venerdì 16 aprile 2010

(C-511/08) AMBIENTE E CONSUMATORI - TUTELA DEI CONSUMATORI - CONTRATTI CONCLUSI A DISTANZA - DIRITTO DI RECESSO - ADDEBITO AL CONSUMATORE DELLE SPESE

(C-511/08) AMBIENTE E CONSUMATORI - TUTELA DEI CONSUMATORI - CONTRATTI CONCLUSI A DISTANZA - DIRITTO DI RECESSO - ADDEBITO AL CONSUMATORE DELLE SPESE DI CONSEGNA DEI BENI
La Corte ha stabilito che contrasta con l’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 15 aprile 2010

Nel procedimento C‑511/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof (Germania), con decisione 1° ottobre 2008, pervenuta in cancelleria il 25 novembre 2008, nella causa

Handelsgesellschaft Heinrich Heine GmbH

contro

Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. J.‑C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra C. Toader (relatore), dai sigg. C.W.A. Timmermans, P. Kūris e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 ottobre 2009,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV, dall’avv. K. Haase, Rechtsanwalt;

– per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e dalla sig.ra S. Unzeitig, in qualità di agenti;

– per il governo spagnolo, dal sig. J. Rodríguez Cárcamo, in qualità di agente;

– per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente;

– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes e dalla sig.ra H. Almeida, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e H. Krämer, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 gennaio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU L 144, pag. 19).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Handelsgesellschaft Heinrich Heine GmbH (in prosieguo: la «Handelsgesellschaft Heinrich Heine») e la Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen eV (in prosieguo: la «Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen») in merito all’addebito ai consumatori delle spese di consegna dei beni nei contratti conclusi a distanza.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3 Il quarto ‘considerando’ della direttiva 97/7 enuncia quanto segue:

«considerando che l’introduzione di nuove tecnologie comporta una moltiplicazione dei mezzi messi a disposizione dei consumatori per conoscere le offerte fatte dovunque nella Comunità e per fare le loro ordinazioni; che taluni Stati membri hanno già adottato disposizioni differenti o divergenti per la protezione dei consumatori nelle vendite a distanza con effetti negativi sulla concorrenza tra le imprese nel mercato unico; che è quindi necessario introdurre un minimo di regole comuni a livello comunitario in questo settore».

4 Il quattordicesimo ‘considerando’ della citata direttiva è formulato come segue:

«considerando che il consumatore non ha in concreto la possibilità di visionare il bene o di prendere conoscenza della natura del servizio prima della conclusione del contratto; che si dovrebbe prevedere un diritto di recesso, a meno che la presente direttiva non disponga diversamente; che è necessario limitare ai costi diretti di spedizione dei beni al mittente gli oneri – qualora ve ne siano – derivanti al consumatore dall’esercizio del diritto di recesso, che altrimenti resterà formale; che questo diritto di recesso lascia impregiudicati i diritti del consumatore previsti dalla legislazione nazionale, con particolare riferimento alla ricezione di beni deteriorati o servizi alterati o di servizi e beni non corrispondenti alla descrizione contenuta nell’offerta di tali prodotti o servizi; che spetta agli Stati membri determinare le altre condizioni e modalità relative all’esercizio del diritto di recesso».

5 L’art. 4 di tale direttiva, intitolato «Informazioni preliminari», dispone, al suo n. 1, quanto segue:

«In tempo utile prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere le seguenti informazioni:

(…)

c) prezzo del bene o del servizio, comprese tutte le tasse o imposte;

d) eventuali spese di consegna;

(…)».

6 I nn. 1 e 2 dell’art. 6 della medesima direttiva, che reca il titolo «Diritto di recesso», sanciscono quanto segue:

«1. Per qualunque contratto negoziato a distanza il consumatore ha diritto di recedere entro un termine di almeno sette giorni lavorativi senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente.

(…)

2. Se il diritto di recesso è stato esercitato dal consumatore conformemente al presente articolo, il fornitore è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, che dovrà avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. Tale rimborso deve avvenire nel minor tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni».

7 L’art. 14 della citata direttiva, intitolato «Clausola minima», dispone quanto segue:

«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe compatibili con il Trattato [CE], per garantire al consumatore un livello di protezione più elevato. Dette disposizioni comprendono, se del caso, il divieto, per ragioni d’interesse generale, della commercializzazione nel loro territorio di taluni beni o servizi, in particolare i medicinali, mediante contratti a distanza, nel rispetto del Trattato».

La normativa nazionale

8 L’art. 2 della legge sulle azioni inibitorie in caso di violazione dei diritti dei consumatori o di altre infrazioni (Gesetz über Unterlassungsklagen bei Verbraucherrechts- und anderen Verstößen) sancisce quanto segue:

«1. Chiunque violi disposizioni volte a tutelare i consumatori (legge sulla tutela dei consumatori), con modalità diverse dall’applicazione o dalla raccomandazione di condizioni generali di vendita, può essere soggetto ad un’azione inibitoria nell’interesse della tutela dei consumatori. Se le infrazioni commesse in un’impresa commerciale sono causate da un dipendente o da una persona delegata, l’azione inibitoria può essere diretta anche contro il proprietario dell’impresa.

2. Ai sensi della presente disposizione, per “legge sulla tutela dei consumatori”, si intendono in particolare:

1) le disposizioni del codice civile [Bürgerliches Gesetzbuch; in prosieguo: il “BGB”], le quali si applicano ai (…) contratti conclusi a distanza tra un professionista e un consumatore (…).

(...)».

9 L’art. 312 d del BGB, sotto la rubrica «Diritto di recesso e di restituzione nei contratti a distanza», al n. 1 così recita:

«Nei contratti a distanza spetta al consumatore un diritto di recesso ai sensi dell’art. 355. In caso di contratti di fornitura di merci, in luogo del diritto di recesso può essere riconosciuto al consumatore il diritto di restituzione ai sensi dell’art. 356».

10 Ai sensi dell’art. 346 del BGB, intitolato «Effetti del recesso»:

«1.Qualora una delle parti si sia riservata contrattualmente un diritto di recesso, o tale diritto le spetti in forza di una norma di legge, l’esercizio del recesso implica la riconsegna delle prestazioni ricevute e la restituzione degli utili ottenuti.

2. In luogo della riconsegna o della restituzione, il debitore è tenuto a corrispondere un rimborso di valore equivalente:

1) qualora la riconsegna o la restituzione sia esclusa in base alla natura di quanto ottenuto;

2) qualora egli abbia consumato, alienato, gravato, lavorato o trasformato il bene ricevuto,

3) in caso di deterioramento o perimento del bene; resta però escluso il deterioramento derivante dall’uso normale del bene.

Nel caso in cui il contratto preveda una controprestazione, essa dev’essere posta alla base del calcolo del rimborso del valore; se deve essere corrisposto il rimborso del valore per i vantaggi derivanti dall’utilizzazione di un mutuo, è ammessa la prova diretta a dimostrare che il valore di tali vantaggi era inferiore.

3. L’obbligo di rimborso del valore si estingue:

1) se il vizio legittimante il recesso si è manifestato solo durante la lavorazione o la trasformazione del bene,

2) se ed in quanto il deterioramento o il perimento sia imputabile al creditore, o se il danno sarebbe ugualmente sopravvenuto presso quest’ultimo,

3) qualora, in caso di diritto legale di recesso, il deterioramento o il perimento si sia verificato presso l’avente diritto sebbene questi abbia agito con la diligenza che è solito prestare nei propri affari.

L’arricchimento residuo dev’essere reso».

11 L’art. 347 del BGB, intitolato «Utilizzo dopo il recesso», al n. 2 così dispone:

«Qualora il debitore restituisca il bene, qualora versi un rimborso o qualora l’obbligo di versare un siffatto rimborso sia escluso ai sensi dell’art. 346, n. 3, punti 1 e 2, le spese necessarie da esso sostenute debbono essergli rimborsate. Ogni altra spesa deve essere rimborsata qualora abbia contribuito ad un arricchimento del creditore».

12 L’art. 355 del BGB, sotto la rubrica «Diritto di recesso nei contratti dei consumatori», al n. 1 dispone quanto segue:

«Nel caso in cui la legge attribuisca al consumatore un diritto di recesso ai sensi della presente disposizione, quest’ultimo non è più vincolato alla propria dichiarazione di volontà diretta alla conclusione del contratto qualora abbia esercitato il proprio diritto di recesso entro il termine. Il recesso non necessita una motivazione e deve essere dichiarato nei confronti dell’imprenditore per iscritto o mediante spedizione del bene al mittente entro due settimane; ai fini del rispetto del termine si tiene conto del giorno dell’invio».

13 L’art. 356 del BGB, intitolato «Diritto di restituzione nei contratti conclusi dai consumatori», al n. 1 prevede quanto segue:

«Nella misura in cui la legge espressamente lo autorizza, il diritto di recesso previsto dall’art. 355 può essere sostituito nel contratto con un diritto di restituzione illimitato qualora il contratto sia concluso sulla base di un prospetto di vendita. A tal fine è preliminarmente necessario:

1) che il prospetto di vendita contenga informazioni chiare sul diritto di restituzione,

2) che il consumatore abbia potuto prendere conoscenza esauriente del prospetto di vendita in assenza dell’operatore addetto e

3) che il diritto di restituzione venga concesso per iscritto al consumatore».

14 L’art. 357 del BGB, sotto la rubrica «Effetti giuridici del recesso e della restituzione», è formulato come segue:

«1. Se non diversamente stabilito, ai diritti di recesso e di restituzione si applicano le norme sul diritto legale di recesso in quanto compatibili. L’art. 286, n. 3, si applica in quanto compatibile all’obbligo di rimborso dei pagamenti ivi previsti; il termine ivi stabilito decorre dalla dichiarazione di recesso o di restituzione del consumatore, e segnatamente, per quanto riguarda l’obbligo di rimborso del consumatore, dall’invio di tale dichiarazione, mentre per quanto riguarda l’obbligo di rimborso dell’imprenditore, dalla sua ricezione.

(…)

3. In deroga all’art. 346, n. 2, primo periodo, punto 3, il consumatore è tenuto a corrispondere un rimborso per il deterioramento della cosa derivante da un uso della stessa conforme alla sua destinazione, purché sia stato informato per iscritto, al più tardi al momento della conclusione del contratto, di tale conseguenza e della possibilità di evitarla. Il rimborso non è dovuto se il deterioramento è esclusivamente riconducibile all’esame del bene. L’art. 346, n. 3, primo periodo, punto 3, non si applica qualora il consumatore sia stato correttamente informato del suo diritto di recesso o ne abbia avuto altrimenti conoscenza.

4. Non sono riconosciuti ulteriori diritti».

15 L’art. 448 del BGB, intitolato «Costi di consegna e costi simili», al n. 1 sancisce quanto segue:

«Il venditore sopporta i costi di consegna della cosa, l’acquirente i costi della ricezione e della spedizione della cosa in un luogo diverso dal luogo di esecuzione».

Causa principale e questione pregiudiziale

16 La Handelsgesellschaft Heinrich Heine è una società specializzata nella vendita per corrispondenza. Le condizioni generali di vendita di tale società prevedono che il consumatore paghi, a titolo di spese di consegna, un forfait di EUR 4,95 e che tale somma resti acquisita al fornitore in caso di recesso.

17 La Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen, un’associazione di consumatori costituita conformemente al diritto tedesco, ha intrapreso nei confronti della Handelsgesellschaft Heinrich Heine un’azione inibitoria intesa a farle rinunciare ad addebitare ai consumatori, in caso di recesso, le spese di consegna delle merci.

18 Il giudice di primo grado ha accolto la domanda della Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen.

19 L’appello proposto avverso tale sentenza dalla Handelsgesellschaft Heinrich Heine è stato respinto dall’Oberlandsgericht Karlsruhe.

20 Adito dalla Handelsgesellschaft Heinrich Heine con un ricorso per «Revision», il Bundesgerichtshof constata che il diritto tedesco non conferisce esplicitamente al consumatore alcun diritto al rimborso delle spese di consegna dei beni ordinati.

21 Tuttavia, secondo tale giudice, se la direttiva 97/7 dovesse essere interpretata nel senso che essa osta a che le spese di consegna dei beni vengano addebitate al consumatore in caso di recesso di quest’ultimo, le pertinenti disposizioni del BGB dovrebbero essere interpretate in modo conforme a tale direttiva, nel senso che il fornitore dovrebbe allora rimborsare al consumatore siffatte spese.

22 Il giudice del rinvio ritiene, tuttavia, di non essere in grado di stabilire con la dovuta certezza se tale direttiva, e in particolare il suo art. 6, nn. 1 e 2, debba essere interpretata in tal senso.

23 Il Bundesgerichtshof espone, a tale proposito, diversi argomenti a sostegno della soluzione secondo la quale la citata direttiva non osta ad una normativa come quella oggetto della causa principale.

24 In primo luogo, dunque, l’espressione «dovute all’esercizio del suo diritto di recesso» («infolge der Ausübung seines Widerrufsrechts») contenuta nella versione tedesca dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7 potrebbe suggerire che tali disposizioni riguardano unicamente le spese risultanti dall’esercizio del diritto di recesso con esclusione delle spese di consegna dei beni, che erano già state sostenute al momento del recesso. Le altre versioni linguistiche di tale direttiva, ed in particolare la versione inglese e quella francese, potrebbero suffragare una siffatta interpretazione.

25 In secondo luogo, l’art. 6, n. 2, prima frase, della citata direttiva non escluderebbe che, in caso di recesso, il fornitore ottenga una compensazione del valore delle prestazioni utilizzate dal consumatore che, per loro natura, non possono essere restituite. Sarebbe pertanto compatibile con il detto articolo ammettere che la consegna del bene è una prestazione per la quale il consumatore dovrebbe restituire al fornitore un valore di sostituzione pari alle spese di consegna e che l’obbligo di rimborso del fornitore sarebbe di conseguenza ridotto per l’ammontare di tali spese.

26 In terzo luogo, non sarebbe certo che l’obiettivo di tutela del consumatore, sancito segnatamente nel quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/7, imponga il rimborso delle spese di consegna del bene. Infatti, in occasione di un acquisto normale, il consumatore sosterrebbe anche le spese che il suo spostamento verso il negozio comporta, senza contare il tempo necessario allo spostamento.

27 Pertanto, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se le disposizioni dell’art. 6, nn. 1, [primo comma], seconda frase, e 2, della direttiva [97/7] debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una normativa nazionale secondo la quale le spese di consegna dei beni possono essere addebitate al consumatore anche quando questi ha esercitato il suo diritto di recesso».

Sulla questione pregiudiziale

Osservazioni presentate alla Corte

28 La Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen, i governi spagnolo, austriaco e portoghese, nonché la Commissione delle Comunità europee considerano che le disposizioni dell’art. 6 della direttiva 97/7 ostano ad una normativa nazionale che consente al fornitore di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.

29 Anzitutto, l’espressione «somme versate dal consumatore», indicata nell’art. 6, n. 2, prima frase, della direttiva 97/7, dovrebbe essere interpretata estensivamente per ricomprendere ogni prestazione finanziaria adempiuta dal consumatore nei confronti del fornitore nell’ambito dell’esecuzione del contratto, ivi comprese le spese di consegna dei beni.

30 Inoltre, l’art. 6, nn. 1 e 2, della citata direttiva prevederebbe che le uniche spese a carico del consumatore che esercita il suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. Di conseguenza, le altre spese, in particolare quelle relative alla consegna dei beni, non potrebbero essere poste a carico di quest’ultimo.

31 Infine, dovrebbero essere rimborsate al consumatore le spese che egli ha sostenuto per una prestazione accessoria del fornitore, quale la consegna dei beni, la quale non riveste alcun interesse, a seguito del recesso del consumatore, ai fini della tutela di quest’ultimo dai rischi dovuti all’impossibilità pratica di visionare i beni prima di concludere un contratto di vendita a distanza.

32 Il governo tedesco sostiene, al contrario, che le disposizioni dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva 97/7 devono essere interpretate nel senso che esse non ostano ad una siffatta normativa nazionale, secondo la quale le spese di consegna dei beni possono essere addebitate al consumatore qualora questi abbia esercitato il suo diritto di recesso.

33 Detto governo afferma, in sostanza, che la direttiva 97/7 non disciplina l’addebito delle spese di consegna in caso di recesso del consumatore. Pertanto, tale addebito risulterebbe dalle «altre condizioni e modalità relative all’esercizio del diritto di recesso», che spetta agli Stati membri determinare, come previsto al quattordicesimo ‘considerando’ della citata direttiva.

34 Questo stesso governo ritiene che il rimborso delle «somme versate» dal consumatore ai sensi dell’art. 6, n. 2, prima frase, della citata direttiva riguardi unicamente le prestazioni principali e, in particolare, il prezzo pagato dal consumatore.

35 La direttiva 97/7 opererebbe una distinzione tra le spese «dovute all’esercizio» del diritto di recesso, le quali conseguono all’attuazione di tale diritto, e le altre spese derivanti dalla conclusione o dall’esecuzione del contratto. A tale proposito, l’art. 6, n. 2, seconda frase, di tale direttiva riguarderebbe unicamente le spese conseguenti all’esercizio del diritto di recesso, mentre il regime applicabile alle altre spese contrattuali non sarebbe armonizzato dalla citata direttiva. Orbene, le spese di consegna avrebbero origine antecedentemente e indipendentemente dall’esercizio del diritto di recesso. Pertanto, il loro addebito sarebbe disciplinato dal diritto interno di ogni Stato membro.

36 Relativamente agli obiettivi perseguiti dall’art. 6 della direttiva 97/7, il governo tedesco fa valere che tale articolo è volto, certamente, a compensare lo svantaggio derivante dall’impossibilità per il consumatore di esaminare i beni prima della conclusione del contratto. Tuttavia, tali obiettivi non contengono alcuna indicazione atta a consentire una riconfigurazione completa della relazione contrattuale.

37 Peraltro, il fatto che il consumatore sopporti le spese di consegna non può impedirgli di esercitare il suo diritto di recesso. Infatti, da un lato, egli sarebbe informato prima della conclusione del contratto dell’ammontare di tali spese. D’altro canto, la decisione di recedere dal contratto sarebbe indipendente dall’esistenza di tali spese poiché queste ultime sarebbero già state sostenute.

Risposta della Corte

Osservazioni preliminari

38 Occorre rammentare, in via preliminare, che emerge dal quarto ‘considerando’ della direttiva 97/7 che quest’ultima è volta a introdurre un minimo di regole comuni a livello dell’Unione europea nel settore dei contratti a distanza.

39 In particolare, l’art. 6, n. 1, primo comma, prima frase, della citata direttiva riconosce al consumatore un diritto di recesso che egli può esercitare, entro un termine determinato, senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo.

40 Relativamente alle conseguenze giuridiche del recesso, l’art. 6, n. 2, prima e seconda frase, della direttiva 97/7 prevede che «il fornitore è tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, che dovrà avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente».

41 Tuttavia, emerge dal quattordicesimo ‘considerando’ di tale direttiva che l’armonizzazione delle conseguenze giuridiche del recesso non è completa e che spetta pertanto agli Stati membri «determinare le altre condizioni e modalità relative all’esercizio del diritto di recesso».

Sull’interpretazione dell’espressione «somme versate dal consumatore»

42 Nella causa principale, si pone la questione se nella portata dell’art. 6, nn. 1 e 2, della direttiva 97/7 rientri l’addebito al consumatore delle spese di consegna dei beni in caso di recesso di quest’ultimo, ovvero se, al contrario, spetti agli Stati membri determinare tale addebito.

43 A tale proposito, occorre constatare che la lettera dell’art. 6, n. 2, prima frase, della citata direttiva impone al fornitore, in caso di recesso del consumatore, un obbligo generale di rimborso riguardante tutte le somme versate da quest’ultimo risultanti dal contratto, qualunque sia la causa del pagamento di queste ultime.

44 Contrariamente a quanto rilevato dal governo tedesco, non emerge né dalla lettera delle disposizioni dell’art. 6 della direttiva 97/7 né dalla loro economia generale che i termini «somme versate» debbano essere interpretati nel senso che essi fanno unicamente riferimento al prezzo pagato dal consumatore, escluse le spese sopportate da quest’ultimo.

45 Infatti, la direttiva 97/7, conformemente al suo art. 4, opera una distinzione tra prezzo del bene e spese di consegna unicamente per quanto riguarda le informazioni messe a disposizione del consumatore dal fornitore prima della conclusione del contratto. Per contro, in merito alle conseguenze giuridiche del recesso, tale direttiva non opera una siffatta distinzione e si riferisce dunque a tutte le somme versate dal consumatore al fornitore.

46 Tale interpretazione è anche confermata dalla formulazione stessa dell’espressione «[l]e uniche spese eventualmente a carico del consumatore», utilizzata nella seconda frase del citato n. 2, per indicare le «spese dirette di spedizione dei beni al mittente». Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni, l’espressione «uniche spese» rende necessaria un’interpretazione restrittiva e conferisce pertanto un carattere esaustivo a tale eccezione.

47 Di conseguenza, emerge da quanto suesposto che i termini «somme versate», di cui all’art. 6, n. 2, prima frase, della direttiva 97/7 si estendono a tutte le somme versate dal consumatore per pagare le spese causate dal contratto, fatta salva l’interpretazione da fornire all’art. 6, n. 2, seconda frase, di tale direttiva.

Sull’interpretazione dell’espressione «dovute all’esercizio del suo diritto di recesso»

48 Come rammentato al punto 35 della presente sentenza, il governo tedesco sostiene anche che i termini «dovute all’esercizio del suo diritto di recesso», di cui all’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7, non riguardano tutte le spese a carico del consumatore, bensì unicamente quelle che presentano un nesso con l’esercizio del diritto di recesso. Pertanto, le citate disposizioni disciplinerebbero solo l’addebito delle spese causate dal recesso.

49 In via preliminare, occorre constatare che, in talune versioni linguistiche, la lettera dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della citata direttiva può essere interpretata nel senso che essa ha ad oggetto le sole spese conseguenti all’esercizio del diritto di recesso e causate da quest’ultimo, ovvero nel senso che essa fa riferimento a tutte le spese risultanti dalla conclusione, l’esecuzione o la cessazione del contratto, e che possono essere addebitate al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.

50 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 41 delle sue conclusioni, anche se le versioni tedesca, inglese e francese della direttiva 97/7 impiegano rispettivamente le espressioni «infolge», «because of» e «en raison de», nelle altre versioni linguistiche di tale medesima direttiva, in particolare quella spagnola e quella italiana, non si impiegano espressioni simili, ma si fa riferimento semplicemente al consumatore che esercita il suo diritto di recesso.

51 Secondo una giurisprudenza costante, la necessità che le direttive dell’Unione vengano interpretate in modo uniforme esclude che, in caso di dubbio, il testo di una disposizione sia considerato isolatamente, e impone, invece, che esso venga interpretato e applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali (v., in tal senso, sentenze 2 aprile 1998, causa C‑296/95, EMU Tabac e a., Racc. pag. I‑1605, punto 36; 17 giugno 1998, causa C‑321/96, Mecklenburg, Racc. pag. I‑3809, punto 29; 20 novembre 2008, causa C‑375/07, Heuschen & Schrouff Oriëntal Foods Trading, Racc. pag. I‑8691, punto 46, nonché 10 settembre 2009, causa C‑199/08, Eschig, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 54). Inoltre, in caso di difformità tra le diverse versioni linguistiche di un testo dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte (v. sentenze 9 marzo 2000, causa C‑437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I‑1157, punto 42; 4 ottobre 2007, causa C‑457/05, Schutzverband der Spirituosen-Industrie, Racc. pag. I‑8075, punto 18, nonché 9 ottobre 2008, causa C‑239/07, Sabatauskas e a., Racc. pag. I‑7523, punto 39).

52 Occorre rilevare che l’interpretazione dell’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della direttiva 97/7, ai sensi della quale tali disposizioni hanno ad oggetto tutte le spese risultanti dalla conclusione, dall’esecuzione nonché dalla cessazione del contratto, che possono essere addebitate al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso, corrisponde al sistema e alla finalità di tale direttiva.

53 Infatti, da un lato, tale interpretazione è corroborata dal fatto che, anche nelle versioni linguistiche della direttiva 97/7 le quali utilizzano, nell’art. 6 di quest’ultima, l’espressione «en raison de» o altre espressioni simili, il quattordicesimo ‘considerando’ di tale direttiva fa riferimento agli oneri derivanti al consumatore «dall’esercizio del diritto di recesso». Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo tedesco l’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, di tale direttiva ha ad oggetto tutte le spese risultanti dal contratto e non solo le spese conseguenti all’esercizio del diritto di recesso e causate da quest’ultimo.

54 Relativamente, dall’altro lato, allo scopo dell’art. 6 della direttiva 97/7, si deve sottolineare che il quattordicesimo ‘considerando’ della stessa enuncia che il divieto di addebitare al consumatore, in caso di suo recesso, spese risultanti dal contratto è finalizzato ad assicurare che il diritto di recesso garantito da tale direttiva «[non] rest[i] formale» (v., a tale proposito, sentenza 3 settembre 2009, causa C‑489/07, Messner, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 19). Dal momento che il citato art. 6 persegue quindi chiaramente lo scopo di evitare che il consumatore possa essere scoraggiato dall’esercitare il suo diritto di recesso, sarebbe contrario a detto scopo interpretare tale articolo nel senso che esso autorizzerebbe gli Stati membri a consentire che le spese di consegna siano addebitate al consumatore nel caso di un siffatto recesso.

55 A tale proposito, occorre rammentare che l’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, seconda frase, della citata direttiva autorizza il fornitore ad addebitare al consumatore, in caso di recesso di quest’ultimo, unicamente le spese dirette di spedizione dei beni al mittente.

56 Qualora le spese di spedizione dovessero parimenti essere addebitate al consumatore, siffatto addebito, che sarebbe necessariamente tale da scoraggiare quest’ultimo dall’esercizio del suo diritto di recesso, sarebbe in contrasto con lo scopo stesso dell’art. 6 della direttiva, come rammentato al punto 54 della presente sentenza.

57 Inoltre, un siffatto addebito sarebbe atto a rimettere in discussione l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza, accollando al consumatore tutte le spese connesse al trasporto dei beni.

58 Peraltro, il fatto che il consumatore sia stato informato dell’importo delle spese di consegna prima della conclusione del contratto non può ridurre il carattere dissuasivo che avrebbe l’addebito di tali spese al consumatore sull’esercizio da parte di quest’ultimo del suo diritto di recesso.

59 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono occorre risolvere la questione sottoposta dichiarando che l’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva 97/7 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.

Sulle spese

60 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 maggio 1997, 97/7/CE, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.

Sentenza nella causa C-511/08 - Consumatore - Recesso contratto a distanza

Sentenza nella causa C-511/08
Qualora un consumatore receda da un contratto concluso a distanza, non possono essergli addebitate le spese di consegna di un bene

In tal caso, solo le spese di spedizione al mittente possono essere poste a carico del consumatore
La direttiva riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza1 dispone che il consumatore ha diritto di recedere da un contratto concluso a distanza entro un termine di almeno sette giorni lavorativi, senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo. Qualora il consumatore eserciti il suo diritto di recesso, il fornitore è tenuto al rimborso delle somme versate, che dovrà avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente.
La Heinrich Heine, una società di vendita per corrispondenza, prevede nelle sue condizioni generali di vendita che il consumatore paghi, a titolo di spese di consegna, un forfait di EUR 4,95. Tale somma resta acquisita al fornitore anche nel caso in cui il consumatore eserciti il suo diritto di recesso. La Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen, un’associazione di consumatori tedesca, ha intrapreso nei confronti della Heinrich Heine un’azione inibitoria in quanto ritiene che le spese di consegna dei beni non vadano addebitate, in caso di recesso, al consumatore. A parere del Bundesgerichtshof (Corte di cassazione, Germania), investito della controversia in ultima istanza, il diritto tedesco non conferisce esplicitamente all’acquirente alcun diritto al rimborso delle spese di consegna dei beni ordinati. Nutrendo, tuttavia, taluni dubbi sulla compatibilità con la direttiva della fatturazione al consumatore delle spese di consegna dei beni anche quando questi ha esercitato il suo diritto di recesso, tale giudice ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare la direttiva.
Nella sentenza pronunciata in data odierna, la Corte statuisce che la direttiva è contraria ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare al consumatore le spese di consegna dei beni qualora questi eserciti il suo diritto di recesso.
Le disposizioni della direttiva relative alle conseguenze giuridiche del recesso perseguono chiaramente lo scopo di evitare che il consumatore sia scoraggiato dall’esercitare il suo diritto di recesso. Sarebbe pertanto contrario a detto scopo interpretare tali disposizioni nel senso che esse autorizzerebbero gli Stati membri a consentire che le spese di consegna siano addebitate a tale consumatore in caso di recesso. Peraltro, il fatto di addebitare al consumatore le spese di consegna, oltre alle spese dirette di spedizione dei beni al mittente, potrebbe compromettere l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza, accollando al consumatore tutte le spese connesse al trasporto dei beni.