autorità richiedente. Nel richiedere tale consenso, l’autorità richiesta indica l’ammontare approssimativo delle spese che deriveranno da tale intervento. Il consenso implica l’obbligo di rimborsare le spese da parte dell’autorità. In mancanza di esso, l’autorità richiedente non è tenuta a pagare dette spese».



Il diritto nazionale



11 L’art. 85 della legge 28 luglio 2005 sulle spese giudiziali nelle cause civili (ustawa z dnia 28 lipca 2005 r. o kosztach sądowych w sprawach cywilnych, Dz. U. del 2005, n. 167, posizione 1398), e successive modifiche, consente a un testimone di chiedere il rimborso delle spese connesse alla sua comparizione in giudizio.



12 L’art. 101, n. 4, del regolamento del Ministro della Giustizia 23 febbraio 2007, sull’organizzazione delle giurisdizioni ordinarie (rozporządzenie Ministra Sprawiedliwości z dnia 23 lutego 2007 r. Regulamin urzędowania Sądów powszechnych, Dz. U. del 2007, n. 38, posizione 249), che prevede i principi di disciplina tra l’autorità giudiziaria richiesta e quella richiedente, è formulato nei termini seguenti:



««[n]el caso in cui l’autorità giudiziaria richiesta conceda alle persone che hanno preso parte al procedimento un’indennità o un rimborso per le spese di viaggio, tale indennità o rimborso dovrà essere versato con un anticipo sulle spese e, in mancanza di anticipo, imputandolo alle risorse di bilancio del Tesoro; in tal caso, occorrerà allegare all’assunzione di prove una richiesta di rimborso di dette spese formulata dall’autorità giudiziaria richiedente nel rispetto delle condizioni relative alla definizione delle spese che figurano nelle disposizioni particolari».



13 Ai sensi dell’art. 53 del regolamento del Ministro della Giustizia 28 gennaio 2002, riguardante taluni atti particolari dei giudici in materia di procedura civile e penale internazionale nelle relazioni internazionali (rozporządzenie Ministra Sprawiedliwości z dnia 28 stycznia 2002 r. w sprawie szczegółowych czynności sądów w sprawach z zakresu międzynarodowego postępowania cywilnego oraz karnego w stosunkach międzynarodowych, Dz. U. del 2002, n. 17, posizione 164), le spese relative all’assistenza legale sono fissate in złoty polacchi. Tali spese sono a carico del Tesoro. Dopo l’esecuzione della richiesta, l’autorità giudiziaria chiede il rimborso delle spese in valuta polacca o in una valuta convertibile che costituisca una somma equivalente all’importo espresso nella valuta polacca. Secondo il giudice del rinvio, il rimborso di dette spese non viene richiesto se la convenzione internazionale prevede la concessione dell’assistenza legale gratuita.



Causa principale e questione pregiudiziale



14 Il sig. Weryński presentava ricorso dinanzi al Sąd Rejonowy dla Warszawy Śródmieścia contro la Mediatel 4B spólka z o.o., sua ex datrice di lavoro, per ottenere il risarcimento dei danni relativo ad un patto di non concorrenza.



15 Nell’ambito di tale procedimento, il giudice del rinvio richiedeva, in data 6 gennaio 2009, ai sensi del regolamento n. 1206/2001, l’audizione di un testimone al giudice irlandese, la Dublin Metropolitan District Court (Irlanda). L’autorità giudiziaria richiesta subordinava, tuttavia, l’audizione al pagamento di un anticipo dell’importo di EUR 40 relativo alle spese da versare ai testimoni in base al diritto irlandese e invitava, con lettera del 12 gennaio 2009, l’autorità giudiziaria polacca al pagamento di questa somma.



16 Il giudice del rinvio ha contestato la fondatezza di tale richiesta.



17 Il ricorso agli organi centrali polacco e irlandese, istituiti conformemente all’art. 3 del regolamento n. 1206/2001 e incaricati di ricercare soluzioni per le difficoltà che sorgano in occasione di una richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove, è rimasto senza esito.



18 Secondo l’autorità giudiziaria richiesta e l’organo centrale irlandese, il divieto di percepire qualsivoglia tassa, di cui all’art. 18, n. 1, del regolamento n. 1206/2001, non riguarda le indennità ai testimoni. In forza del diritto irlandese, i testimoni hanno diritto a un rimborso spese. Tale diritto si applicherebbe nella specie in quanto, conformemente all’art. 10, n. 2, del citato regolamento, l’assunzione della testimonianza è disciplinata dalle leggi dell’autorità giudiziaria richiesta. Poiché l’art. 18, nn. 2 e 3, di detto regolamento non conterrebbe disposizioni relative al rimborso dell’indennità al testimone, il rimborso di tale indennità potrebbe essere chiesto dall’autorità giudiziaria richiesta all’autorità giudiziaria richiedente. L’organo centrale irlandese si richiama altresì ad analoga prassi in vigore in Inghilterra e in Galles.



19 Il giudice del rinvio ritiene che la posizione dell’autorità giudiziaria richiesta e dell’organo centrale irlandese sia priva di fondamento.



20 A parere del giudice del rinvio, un’analisi letterale dell’art. 18, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1206/2001 consente di rilevare che emergono solo tre eccezioni autorizzate al divieto generale di ogni richiesta di «rimborso di tasse o spese». L’art. 10, n. 2, del menzionato regolamento, quale norma generale, non si applica ai rapporti fra l’autorità giudiziaria richiesta e l’autorità giudiziaria richiedente. Ciò considerato, anche se il diritto irlandese prevede l’obbligo di esigere dall’autorità giudiziaria richiedente il rimborso dell’indennità al testimone, tale disposizione non si applica al caso di specie, in considerazione del principio del primato del diritto comunitario. Difatti, a eccezione dei compensi dei periti e degli interpreti e delle spese risultanti dall’applicazione, su richiesta dell’autorità giudiziaria richiedente, della procedura particolare (art. 10, n. 3 del regolamento in parola) o delle tecnologie della comunicazione (art. 10, n. 4 del medesimo regolamento), non sarebbe possibile esigere dall’autorità giudiziaria richiedente il rimborso di tasse o spese.



21 In tale contesto il Sąd Rejonowy dla Warszawy Śródmieścia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:



«Se, a norma del regolamento [n. 1206/2001], l’autorità giudiziaria richiesta possa chiedere all’autorità giudiziaria richiedente un anticipo per l’indennità o il rimborso dell’indennità per il testimone interrogato o se, piuttosto, tale indennità debba essere coperta con risorse finanziarie proprie».



Sulla competenza della Corte e la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale



22 La Commissione europea manifesta dei dubbi circa la competenza della Corte e la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.



23 Essa richiama l’attenzione della Corte sul fatto che, da un lato, le pronunce del giudice del rinvio possono essere oggetto di ricorso e che, in forza dell’art. 68, n. 1, CE, solamente i giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno possono adire la Corte chiedendo una pronuncia pregiudiziale per ricevere l’interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul Titolo IV del Trattato CE, intitolato «Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone».



24 D’altro lato, essa ritiene che la questione relativa all’interpretazione del regolamento n. 1206/2001 non risulti necessaria ai fini della soluzione della causa principale e, del resto, riguardi il funzionamento amministrativo delle giurisdizioni. Tale questione contrasterebbe, pertanto, con i requisiti affermati dalla giurisprudenza in materia di ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale.



25 Benché non costituiscano vere e proprie eccezioni, la Corte considera opportuno esaminare d’ufficio dette questioni.



26 Relativamente all’eventuale incompetenza della Corte, si deve ricordare che la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul regolamento n. 1206/2001, adottato sulla base degli artt. 61, lett. c), CE e 67, n. 1, CE, collocati nel titolo IV del Trattato CE.



27 La domanda di cui trattasi è stata presentata il 23 luglio 2009, ossia prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Ai sensi dell’art. 68 CE, in vigore a tale data, occorrerebbe quindi stabilire se si potesse considerare che il giudice del rinvio, nella causa principale, agisse quale giudice di ultima istanza.



28 Si deve, tuttavia, rilevare che, con effetto a decorrere dal 1º dicembre 2009, l’art. 68 CE è stato abrogato. Il Trattato di Lisbona ha quindi fatto venir meno la precedente limitazione al diritto di proporre il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 68, n. 1, CE, che non è stato sostituito. Sono ormai le norme generali a disciplina della domanda di pronuncia pregiudiziale a titolo dell’art. 267 TFUE quelle da applicare alle domande pregiudiziali d’interpretazione degli atti adottati in materia di visti, di asilo, d’immigrazione e di altre politiche connesse alla libera circolazione delle persone. Di conseguenza, detto art. 267 TFUE si applica anche nell’ambito di domande relative al regolamento n. 1206/2001.



29 Pertanto, tenuto conto dell’estensione del diritto di proporre il rinvio pregiudiziale operata dal Trattato di Lisbona, i giudici di primo grado dispongono ormai anch’essi di tale diritto allorché si tratti di atti adottati nell’ambito del titolo IV del Trattato CE.



30 Lo scopo perseguito dall’art. 267 TFUE di costruire una cooperazione efficace fra la Corte e i giudici nazionali, nonché il principio dell’economia del procedimento, depongono a favore della ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale proposte da giurisdizioni di grado inferiore nel corso del periodo transitorio appena precedente l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e prese in esame dalla Corte solo dopo la sua entrata in vigore. Difatti, una declaratoria di irricevibilità porterebbe, in un’ipotesi del genere, semplicemente alla proposizione, da parte del giudice del rinvio, nel frattempo ormai legittimato a adire la Corte, di una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla medesima questione, il che determinerebbe rilevanti oneri amministrativi supplementari ed un inutile protrarsi del procedimento nella causa principale.



31 Si deve quindi ritenere che, successivamente al 1° dicembre 2009, la Corte è competente a conoscere di una domanda di pronuncia pregiudiziale proveniente da una giurisdizione avverso le cui decisioni possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno, e ciò anche qualora la domanda sia stata depositata prima di tale data.



32 Si deve, pertanto, necessariamente rilevare che, anche nell’ipotesi in cui la presente domanda di pronuncia pregiudiziale fosse, al momento della sua proposizione, inidonea a soddisfare i requisiti dell’art. 68, n. 1, CE, tale vizio risulterebbe sanato dall’abrogazione della disposizione in parola e dalla corrispondente estensione delle competenze della Corte.



33 Ciò premesso, va rilevato che la Corte è competente ad esaminare la domanda di pronuncia pregiudiziale.



34 Per quanto riguarda la prima questione, attinente all’irricevibilità fatta valere dalla Commissione e relativa al fatto che l’interpretazione del regolamento n. 1206/2001 non risulta necessaria ai fini della soluzione della causa principale, occorre ricordare che la presunzione di rilevanza delle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può venir meno solo in casi eccezionali, qualora risulti manifestamente che la richiesta interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione considerate in tali questioni non ha alcun rapporto con l’oggetto della causa principale (v., in particolare, sentenze 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino, Racc. pag. I‑5285, punto 30, e 28 giugno 2007, causa C‑467/05, Dell’Orto, Racc. pag. I‑5557, punto 40).



35 Occorre di conseguenza verificare se la questione sottoposta alla Corte sia necessaria al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» ai sensi dell’art. 267, n. 2, TFUE.



36 In proposito, si deve in primo luogo osservare che la questione posta è diretta ad accertare se l’autorità giudiziaria richiedente sia tenuta ad accollarsi taluni costi relativi all’audizione di un testimone da parte dell’autorità giudiziaria richiesta.



37 In secondo luogo, occorre rilevare che, all’udienza, il governo polacco ha precisato che il testimone era stato interrogato, conformemente alla domanda dell’autorità giudiziaria richiedente, ma unicamente dopo che il giudice medesimo aveva provveduto, il 28 aprile 2009, a versare l’importo di EUR 40 chiesto dall’autorità giudiziaria richiesta. Il versamento di detta somma è del resto stato confermato dall’Irlanda nelle sue osservazioni scritte.



38 Orbene, se è pur vero che, nonostante tale versamento e l’audizione del testimone, la questione posta è pur sempre rilevante per quanto attiene al fondamento normativo dell’esborso e, in particolare, alla sua eventuale rifusione nel caso in cui si rivelasse indebito, resta ciò nondimeno il fatto che la risposta a detta questione non incide direttamente sull’esito della controversia fra il sig. Weryński e la Mediatel 4B spółka z o.o., vertente sul riconoscimento di un risarcimento in base ad una clausola di non concorrenza.



39 Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 36 delle sue conclusioni, si deve rilevare che la maggior parte delle questioni interpretative del regolamento n. 1206/2001 concernenti l’assunzione delle prove riguarderà la causa principale solo indirettamente. In molti casi, l’interpretazione del regolamento per mezzo del procedimento di rinvio pregiudiziale risulterebbe impossibile se la valutazione della rilevanza della questione pregiudiziale venisse assoggettata a requisiti troppo severi.



40 A tal proposito occorre tener conto della necessità di chiarire una questione che ha frenato la cooperazione fra giurisdizioni e che resterà un ostacolo fino a che non sarà risolta. Nella causa principale, né i giudici degli Stati membri interessati né gli organi centrali polacco e irlandese sono stati in grado di trovare una soluzione. In siffatta situazione solo una decisione della Corte consentirà al regolamento n. 1206/2001 di svolgere efficacemente la sua funzione, che è quella di contribuire a semplificare e accelerare procedure giudiziarie in materia civile o commerciale.



41 Ne consegue che solamente un’interpretazione estensiva della nozione di «emanare la sua sentenza» ai sensi dell’art. 267, n. 2, TFUE consentirebbe di evitare che numerose questioni procedurali, in particolare quelle che sorgono nell’ambito dell’applicazione del regolamento n. 1206/2001, siano ritenute irricevibili e non possano essere oggetto d’interpretazione da parte della Corte.



42 Detta nozione dev’essere quindi intesa nel senso che comprende tutta la procedura che conduce alla decisione del giudice del rinvio, affinché la Corte sia in grado di conoscere dell’interpretazione di tutte le disposizioni procedurali del diritto dell’Unione che il giudice del rinvio è tenuto ad applicare per emanare la sua sentenza. In altri termini, tale nozione include l’intero iter di creazione della sentenza, comprese tutte le questioni relative all’onere delle spese del procedimento.



43 Relativamente al secondo motivo di eventuale irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, la Commissione osserva che la questione posta dal giudice del rinvio concerne il suo funzionamento amministrativo, ossia la cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale. Detta questione non atterrebbe quindi allo svolgimento, da parte del giudice medesimo, della sua funzione giurisdizionale. La Commissione ha insistito sulla circostanza che, nel caso di specie, il giudice del rinvio agisce in qualità di organo dell’amministrazione pubblica per la questione afferente alle spese dell’esecuzione della domanda di assunzione di prove di un giudice di un altro Stato membro.



44 A tale riguardo è da ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (v., in particolare, ordinanza 22 gennaio 2002, causa C‑447/00, Holto, Racc. pag. I‑735, punto 17, e sentenza 12 agosto 2008, causa C‑296/08 PPU, Santesteban Goicoechea, Racc. pag. I‑6307, punto 40).



45 Orbene, per quanto sia esatto che la cooperazione fra autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove non conduce necessariamente all’elaborazione di una pronuncia di carattere giurisdizionale, ciò nondimeno l’audizione di un testimone da parte di un giudice, come in discussione nella specie, costituisce un atto effettuato nell’ambito di un procedimento giurisdizionale destinato a concludersi con una decisione di carattere giurisdizionale. La questione dell’onere delle spese per l’audizione s’inserisce nel contesto di tale procedimento. Sussiste, quindi, un legame diretto fra la questione pregiudiziale e lo svolgimento da parte del giudice del rinvio di una funzione giurisdizionale.



46 Poiché nessuno degli eventuali motivi di irricevibilità è stato accolto, si deve ritenere la domanda di pronuncia pregiudiziale ricevibile.



Sulla questione pregiudiziale



47 Il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se debba ritenersi tenuto ad accollarsi le spese sostenute dal testimone sentito dall’autorità giudiziaria richiesta, sia nella forma di un anticipo sia in quella di un successivo rimborso delle spese.



48 Va osservato che, ai sensi dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 1206/2001, la fattispecie in esame rientra nell’ambito di applicazione del medesimo, laddove un giudice di uno Stato membro richieda al giudice competente di un altro Stato membro di procedere ad un atto istruttorio. L’audizione di un testimone è indicata esplicitamente in detto regolamento all’art. 4, n. 1, lett. e), come oggetto di una richiesta.



49 In forza dell’art. 10, n. 2, del regolamento n. 1206/2001 l’autorità giudiziaria richiesta dà esecuzione alla richiesta applicando le leggi del proprio Stato membro. In base al diritto irlandese un testimone è obbligato a comparire dinanzi ad un’autorità giudiziaria solo se gli venga versata una previa indennità per le spese di viaggio («viaticum»). La questione è diretta ad accertare se l’obbligo di farsi carico di tale indennità incombesse all’autorità giudiziaria richiesta o all’autorità giudiziaria richiedente.



50 In primo luogo, occorre esaminare la questione se l’autorità giudiziaria richiedente fosse obbligata a versare all’autorità giudiziaria richiesta un anticipo dell’indennità per i testimoni e, di conseguenza, se l’autorità giudiziaria richiesta potesse rifiutarsi di procedere all’audizione di tale testimone fintantoché l’autorità giudiziaria richiedente non avesse corrisposto l’anticipo in parola.



51 L’art. 14 del regolamento n. 1206/2001 indica i motivi per il rifiuto di una richiesta di tal genere. Il n. 2, lett. d), del regolamento medesimo riguarda il caso in cui da parte dell’autorità giudiziaria richiedente non venga costituito un deposito o un anticipo richiesto a norma del successivo art. 18, n. 3. In base a quest’ultima disposizione, l’autorità giudiziaria richiesta può pretendere un anticipo per il parere di un perito prima di dare esecuzione alla domanda. Tuttavia, non è invece ivi prevista la richiesta di un anticipo per l’audizione di un testimone.



52 Come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 45 delle sue conclusioni, subordinare l’esecuzione di una richiesta al pagamento di un’indennità per i testimoni non sarebbe in contrasto con l’art. 14 del regolamento n. 1206/2001 solo se l’elencazione dei motivi di rifiuto ivi indicati venisse considerata non in senso tassativo, bensì solo esemplificativo.



53 In proposito si deve rilevare che il tenore letterale dell’art. 14, n. 2, del regolamento n. 1206/2001 osta ad un’interpretazione del genere. Tale disposizione prevede, infatti, che, oltre ai motivi di cui al n. 1 dello stesso, l’esecuzione di una richiesta di audizione di una persona «può essere rifiutata soltanto» in taluni casi. Inoltre, l’undicesimo ‘considerando’ del regolamento in parola pone in rilievo che, per garantire l’efficacia del regolamento, la facoltà di rifiutare l’esecuzione di una richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove dovrebbe essere limitata a ben definite situazioni eccezionali. Ne consegue che i motivi per i quali l’esecuzione di una richiesta del genere può essere rifiutata sono quelli tassativamente elencati all’art. 14 del regolamento in parola.



54 L’autorità giudiziaria richiesta non aveva dunque il diritto di subordinare lo svolgimento di un’audizione di testimoni al previo versamento di un anticipo dell’indennità per i testimoni. L’autorità giudiziaria richiedente non era, di conseguenza, tenuta a pagare l’anticipo.



55 In secondo luogo, occorre verificare se l’autorità giudiziaria richiesta potesse pretendere che l’autorità giudiziaria richiedente rimborsasse successivamente le indennità per i testimoni.



56 L’art. 18, n. 1, del regolamento n. 1206/2001 dispone che per l’esecuzione di una richiesta di esecuzione dell’assunzione delle prove non può essere chiesto il rimborso di tasse o spese. È determinante, pertanto, accertare se anche le indennità per i testimoni possano essere qualificate come tasse o spese ai sensi della detta disposizione.



57 L’autorità giudiziaria richiesta ha fatto rilevare che, in forza del diritto irlandese, i testimoni sono tenuti a comparire per la deposizione dinanzi al giudice solo previo indennizzo delle loro spese, il cui versamento incombe alla parte che cita i testimoni e non al giudice. L’autorità giudiziaria richiesta è quindi del parere che non si tratti di spese giudiziarie. Detto meccanismo corrisponderebbe al carattere contraddittorio della procedura civile irlandese.



58 A tale riguardo occorre tuttavia precisare che la nozione di spese deve essere determinata autonomamente secondo il diritto dell’Unione e non può dipendere dalla definizione secondo i singoli diritti nazionali. Sarebbe difatti contrario allo spirito e alla finalità del regolamento n. 1206/2001, che mira ad un’esecuzione rapida e semplice delle richieste di assunzione delle prove, fare dipendere la questione delle spese da una definizione nazionale di tale nozione.



59 Quanto ai termini utilizzati dall’art. 18, n. 1, di detto regolamento, per «tasse» si devono intendere le somme percepite dall’autorità giudiziaria per la sua attività, mentre per «spese» si devono intendere le somme versate dall’autorità giudiziaria a terzi nel corso del procedimento, in particolare a periti o a testimoni.



60 Come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, tale interpretazione trova sostegno in un argomento di ordine sistematico. Se l’art. 18, n. 1, del regolamento n. 1206/2001 riguardasse effettivamente solo le spese istituzionali, non sarebbe allora necessario prevedere, all’art. 18, n. 2, quale eccezione al divieto di cui al menzionato n. 1, il rimborso delle spese per i periti. Infatti, qualora le spese per i periti non potessero essere qualificate come spese istituzionali, esulerebbero dal citato divieto.



61 Ne discende che le indennità versate ad un testimone sentito dall’autorità giudiziaria richiesta rientrano nella nozione di spese ai sensi dell’art. 18, n. 1, del regolamento n. 1206/2001.



62 Quanto all’obbligo di rimborsare dette spese, occorre rammentare che, in base al secondo, settimo, ottavo, decimo e undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1206/2001, quest’ultimo ha come obiettivo il semplice, efficiente e rapido svolgimento delle assunzioni transfrontaliere delle prove. L’assunzione, da parte dell’autorità giudiziaria di uno Stato membro, delle prove in un altro Stato membro non deve generare un rallentamento dei procedimenti nazionali. Ciò è il motivo per cui è stata istituita, con il regolamento n. 1206/2001, una disciplina vincolante per tutti gli Stati membri – ad eccezione del Regno di Danimarca – al fine di rimuovere gli ostacoli che possono presentarsi in questo settore.



63 Un obbligo di rimborsare le spese per l’autorità giudiziaria richiedente può dunque sussistere unicamente se può applicarsi una delle eccezioni previste all’art. 18, n. 2, del regolamento n. 1206/2001.



64 Tale disposizione stabilisce il rimborso dei compensi versati ai periti o agli interpreti e delle spese risultanti dall’applicazione dell’art. 10, nn. 3 e 4, del regolamento n. 1206/2001. L’art. 10, n. 3, di detto regolamento si riferisce al caso che la richiesta venga eseguita in una determinata forma a domanda dell’autorità giudiziaria richiedente e l’art. 10, n. 4, del medesimo disciplina l’assunzione delle prove tramite il ricorso alle moderne tecnologie della comunicazione. Per contro, non sono ivi menzionate le indennità per i testimoni.



65 Inoltre, come fatto valere dalla Commissione e dall’avvocato generale ai paragrafi 60‑61 delle sue conclusioni, la genesi del regolamento n. 1206/2001 depone parimenti in senso contrario alla rimborsabilità delle indennità riconosciute ai testimoni. In base a quanto risulta dal sesto ‘considerando’ e dall’art. 21, n. 1, del regolamento n. 1206/2001, quest’ultimo è volto a sostituire la convenzione dell’Aia. Ne discende che le pertinenti disposizioni della convenzione dell’Aia possono essere invocate ai fini dell’interpretazione del regolamento di cui trattasi.



66 Orbene, il contenuto dell’art. 18 del regolamento n. 1206/2001 corrisponde a quello dell’art. 14 della convenzione dell’Aia, il cui n. 2, prevede che lo Stato richiesto ha il diritto di esigere dallo Stato richiedente il rimborso delle indennità pagate ai periti ed agli interpreti nonché delle spese risultanti dall’applicazione di una particolare procedura richiesta dallo Stato richiedente, conformemente all’art. 9, secondo comma, della convenzione stessa.



67 In tale contesto occorre ricordare che la convenzione dell’Aia ha modificato il dettato dell’art. 16 della convenzione dell’Aia del 1° marzo 1954 concernente la procedura civile, ove era ancora espressamente previsto il principio del rimborso delle indennità riconosciute ai testimoni. Dalla relazione illustrativa della convenzione dell’Aia risulta che era precisa intenzione ridurre i casi di rimborsabilità delle spese rispetto alla convenzione dell’Aia del 1° marzo 1954. Ciò è la ragione per cui il rimborso delle spese dei testimoni – proprio in considerazione del loro importo normalmente basso – è stato volutamente soppresso.



68 La circostanza che il regolamento n. 1206/2001 abbia ripreso la formulazione dell’art. 14 della convenzione dell’Aia depone, quindi, in senso sfavorevole al principio di rimborso delle indennità per i testimoni. In base all’art. 18, n. 1, di detto regolamento non vi è, quindi, obbligo di rimborso di tali spese.



69 Tutto ciò considerato, occorre risolvere la questione posta dichiarando che gli artt. 14 e 18 del regolamento n. 1206/2001 devono essere interpretati nel senso che un’autorità giudiziaria richiedente non è tenuta, nei confronti dell’autorità giudiziaria richiesta, al versamento di un anticipo ovvero al successivo rimborso dell’indennità riconosciuta al testimone interrogato.



Sulle spese



70 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.



Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara:



Gli artt. 14 e 18 del regolamento (CE) del Consiglio 28 maggio 2001, n. 1206, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale, devono essere interpretati nel senso che un’autorità giudiziaria richiedente non è tenuta, nei confronti dell’autorità giudiziaria richiesta, al versamento di un anticipo ovvero al successivo rimborso dell’indennità riconosciuta al testimone interrogato.