domenica 28 febbraio 2010

(C‑403/09) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE - AFFIDAMENTO DI MINORE - TRASFERIMENTO ILLECITO

(C‑403/09) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE - AFFIDAMENTO DI MINORE - TRASFERIMENTO ILLECITO IN ALTRO STATO MEMBRO - PROCEDIMENTO PREGIUDIZIALE D'URGENZA
Dopo che un tribunale italiano, in sede di separazione matrimoniale, aveva provvisoriamente concesso l’affidamento esclusivo di una minore al padre, la madre si era trasferita nello Stato di appartenenza (Slovenia), portando con sé la minore. L’A.G. slovenia rendeva esecutiva l’ordinanza del giudice italiano e avviava il procedimento per la restituzione della minore, che veniva tuttavia sospeso fino alla conclusione definitiva del procedimento principale in Italia, disponendo l’affidamento, in via provvisoria e cautelare, della bambina alla madre, sul combinato disposto dell’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 e dell’art. 13 della convenzione dell’Aja del 1980, adducendo a motivazione il mutamento delle circostanze e l’interesse della minore.
Adita la Corte di giustizia in via pregiudiziale, nel procedimento di opposizione proposto dal padre, la Corte ha stabilito che l’art. 20 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione quale quella sopradscritta, esso non consente ad un giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale inteso a concedere l’affidamento di un minore che si trova nel territorio di tale Stato ad uno dei suoi genitori, nel caso in cui un giudice di un altro Stato membro, competente in forza del detto regolamento a conoscere del merito della controversia relativa all’affidamento, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore, e tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 23 dicembre 2009

Nel procedimento C‑403/09 PPU,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Višje sodišče v Mariboru (Slovenia) con decisione 19 ottobre 2009, pervenuta in cancelleria il 20 ottobre successivo, nella causa promossa da

Jasna Detiček

contro

Maurizio Sgueglia,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász, J. Malenovský (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la domanda del giudice del rinvio in data 19 ottobre 2009, pervenuta alla Corte il 20 ottobre successivo, di sottoporre il rinvio pregiudiziale a un procedimento d’urgenza, a norma dell’art. 104 ter del regolamento di procedura,

vista la decisione della Terza Sezione in data 27 ottobre 2009 di accogliere la suddetta domanda,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 7 dicembre 2009,

considerate le osservazioni presentate:

– per la sig.ra Detiček, dal sig. B. Žibret, odvetnik;

– per il sig. Sgueglia, dal sig. L. Varanelli, odvetnik;

– per il governo sloveno, dalla sig.ra N. Aleš Verdir, in qualità di agente;

– per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;

– per il governo tedesco, dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agente;

– per il governo francese, dalla sig.ra B. Beaupère-Manokha, in qualità di agente;

– per il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato;

– per il governo lettone, dalla sig.ra K. Drevina, in qualità di agente;

– per il governo polacco, dal sig. M. Arciszewski, in qualità di agente;

– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra A.-M. Rouchaud‑Joët e dal sig. M. Žebre, in qualità di agenti,

sentito l’avvocato generale,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 20 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU L 338, pag. 1).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Detiček ed il sig. Sgueglia riguardante l’affidamento della loro figlia Antonella.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3 Il dodicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2201/2003 enuncia quanto segue:

«[Le] regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale accolte nel presente regolamento [sono ispirate] all’interesse superiore del minore e in particolare al criterio di vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene anzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, salvo ove si verifichi un cambiamento della sua residenza o in caso di accordo fra i titolari della responsabilità genitoriale».

4 Il sedicesimo ‘considerando’ del detto regolamento così precisa:

«Il presente regolamento non osta a che i giudici di uno Stato membro adottino, in casi di urgenza, provvedimenti provvisori o cautelari relativi alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati».

5 Il ventunesimo ‘considerando’ del regolamento così recita:

«Il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile».

6 Il trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2201/2003 stabilisce quanto segue:

«Il presente regolamento riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti [...] dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1; in prosieguo: la “Carta”)]. In particolare, mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino quali riconosciuti dall’articolo 24 della [Carta]».

7 L’art. 2 di tale regolamento così dispone:

«Ai fini del presente regolamento valgono le seguenti definizioni:

(…)

4) “decisione”: una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio emessa dal giudice di uno Stato membro, nonché una decisione relativa alla responsabilità genitoriale, a prescindere dalla denominazione usata per la decisione, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza;

(…)

11) “trasferimento illecito o mancato ritorno del minore”: il trasferimento o il mancato rientro di un minore:

a) quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro

e

b) se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi. L’affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non può, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro titolare della responsabilità genitoriale».

8 L’art. 8, n. 1, del regolamento n. 2201/2003 ha il seguente tenore:

«Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui [le autorità suddette] sono adit[e]».

9 L’art. 20 del citato regolamento, intitolato «Provvedimenti provvisori e cautelari», così prescrive:

«1. In casi d’urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro.

2. I provvedimenti adottati in esecuzione del paragrafo 1 cessano di essere applicabili quando l’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati».

10 L’art. 21, nn. 1 e 3, del suddetto regolamento prevede:

«1. Le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento.

(…)

3. Fatta salva la sezione 4 del presente capo, ogni parte interessata può far dichiarare, secondo il procedimento di cui alla sezione 2, che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta.

(...)».

La Convenzione dell’Aja del 1980

11 L’art. 12 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (in prosieguo: la «convenzione dell’Aja del 1980»), così dispone:

«Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell’articolo 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell’istanza presso l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l’autorità adita ordina il suo ritorno immediato.

L’autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente.

Se l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto ha motivo di ritenere che il minore sia stato condotto in un altro Stato, essa può sospendere la procedura o respingere la domanda di ritorno del minore».

12 L’art. 13 della convenzione dell’Aja del 1980 è così formulato:

«Nonostante le disposizioni del precedente articolo, l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno dimostri:

a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; o

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile.

L’autorità giudiziaria o amministrativa può altresì rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.

Nel valutare le circostanze di cui al presente articolo, le autorità giudiziarie e amministrative devono tener conto delle informazioni fornite dall’Autorità centrale o da ogni altra autorità competente dello Stato di residenza abituale del minore, riguardo alla sua situazione sociale».

La normativa nazionale

13 L’art. 411, nn. 1 e 3, del codice di procedura civile sloveno (Zakon o pravdnem postopku) stabilisce quanto segue:

«1. Nell’ambito delle cause matrimoniali e di quelle attinenti ai rapporti tra genitori e figli, il giudice può emettere, su istanza di parte ovvero d’ufficio, provvedimenti provvisori relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli comuni, nonché provvedimenti provvisori riguardanti la revoca o la limitazione del diritto di visita ovvero le modalità di attuazione del diritto di visita.

(…)

3. I provvedimenti provvisori di cui ai paragrafi precedenti vengono concessi in conformità delle disposizioni della legge che disciplina i procedimenti cautelari».

14 L’art. 272, n. 1, della legge slovena sui procedimenti esecutivi e cautelari (Zakon o izvršbi in zavarovanju; in prosieguo: il «ZIZ») così dispone:

«Il giudice emette un provvedimento provvisorio a garanzia di un diritto di credito non pecuniario qualora il creditore dimostri in modo plausibile di essere titolare di un diritto siffatto ovvero che egli diverrà titolare di un diritto siffatto nei confronti del debitore. Il creditore deve dimostrare in modo plausibile (...) che la misura provvisoria è necessaria per evitare l’uso della forza ovvero l’insorgere di un danno difficilmente risarcibile (...)».

15 L’art. 267 del ZIZ recita:

«Il provvedimento provvisorio può essere concesso prima dell’avvio del procedimento giurisdizionale, nel corso di questo, o anche dopo la sua fine, in ogni caso prima che sia attuata la fase esecutiva».

16 L’art. 278, n. 2, del ZIZ è così formulato:

«Il giudice, anche su istanza del debitore, interrompe il procedimento e annulla gli atti compiuti, qualora le circostanze sulla cui base è stata concessa la misura provvisoria siano mutate in modo tale da renderla non più necessaria».

17 L’art. 105, n. 3, della legge slovena sul matrimonio e sui rapporti familiari (Zakon o zakonski zvezi in družinskih razmerjih) dispone quanto segue:

«Se i genitori, anche con l’aiuto dei servizi sociali, non si accordano sull’affidamento e sull’educazione dei figli, il giudice dispone, su istanza di uno o entrambi i genitori, che tutti i figli siano affidati a uno di essi ovvero che uno o più figli siano affidati ad uno dei genitori e gli altri all’altro genitore. Il giudice può altresì decidere d’ufficio che tutti i figli ovvero alcuni di essi vengano affidati ad un’altra persona (...)».

Causa principale e questioni pregiudiziali

18 La sig.ra Detiček, cittadina slovena, ed il sig. Sgueglia, coniugi tra i quali è in corso un giudizio di separazione, hanno risieduto a Roma (Italia) per 25 anni. La loro figlia Antonella è nata il 6 settembre 1997.

19 Il 25 luglio 2007, il giudice competente di Tivoli (Italia) (in prosieguo: il «Tribunale di Tivoli»), adito dai coniugi Detiček e Sgueglia con una domanda di separazione, riguardante anche l’affidamento della figlia Antonella, ha provvisoriamente concesso l’affidamento esclusivo di quest’ultima al sig. Sgueglia, disponendo il provvisorio collocamento della minore nell’istituto di accoglienza delle Suore Calasanziane di Roma.

20 Sempre in quella data, la sig.ra Detiček ha lasciato l’Italia con la figlia Antonella per recarsi in Slovenia, nella città di Zgornje Poljčane, dove esse tuttora vivono.

21 Con decisione dell’Okrožno sodišče v Mariboru (Tribunale regionale di Maribor) (Slovenia) in data 22 novembre 2007, confermata dalla decisione 2 ottobre 2008 del Vrhovno sodišče (Corte di cassazione) (Slovenia), l’ordinanza del Tribunale di Tivoli del 25 luglio 2007 è stata dichiarata esecutiva nel territorio della Repubblica di Slovenia.

22 Sulla base di tale decisione del Vrhovno sodišče, è stato avviato dinanzi all’Okrajno sodišče v Slovenski Bistrici (Tribunale distrettuale di Slovenska Bistrica) (Slovenia) il procedimento esecutivo per la restituzione al sig. Sgueglia della figlia e il successivo collocamento di quest’ultima nell’istituto di accoglienza sopra menzionato. Tuttavia, il citato giudice dell’esecuzione, con ordinanza 2 febbraio 2009, ha sospeso il procedimento dinanzi ad esso pendente fino alla conclusione definitiva del procedimento principale.

23 Il 28 novembre 2008 la sig.ra Detiček ha adito l’Okrožno sodišče v Mariboru al fine di ottenere, mediante una misura provvisoria e cautelare, l’affidamento della figlia.

24 Con ordinanza 9 dicembre 2008, il detto tribunale ha accolto la domanda della sig.ra Detiček, concedendole l’affidamento provvisorio della figlia Antonella. Esso ha fondato la propria decisione sul combinato disposto dell’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 e dell’art. 13 della convenzione dell’Aja del 1980, adducendo a motivazione il mutamento delle circostanze e l’interesse della minore.

25 A questo proposito, l’Okrožno sodišče v Mariboru ha considerato che Antonella si era integrata nel suo ambiente sociale in Slovenia. Un ritorno in Italia, con un collocamento forzato in un istituto di accoglienza, sarebbe stato contrario al benessere della minore, in quanto ciò le avrebbe provocato traumi fisici e psichici irreversibili. Inoltre, nel corso del procedimento giudiziario svoltosi in Slovenia, Antonella avrebbe espresso il desiderio di restare con la madre.

26 Il sig. Sgueglia ha proposto opposizione avverso tale provvedimento dinanzi al medesimo giudice sopra citato, il quale ha respinto il suo ricorso con ordinanza provvisoria in data 29 giugno 2009.

27 Il sig. Sgueglia ha interposto appello contro tale ordinanza dinanzi al Višje sodišče v Mariboru (Corte d’appello di Maribor) (Slovenia).

28 Alla luce di tali fatti, il Višje sodišče v Mariboru ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se un giudice della Repubblica di Slovenia (Stato membro dell’[Unione europea]) sia competente, ai sensi dell’art. 20 del regolamento [n. 2201/2003], a emettere provvedimenti cautelari nel caso in cui un giudice di un altro Stato membro, competente a conoscere del merito in forza del detto regolamento, abbia già emesso un provvedimento cautelare, dichiarato esecutivo nella Repubblica di Slovenia.

In caso di soluzione affermativa della questione di cui sopra:

2) se il giudice sloveno, in applicazione del diritto nazionale (consentita dal citato art. 20 del regolamento [n. 2201/2003]), possa, nell’emettere un provvedimento cautelare ai sensi di tale art. 20 del regolamento, modificare o annullare un provvedimento cautelare definitivo ed esecutivo emesso dal giudice di un altro Stato membro, competente, a norma del medesimo regolamento, a conoscere del merito della causa».

Sul procedimento d’urgenza

29 Il Višje sodišče v Mariboru ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale sia sottoposto al procedimento d’urgenza previsto dall’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte.

30 Il giudice del rinvio ha addotto a motivazione di tale domanda la coesistenza di una decisione giurisdizionale esecutiva adottata dal giudice italiano, che in via cautelare concede l’affidamento della minore al padre, nonché di una decisione giurisdizionale in senso contrario, adottata in sede cautelare dal giudice sloveno, che attribuisce l’affidamento della giovane alla madre. Il giudice del rinvio constata altresì la necessità di agire rapidamente, in quanto una decisione tardiva sarebbe contraria all’interesse della minore e potrebbe portare ad un deterioramento irreparabile dei rapporti tra lei e il padre. Il detto giudice fa infine presente che il carattere provvisorio della misura adottata, nell’ambito del procedimento cautelare in merito all’affidamento della minore, impone di per sé solo, al fine di non prolungare lo stato di incertezza giuridica, l’intervento urgente della Corte.

31 La Terza Sezione della Corte, sentito l’avvocato generale, ha deciso, in data 27 ottobre 2009, di accogliere la domanda del giudice del rinvio intesa a sottoporre il rinvio pregiudiziale al procedimento d’urgenza.

Sulle questioni pregiudiziali

32 Con le sue due questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 debba essere interpretato nel senso che esso consente ad un giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale inteso a concedere l’affidamento di un minore, che si trova nel territorio dello Stato suddetto, ad uno dei suoi genitori, nel caso in cui un giudice di un altro Stato membro, competente in forza del detto regolamento a conoscere del merito della controversia relativa all’affidamento, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore, e tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro.

33 Secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa e del suo contesto, ma anche degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [v., in tal senso, segnatamente, sentenze 18 maggio 2000, causa C‑301/98, KVS International, Racc. pag. I‑3583, punto 21; 23 novembre 2006, causa C‑300/05, ZVK, Racc. pag. I‑11169, punto 15, e 22 ottobre 2009, causa C‑301/08, Bogiatzi (coniugata Ventouras), non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39].

34 Risulta inoltre da una giurisprudenza consolidata che gli Stati membri sono tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto comunitario, ma anche a fare in modo di non basarsi su un’interpretazione di norme di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con gli altri principi generali del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze 6 novembre 2003, causa C‑101/01, Lindqvist, Racc. pag. I‑12971, punto 87, e 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., Racc. pag. I‑5305, punto 28).

35 In via preliminare va osservato che, a termini del dodicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2201/2003, le regole di competenza dettate da quest’ultimo in materia di responsabilità genitoriale sono ispirate all’interesse superiore del minore e, in particolare, al criterio di vicinanza.

36 A norma dell’art. 8 del regolamento n. 2201/2003, la competenza in materia di responsabilità genitoriale è attribuita, in primo luogo, ai giudici dello Stato membro nel quale il minore ha la propria residenza abituale alla data in cui l’autorità giudiziaria viene adita. Infatti, a motivo della loro vicinanza geografica, tali giudici si trovano di norma nella migliore posizione per valutare le misure da adottare nell’interesse del minore.

37 Nel caso di specie, risulta dalla decisione di rinvio nonché dall’ordinanza dell’Okrožno sodišče v Mariboru in data 9 dicembre 2008 che il Tribunale di Tivoli è, a norma del citato art. 8, il giudice competente a conoscere del merito di qualsiasi questione attinente alla responsabilità genitoriale nella causa principale.

38 Tuttavia, l’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003 stabilisce che i giudici di uno Stato membro nel quale si trovi il minore sono autorizzati, in presenza di determinati presupposti, ad adottare i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla loro legge nazionale, anche se il suddetto regolamento conferisce ad un giudice di un altro Stato membro la competenza a conoscere del merito. Costituendo un’eccezione al sistema di competenze previsto dal citato regolamento, la disposizione di cui sopra dev’essere interpretata restrittivamente.

39 Come risulta dal testo stesso dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003, i giudici contemplati da tale disposizione sono autorizzati a concedere siffatti provvedimenti provvisori o cautelari soltanto a condizione che vengano rispettate tre condizioni cumulative, ossia, più precisamente, i provvedimenti in questione devono essere urgenti, devono essere adottati nei confronti di persone o beni presenti nello Stato membro in cui siedono i detti giudici nazionali, e devono avere carattere provvisorio (v., in tal senso, sentenza 2 aprile 2009, causa C‑523/07, A, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47).

40 Pertanto, il mancato rispetto di una sola di queste tre condizioni determina come conseguenza l’impossibilità di ricondurre il previsto provvedimento all’interno della sfera di applicazione dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003.

41 Va esaminata, anzitutto, la condizione relativa all’urgenza.

42 Atteso che l’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003 conferisce ad un giudice non competente nel merito il potere di adottare, in via eccezionale, un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale, occorre ritenere che la nozione di urgenza cui fa riferimento la detta disposizione si correli, al tempo stesso, alla situazione in cui si trova il minore e all’impossibilità pratica di presentare la domanda relativa alla responsabilità genitoriale dinanzi al giudice competente a conoscere del merito.

43 Risulta dalla decisione di rinvio che l’Okrožno sodišče v Mariboru, nella sua ordinanza 9 dicembre 2008, ha constatato l’esistenza di una situazione d’urgenza ai sensi dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003, riferendosi al mutamento di circostanze intervenuto successivamente all’adozione, da parte del Tribunale di Tivoli, del provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale che ha concesso al padre l’affidamento esclusivo della minore. Tale mutamento di circostanze sarebbe derivato dal fatto che la minore si è nel frattempo ben integrata nell’ambiente nel quale essa vive attualmente in Slovenia. Sulla scorta di tali premesse, l’Okrožno sodišče v Mariboru ha giudicato che il ritorno della minore in Italia, che conseguirebbe dall’esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Tivoli, porrebbe la minore suddetta in una situazione capace di nuocere gravemente al suo benessere.

44 Tuttavia, le circostanze evocate dall’Okrožno sodišče v Mariboru non consentono di affermare l’esistenza di una situazione d’urgenza ai sensi dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003.

45 Infatti, in primo luogo, ammettere l’esistenza di una situazione d’urgenza in un caso quale quello presente sarebbe in contrasto con il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate negli Stati membri, stabilito dal regolamento n. 2201/2003, principio che, come risulta dal ventunesimo ‘considerando’ di quest’ultimo, è a sua volta fondato sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri.

46 Tra le norme che sanciscono i principi richiamati al punto precedente occorre menzionare, in particolare, quella di cui all’art. 28, n. 1, del regolamento n. 2201/2003 – ai sensi del quale le decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, emesse ed esecutive nello Stato membro di origine, devono, in linea di principio, essere eseguite nello Stato membro richiesto – nonché quella di cui all’art. 31, n. 3, del medesimo regolamento, che vieta qualsiasi riesame del merito di una decisione della quale venga chiesta l’esecuzione.

47 Orbene, nella presente fattispecie, una decisione provvisoria in materia di responsabilità genitoriale è stata adottata dal giudice competente a conoscere del merito, vale a dire il Tribunale di Tivoli, ed è stata dichiarata esecutiva in Slovenia. Se un mutamento di circostanze derivante da un processo graduale, quale l’integrazione della minore in un nuovo ambiente, fosse sufficiente a conferire ad un giudice non competente a conoscere del merito il potere, ex art. 20, n. 1, del regolamento n. 2203/2001, di adottare un provvedimento provvisorio per la modifica della misura in materia di responsabilità genitoriale adottata dal giudice competente nel merito, l’eventuale lentezza della procedura di esecuzione nello Stato membro richiesto contribuirebbe a creare le condizioni idonee a consentire al primo giudice di impedire l’esecuzione della decisione dichiarata esecutiva. Una simile interpretazione della disposizione suddetta comprometterebbe i principi stessi sui quali il regolamento in parola si fonda.

48 In secondo luogo, occorre rilevare che, nella presente fattispecie, il mutamento della situazione della minore deriva da un trasferimento illecito ai sensi dell’art. 2, punto 11, del regolamento n. 2201/2003. Il provvedimento provvisorio emesso dall’Okrožno sodišče v Mariboru è fondato, infatti, non soltanto sull’art. 20, n. 1, del detto regolamento, ma anche sull’art. 13 della convenzione dell’Aja del 1980, che è applicabile unicamente in caso di trasferimento o mancato ritorno illeciti.

49 Orbene, il riconoscimento di una situazione d’urgenza in un caso quale quello presente contravverrebbe alla finalità del regolamento n. 2201/2003, che mira a ostacolare gli illeciti trasferimenti o mancati rientri di minori da uno Stato membro all’altro (v., in tal senso, sentenza 11 luglio 2008, causa C‑195/08 PPU, Rinau, Racc. pag. I‑5271, punto 52). Infatti, ove si riconoscesse la possibilità di adottare, sulla base dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003, una misura implicante il mutamento della responsabilità genitoriale, ciò si tradurrebbe – attraverso il consolidamento di una situazione di fatto derivante da una condotta illecita – in un rafforzamento della posizione del genitore responsabile del trasferimento illecito.

50 Inoltre, come risulta dal testo stesso dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003, i provvedimenti provvisori devono essere presi relativamente alle persone presenti nello Stato membro in cui siedono i giudici competenti all’adozione di tali misure.

51 Ora, un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale, inteso ad una modifica dell’affidamento di un minore, non viene preso soltanto in relazione al minore stesso, bensì anche nei confronti del genitore cui ora viene attribuito l’affidamento, nonché dell’altro genitore che si vede sottrarre, a seguito dell’adozione di una misura siffatta, l’affidamento precedente.

52 Nel caso di specie, è pacifico che una delle persone relativamente alle quali una simile misura viene adottata, ossia il padre, risiede in un altro Stato membro, e nulla indica che egli sia presente nello Stato membro il cui giudice rivendica la competenza a norma dell’art. 20, n. 1, del regolamento n. 2201/2003.

53 Infine, le considerazioni sopra svolte sono suffragate dalle esigenze che emergono dal trentatreesimo ‘considerando’ del regolamento n. 2201/2003, a termini del quale quest’ultimo riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta, procurando, in particolare, che sia garantito il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino, quali riconosciuti dall’art. 24 della Carta medesima.

54 Occorre rilevare che uno di tali diritti fondamentali del bambino è quello, sancito dall’art. 24, n. 3, della Carta, di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, il rispetto del quale si identifica innegabilmente con un interesse superiore di qualsiasi bambino.

55 Orbene, l’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 non può essere interpretato in modo tale da portare ad una violazione del suddetto diritto fondamentale.

56 A questo proposito, è giocoforza constatare che, il più delle volte, un trasferimento illecito del minore, a seguito di una decisione presa unilateralmente da uno dei suoi genitori, priva il bambino della possibilità di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con l’altro genitore.

57 Pertanto, l’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 non può essere interpretato in modo tale da costituire, per il genitore che ha trasferito illecitamente il minore, uno strumento per prolungare la situazione di fatto creata dal suo comportamento illecito o per legittimare gli effetti di quest’ultimo.

58 Vero è che, ai sensi dell’art. 24, n. 3, della Carta, è possibile derogare al diritto fondamentale del bambino di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori qualora tale interesse superiore si riveli contrario a un altro interesse del minore.

59 Pertanto, occorre ritenere che una misura che impedisca al minore di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i suoi due genitori potrebbe essere giustificata soltanto da un altro interesse del minore di importanza tale da comportarne il prevalere sull’interesse sotteso al citato diritto fondamentale.

60 Tuttavia, una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco, da effettuarsi sulla base di considerazioni oggettive riguardanti la persona stessa del minore e il suo ambiente sociale, deve essere compiuta, in linea di principio, nell’ambito di un procedimento dinanzi al giudice competente a conoscere del merito in forza delle disposizioni del regolamento n. 2201/2003.

61 Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che l’art. 20 del regolamento n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione quale quella oggetto della causa principale, esso non consente ad un giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale inteso a concedere l’affidamento di un minore che si trova nel territorio di tale Stato ad uno dei suoi genitori, nel caso in cui un giudice di un altro Stato membro, competente in forza del detto regolamento a conoscere del merito della controversia relativa all’affidamento, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore, e tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro.

Sulle spese

62 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

L’art. 20 del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione quale quella oggetto della causa principale, esso non consente ad un giudice di uno Stato membro di adottare un provvedimento provvisorio in materia di responsabilità genitoriale inteso a concedere l’affidamento di un minore che si trova nel territorio di tale Stato ad uno dei suoi genitori, nel caso in cui un giudice di un altro Stato membro, competente in forza del detto regolamento a conoscere del merito della controversia relativa all’affidamento, abbia già emesso una decisione che affida provvisoriamente il minore all’altro genitore, e tale decisione sia stata dichiarata esecutiva nel territorio del primo Stato membro.

(C-45/08) DIRETTIVA 2003/6 - ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE - USO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE - SANZIONI - PRESUPPOSTI

(C-45/08) DIRETTIVA 2003/6 - ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE - USO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE - SANZIONI - PRESUPPOSTI
Con la pronuncia del 23 dicembre 2009, relativa ad una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli artt. 2 e 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, riguardante l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato (abusi di mercato), la Corte di Giustizia ha enunciato i seguenti principi di diritto: 1) l’art. 2, n. 1, della su citata direttiva deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al secondo comma di tale disposizione che detiene informazioni privilegiate acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporta che tale persona ha «utilizzato tali informazioni» ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell’abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalità di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate; 2) l’art. 14, n. 1, della direttiva sopra citata deve essere interpretato nel senso che il vantaggio economico risultante da un abuso di informazioni privilegiate può costituire un elemento pertinente ai fini della determinazione di una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva. Il metodo di calcolo di tale vantaggio economico e, in particolare, la data o il periodo da prendere in considerazione rientrano nel diritto nazionale; 3) l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro, salvo le sanzioni amministrative previste da tale disposizione, ha previsto la possibilità d’infliggere una sanzione finanziaria penale, nella valutazione del carattere efficace, proporzionato e dissuasivo della sanzione amministrativa non occorre tenere conto della possibilità e/o del livello di un’eventuale sanzione penale ulteriore. Di particolare rilievo, tra l’altro, l’affermazione (punto 44) secondo cui il principio della presunzione d’innocenza non osta alla presunzione prevista dall’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6, con la quale l’intenzione dell’autore di un abuso di informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi materiali costitutivi di tale violazione, dato che questa presunzione è confutabile e i diritti della difesa sono garantiti.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 23 dicembre 2009

Nel procedimento C‑45/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dallo Hof van beroep te Brussel (Belgio) con decisione 1° febbraio 2008, pervenuta in cancelleria l’8 febbraio 2008, nella causa

Spector Photo Group NV,

Chris Van Raemdonck

contro

Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA),

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dalla sig.ra P. Lindh (relatore), dai sigg. A. Rosas, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 giugno 2009,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Spector Photo Group NV e per il sig. Van Raemdonck, dagli avv.ti K. Van den Broeck, W. Henckens e W. Devroe, advocaten;

– per la Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA), dagli avv.ti J. Cerfontaine, F. Deruyck e H. Gilliams, advocaten;

– per il governo belga, dal sig. J.‑C. Halleux, in qualità di agente, assistito dall’avv. J. Meyers, advocaat;

– per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e J.‑C. Gracia, in qualità di agenti;

– per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. J. Newman, BL;

– per il governo italiano, dal sig. R. Adam, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;

– per il governo cipriota, dal sig. D. Lysandrou, in qualità di agente;

– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes e dalla sig.ra C. Guerra Santos, in qualità di agenti;

– per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Ossowski, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Henshaw, barrister;

– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra P. Dejmek e dal sig. W. Roels, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 settembre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2 e 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GU L 96, pag. 16).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Spector Photo Group NV (in prosieguo: la «Spector») e uno dei suoi dirigenti, il sig. Van Raemdonck, e la Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (Commissione per il settore bancario, finanziario e assicurativo; in prosieguo: la «CBFA»), avendo quest’ultima inflitto loro ammende per abuso di informazioni privilegiate.

Contesto normativo

Il diritto comunitario

3 L’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/592/CEE, sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading) (GU L 334, pag. 30), definiva queste ultime nel seguente modo:

«Ciascuno Stato membro vieta alle persone che dispongono di un’informazione privilegiata:

– a motivo della loro qualità di membri degli organi di amministrazione, di direzione o di sorveglianza dell’emittente,

– a motivo della loro partecipazione nel capitale dell’emittente, oppure,

– per il fatto di avere accesso a questa informazione a motivo del
loro lavoro, della loro professione e delle loro funzioni,

di acquisire o di cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente i valori mobiliari dell’emittente o degli emittenti interessati da questa informazione, sfruttando consapevolmente tale informazione privilegiata».

4 La direttiva 89/592 è stata abrogata a decorrere dall’entrata in vigore della direttiva 2003/6 il 12 aprile 2003. L’art. 2 di quest’ultima prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri vietano alle persone di cui al secondo comma che dispongono di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni acquisendo o cedendo, o cercando di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono.

Il primo comma si applica a chiunque possieda tali informazioni:

a) a motivo della sua qualità di membro degli organi di amministrazione, di direzione o di controllo dell’emittente, ovvero

b) a motivo della sua partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero

c) per il fatto di avere accesso a tali informazioni a motivo del suo lavoro, della sua professione e delle sue funzioni, ovvero

d) in virtù delle proprie attività criminali.

2. Quando le persone di cui al paragrafo 1 sono persone giuridiche, il divieto previsto dallo stesso paragrafo si applica anche alle persone fisiche che partecipano alla decisione di procedere all’operazione per conto della persona giuridica in questione.

3. Il presente articolo non si applica alle operazioni effettuate per garantire l’esecuzione di un obbligo di acquisizione o di cessione di strumenti finanziari diventato esigibile quando quest’obbligo risulta da un accordo concluso prima che la persona interessata fosse in possesso di un’informazione privilegiata».

5 Tuttavia, l’art. 8 della direttiva 2003/6 prevede che tale divieto non si applichi alle negoziazioni con le quali le società procedono al riacquisto delle proprie azioni. Le modalità di attuazione di detto art. 8 sono state precisate dal regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 2003, n. 2273, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la deroga per i programmi di riacquisto di azioni proprie e per le operazioni di stabilizzazione di strumenti finanziari (GU L 336, pag. 33), entrato in vigore il 23 dicembre 2003.

6 L’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 è così formulato:

«Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive».

7 La direttiva della Commissione 22 dicembre 2003, 2003/124/CE, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato (GU L 339, pag. 70), completa la direttiva 2003/6 definendo più precisamente le nozioni di comunicazione al pubblico dell’informazione privilegiata e di manipolazione del mercato.

Il diritto nazionale

8 L’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002, in materia di controllo sul settore finanziario e i servizi finanziari (Moniteur belge 4 settembre 2002, pag. 39121; in prosieguo: la «legge 2 agosto 2002 nella sua versione originaria»), così recitava:

«È fatto divieto a chiunque:

1°) disponga di informazioni privilegiate:

a) di avvalersi di siffatte informazioni acquisendo o alienando, oppure cercando di acquisire o di alienare, per proprio conto o per conto di altri, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari a cui siffatte informazioni si riferiscono, o strumenti finanziari a questi collegati;

(…)».

9 L’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002, come modificata dalla Legge programmatica 22 dicembre 2003 (Moniteur belge 31 dicembre 2003, pag. 62160; in prosieguo: la «legge 2 agosto 2002 nella sua versione modificata»), dispone quanto segue:

«È fatto divieto a chiunque:

1°) disponga di informazioni, di cui sa, o dovrebbe sapere, che si tratta di informazioni privilegiate:

a) di acquisire o alienare, oppure cercare di acquisire o di alienare, per proprio conto o per conto di altri, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari a cui siffatte informazioni si riferiscono, o strumenti finanziari a questi collegati;

(…)».

10 Quest’ultima disposizione si applica soltanto ai fatti successivi al 31 dicembre 2003.

Causa principale e questioni pregiudiziali

11 La Spector è una società di diritto belga quotata in borsa. Nell’ambito della sua politica di cointeressenza, essa offre un programma di opzioni che consente al personale di acquisire azioni. La Spector, per onorare i propri impegni in caso di esercizio di queste opzioni, aveva previsto di utilizzare in via prioritaria le azioni in suo possesso e, se del caso, di acquistare sul mercato il saldo da consegnare. Nel corso del 2002 la Spector doveva così procurarsi sul mercato oltre 45 000 azioni.

12 Il 21 maggio 2003, conformemente alla normativa belga allora in vigore, la Spector notificava alla Euronext di Bruxelles l’intenzione di acquistare un certo numero delle proprie azioni in attuazione del suo programma di opzioni sulle azioni.

13 Dal 28 maggio al 30 agosto 2003 la Spector acquistava un totale di 27 773 azioni. In un primo tempo erano state effettuate quattro operazioni successive riguardanti ciascuna 2 000 azioni. In seguito, l’11 e il 13 agosto 2003, il sig. Van Raemdonck effettuava due ordini, consentendo alla Spector di acquistare 19 773 azioni al prezzo medio di EUR 9,97, mentre il prezzo di esercizio delle opzioni di cui trattasi era di EUR 10,45.

14 Successivamente, la Spector pubblicava talune informazioni relative ai suoi risultati e alla sua politica commerciale. Il prezzo delle azioni di tale società sarebbe così aumentato. Il 31 dicembre 2003 esso ammontava a EUR 12,50.

15 Con decisione 28 novembre 2006 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la CBFA qualificava gli acquisti effettuati sulla base degli ordini dell’11 e del 13 agosto 2003 come abuso di informazioni privilegiate, vietato dall’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002 nella sua versione originaria. La CBFA infliggeva ammende di EUR 80 000 alla Spector e di EUR 20 000 al sig. Van Raemdonck, i quali proponevano allora un ricorso contro tale decisione dinanzi allo Hof van beroep te Brussel.

16 Nell’ambito di tale controversia, i ricorrenti nella causa principale sollevavano tre serie di argomenti dai quali è scaturita la domanda di pronuncia pregiudiziale, relativi alla retroattività della nuova legge più favorevole (retroattività «in mitius»), agli elementi costitutivi dell’abuso di informazioni privilegiate e alla proporzionalità della sanzione della violazione contestata.

17 Secondo il giudice del rinvio, i ricorrenti nella causa principale contestano anzitutto alla CBFA di aver violato il principio di retroattività «in mitius». Essi argomentano, essenzialmente, che le disposizioni dell’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002 nella sua versione modificata sono incompatibili con la definizione di abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 2 della direttiva 2003/6 e, quindi, inapplicabili. Di conseguenza, essi ritengono che l’incompatibilità di tali disposizioni con la direttiva 2003/6 abbia comportato una lacuna normativa analoga ad una legge penale più favorevole, opponendosi all’applicazione da parte della CBFA dell’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002 nella sua versione originaria.

18 Il giudice del rinvio osserva che la CBFA ha applicato l’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002 nella sua versione modificata, mentre i fatti incriminati sono precedenti alla data in cui tale disposizione ha acquistato efficacia, vale a dire il 1° gennaio 2004. Esso ritiene possibile che questa disposizione abbia modificato in senso più repressivo la definizione di abuso di informazioni privilegiate. Infatti, per la costituzione di tale abuso, detto art. 25, n. 1, non richiederebbe ormai l’«utilizzo» di un’informazione privilegiata, ma solo il suo «possesso».

19 Il giudice del rinvio si chiede se gli Stati membri possano definire gli elementi costitutivi dell’abuso di informazioni privilegiate in modo più severo di quello previsto all’art. 2 della direttiva 2003/6, e s’interroga sull’interpretazione della nozione di «utilizzo» di un’informazione privilegiata ai sensi di quest’ultima disposizione.

20 Secondo il giudice del rinvio, i ricorrenti nella causa principale sostengono, in subordine, che gli elementi dell’abuso di informazioni privilegiate non sono configurati in base all’art. 25, n. 1, della legge 2 agosto 2002 nella sua versione originaria. La CBFA non avrebbe dimostrato che gli acquisti di azioni di cui trattasi nella causa principale sono stati effettuati a causa dell’imminente pubblicazione dei risultati della società interessata.

21 Il giudice del rinvio s’interroga sulla natura della prova che consente di stabilire che un’informazione privilegiata è stata «utilizzata» ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2003/6.

22 In base alla decisione di rinvio, i ricorrenti nella causa principale sostengono che le sanzioni inflitte sono sproporzionate rispetto alla gravità della violazione. Il giudice del rinvio s’interroga sui criteri che consentono di valutare la proporzionalità della sanzione.

23 In queste circostanze, lo Hof van beroep te Brussel ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se le disposizioni della direttiva [2003/6], e segnatamente il suo art. 2, costituiscano un’armonizzazione totale, ad eccezione delle norme che consentono esplicitamente agli Stati di adottare liberamente misure di attuazione, o se invece costituiscano nel loro complesso un’armonizzazione minima.

2) Se l’art. 2, n. 1, della direttiva [2003/6] debba essere interpretato nel senso che il semplice fatto che una persona, ai sensi dell’art. 2, [n. 1], primo comma, [che] dispone di informazioni privilegiate, acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporti automaticamente che questa persona fa uso di dette informazioni privilegiate.

3) Se la seconda questione va risolta in senso negativo, se occorra presumere che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della direttiva [2003/6], è necessaria l’adozione di una decisione consapevole di far uso delle informazioni privilegiate.

Ove siffatta decisione possa anche essere non scritta, se sia richiesto che la decisione di uso risulti da circostanze non suscettibili di un’interpretazione diversa, o se invece sia sufficiente che siffatte circostanze possano essere interpretate in questo senso.

4) Nel caso in cui, ai fini della determinazione della proporzionalità di una sanzione amministrativa, ai sensi dell’art. 14 della direttiva [2003/6], occorra tenere conto degli utili realizzati, se si debba presumere che la pubblicazione delle informazioni da considerare privilegiate abbia effettivamente influito in maniera sensibile sul prezzo dello strumento finanziario.

In tal caso, quale livello minimo di variazione di prezzo debba riscontrarsi per poter definire sensibile la variazione stessa.

5) A prescindere dalla circostanza se la variazione di prezzo dopo la pubblicazione delle informazioni privilegiate debba essere sensibile o meno, quale periodo debba essere preso in considerazione, dopo la pubblicazione delle informazioni, per stabilire il livello della variazione di prezzo e a che data occorra riferirsi per valutare il vantaggio patrimoniale realizzato, al fine di stabilire la sanzione adatta.

6) Se, alla luce della verifica della proporzionalità della sanzione, l’art. 14 della direttiva [2003/6] debba essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro ha introdotto la possibilità di una sanzione penale, cumulata con la sanzione amministrativa, nella valutazione della proporzionalità della sanzione occorra tenere conto della possibilità e/o del livello di una sanzione finanziaria penale».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità

24 La CBFA nonché i governi belga e tedesco dubitano della ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale. Essi fanno valere, in sostanza, che le questioni sottoposte presentano un carattere ipotetico in quanto vertono sulla compatibilità dell’art. 25 della legge 2 agosto 2002 nella sua versione modificata, sebbene la decisione impugnata non si basi su tale disposizione, ma sull’art. 25 della legge 2 agosto 2002 nella sua versione originaria.

25 A tale proposito si deve rammentare che, nell’ambito del procedimento ex art. 234 CE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., segnatamente, sentenze 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini, Racc. pag. I‑6199, punto 43, e 22 dicembre 2008, causa C‑414/07, Magoora, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).

26 Secondo una costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di pertinenza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in tal senso, sentenza 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I‑4233, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).

27 È vero che la pertinenza dell’interpretazione della direttiva 2003/6 ai fini della valutazione della conformità al diritto comunitario dell’art. 25 della legge 2 agosto 2002 nella sua versione modificata, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 19 delle sue conclusioni, appare molto discutibile poiché la decisione impugnata non si basa su tale disposizione.

28 Tuttavia, nel caso di specie non sembra che l’interpretazione richiesta della direttiva 2003/6 sia manifestamente priva di qualsiasi rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale. I fatti di cui trattasi nella causa principale, infatti, sono successivi all’entrata in vigore di questa direttiva e sono stati sanzionati in base alla normativa nazionale che vieta gli abusi di informazioni privilegiate. Inoltre, gli elementi di fatto e di diritto necessari perché la Corte risponda utilmente alle questioni che le vengono sottoposte risultano illustrati nella decisione di rinvio, la quale, peraltro, indica i testi normativi dei quali viene chiesta l’interpretazione.

29 Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Nel merito

Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

30 Con la sua seconda e terza questione, che occorre esaminare congiuntamente e in via prioritaria, il giudice del rinvio interroga la Corte sul senso della nozione di «uso di informazioni privilegiate» di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6. Tale disposizione prevede che gli Stati membri vietino alle persone di cui al secondo comma (in prosieguo: l’«insider primario») che «dispongono di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni acquisendo o cedendo (…), per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono» o di cercare di effettuare una siffatta operazione di mercato. Il giudice del rinvio mira, più precisamente, a determinare se sia sufficiente, perché un’operazione possa qualificarsi come abuso vietato di informazioni privilegiate, che un’insider primario in possesso di informazioni privilegiate effettui un’operazione di mercato sugli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono o se, inoltre, sia necessario dimostrare che tale persona abbia «utilizzato» queste informazioni «consapevolmente».

31 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non definisce l’operazione vietata come operazione che deve essere effettuata «consapevolmente», ma si limita a vietare agli insider primari di utilizzare le informazioni privilegiate qualora effettuino un’operazione di mercato. Detto articolo definisce gli elementi costitutivi dell’operazione vietata riferendosi espressamente a due tipi di elementi, vale a dire, da un lato, alle persone che possono rientrare nel suo ambito di applicazione e, dall’altro, ai comportamenti materiali costitutivi di tale operazione.

32 Per contro, detta disposizione non prevede espressamente condizioni soggettive riguardanti l’intento che ha ispirato tali comportamenti materiali. Pertanto, l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non precisa se l’insider primario debba essere stato guidato da intenti speculativi, debba aver perseguito un intento fraudolento o debba aver agito deliberatamente o per negligenza. Tale articolo non indica espressamente la necessità di stabilire che le informazioni privilegiate hanno determinato la decisione di effettuare l’operazione di mercato di cui trattasi, né tanto meno prevede espressamente che l’insider primario debba essere consapevole del carattere privilegiato delle informazioni in suo possesso.

33 Al riguardo si deve rilevare che il legislatore comunitario, elaborando la direttiva 2003/6, ha inteso colmare talune lacune constatate quando era in vigore la direttiva 89/592. L’art. 2, n. 1, della direttiva 89/592 era inteso, infatti, a vietare «alle persone che (…) dispongono di un’informazione privilegiata» di effettuare un’operazione di mercato sui valori mobiliari interessati «sfruttando consapevolmente tale informazione privilegiata». La trasposizione di tale disposizione nel diritto interno ha dato luogo a sfumature d’interpretazione da parte degli Stati membri, in quanto la nozione di «sfruttamento consapevole», in alcuni ordinamenti giuridici nazionali, è stata assimilata alla necessità di un elemento psicologico.

34 In tale contesto, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) [2001/0118(COD)], presentata il 30 maggio 2001 dalla Commissione delle Comunità europee, si è basata sul tenore letterale dell’art. 2, n. 1, della direttiva 89/592 pur abolendo l’espressione «consapevole», in quanto, «per la funzione stessa da essi esercitata, [gli insider primari] hanno accesso giornalmente ad informazioni privilegiate e sono consapevoli del carattere riservato delle informazioni che ricevono». Peraltro, i lavori preparatori successivi, richiamati al paragrafo 58 delle conclusioni dell’avvocato generale, dimostrano che il Parlamento, conformemente al punto di vista oggettivo della nozione di abuso di informazioni privilegiate caldeggiato dalla Commissione, ha inteso sostituire il verbo «sfruttare» con il verbo «utilizzare», per non conservare alcun elemento di finalità o d’intenzionalità nella definizione degli abusi di informazioni privilegiate.

35 Tali elementi dimostrano che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 definisce in modo oggettivo gli abusi di informazioni privilegiate senza che l’intento che ne sta alla base rientri esplicitamente nella loro definizione, e ciò allo scopo di giungere ad un’armonizzazione uniforme del diritto degli Stati membri.

36 Il fatto che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda espressamente alcun elemento psicologico si giustifica, in primo luogo, con la peculiarità dell’abuso di informazioni privilegiate che consente di presumere tale elemento psicologico partendo dalla riunione degli elementi costitutivi menzionati in detta disposizione. Anzitutto, il rapporto di fiducia che lega gli insider primari di cui all’art. 2, n. 1, lett. a)-c), all’emittente degli strumenti finanziari su cui vertono le informazioni privilegiate implica da parte loro una responsabilità particolare al riguardo. Poi, l’esecuzione di un’operazione di mercato risulta necessariamente da una serie di decisioni che si collocano in un contesto complesso, il quale consente di escludere, in linea di principio, che il suo autore abbia potuto agire senza la consapevolezza delle proprie azioni. Infine, qualora siffatta operazione di mercato venga effettuata quando il suo autore è in possesso di un’informazione privilegiata, quest’ultima, in linea di principio, deve essere ritenuta integrata al processo decisionale dell’autore.

37 Il fatto che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda espressamente un elemento psicologico tra gli elementi costitutivi dell’abuso di informazioni privilegiate si giustifica, in secondo luogo, con la finalità di detta direttiva che, come richiamato, in particolare, al suo secondo e al suo dodicesimo ‘considerando’, consiste nel garantire l’integrità dei mercati finanziari comunitari e nel rafforzare la fiducia degli investitori in tali mercati. Il legislatore comunitario ha optato per un meccanismo di prevenzione e di sanzione amministrativa degli abusi di informazioni privilegiate la cui efficacia diminuirebbe se fosse subordinato alla ricerca sistematica di un elemento psicologico. Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, solo se il divieto degli abusi di informazioni privilegiate comporta una sanzione effettiva delle violazioni, tale divieto si dimostrerà efficace e in grado di promuovere in modo durevole la necessaria fiducia nella normativa da parte di tutti gli operatori del mercato. L’attuazione effettiva del divieto delle operazioni di mercato si basa quindi su una struttura semplice nella quale i mezzi soggettivi di difesa sono limitati al fine non solo di sanzionare, ma anche di prevenire efficacemente le violazioni di tale divieto.

38 La riunione degli elementi costitutivi dell’abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 consente dunque di presumere l’intenzione dell’autore di tale operazione.

39 Una siffatta presunzione non può pregiudicare per questo i diritti fondamentali e, in particolare, il principio della presunzione d’innocenza, sancito, segnatamente, all’art. 6, n. 2, della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

40 Al riguardo va ricordato che, secondo la giurisprudenza costante, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza (sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6351, punto 283).

41 Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che il rispetto dei diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti comunitari e che nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto di questi ultimi (citata sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, punto 284).

42 È vero che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad affermare che tali Stati sono tenuti a garantire che «possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione di [tale] direttiva», essendo gli Stati membri, inoltre, tenuti a garantire che queste misure siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». Tuttavia, considerata la natura delle violazioni di cui trattasi, nonché dato il grado di severità delle sanzioni che esse possono comportare, siffatte sanzioni, ai fini dell’applicazione della CEDU, possono essere qualificate come sanzioni penali (v., per analogia, sentenza 8 luglio 1999, causa C‑199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I‑4287, punto 150, nonché sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, serie A n. 73, par. 53, e 25 agosto 1987, Lutz c. Germania, serie A n. 123, par. 54).

43 Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ogni sistema giuridico contempla presunzioni di fatto o di diritto e la CEDU certamente non vi pone ostacolo in linea di principio, ma, in materia penale, essa obbliga gli Stati contraenti a non oltrepassare al riguardo una determinata soglia. Pertanto, il principio della presunzione d’innocenza sancito all’art. 6, n. 2, della CEDU non si disinteressa delle presunzioni di fatto o di diritto che si riscontrano nelle leggi penali. Esso ordina agli Stati di contenerle in limiti ragionevoli che tengano conto della gravità dell’offesa e che rispettino i diritti della difesa (v. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 ottobre 1988, Salabiaku c. Francia, serie A n. 141-A, par. 28, e 25 settembre 1992, Pham Hoang c. Francia, serie A n. 243, par. 33).

44 Occorre considerare che il principio della presunzione d’innocenza non osta alla presunzione prevista dall’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6, con la quale l’intenzione dell’autore di un abuso di informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi materiali costitutivi di tale violazione, dato che questa presunzione è confutabile e i diritti della difesa sono garantiti.

45 L’introduzione di un sistema efficiente e uniforme di prevenzione e di sanzione degli abusi di informazioni privilegiate con il legittimo scopo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari ha quindi potuto indurre il legislatore comunitario a prendere in considerazione una definizione oggettiva degli elementi costitutivi di un abuso vietato di informazioni privilegiate. Il fatto che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda espressamente alcun elemento psicologico non significa per questo che sia necessario interpretare tale disposizione nel senso che qualunque insider primario in possesso di informazioni privilegiate che effettua un’operazione di mercato rientra automaticamente nell’ambito del divieto degli abusi di informazioni privilegiate.

46 Infatti, come sottolineato in particolare dai governi italiano e del Regno Unito, un’interpretazione così ampia dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 comporterebbe il rischio di estendere l’ambito di applicazione di tale divieto oltre quanto è adeguato e necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti da questa direttiva. Un’interpretazione siffatta potrebbe comportare nella prassi il divieto di talune operazioni di mercato che non pregiudicano necessariamente gli interessi tutelati da detta direttiva. È quindi necessario distinguere gli «usi di informazioni privilegiate» atti a pregiudicare tali interessi da quelli che non comportano alcun pregiudizio.

47 A tal fine, occorre riferirsi alla finalità della direttiva 2003/6. Come risulta dal suo titolo, quest’ultima mira a combattere gli abusi di mercato. Il suo secondo e il suo dodicesimo ‘considerando’ enunciano che essa, al pari della direttiva 89/592, vieta gli abusi di informazioni privilegiate allo scopo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari e di rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sul fatto che essi sono posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate (v., per analogia, sentenza 22 novembre 2005, causa C‑384/02, Grøngaard e Bang, Racc. pag. I‑9939, punti 22 e 33).

48 Il divieto degli abusi di informazioni privilegiate di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 è volto pertanto a garantire la parità dei partecipanti ad una transazione di borsa evitando che uno di loro, che detiene un’informazione privilegiata e si trova, perciò, in una posizione avvantaggiata rispetto agli altri investitori, ne tragga profitto a scapito dell’altro, che tale informazione ignora (v., per analogia, sentenza 10 maggio 2007, causa C‑391/04, Georgakis, Racc. pag. I‑3741, punto 38).

49 Nel memorandum esplicativo allegato alla proposta all’origine della direttiva 2003/6, la Commissione sottolineava in tal senso che «possono aversi abusi di mercato in quelle situazioni in cui gli investitori si trovano a dover subire, direttamente o indirettamente, in misura non ragionevole, le conseguenze sfavorevoli del comportamento di altri soggetti che (…) hanno fatto uso a loro vantaggio o a vantaggio di altri di informazioni non accessibili al pubblico (…). Questo tipo di comportamento può creare un’apparenza di mercato attivo degli strumenti finanziari e ledere il principio generale che tutti gli investitori devono poter operare in condizioni di parità (…) sotto il profilo dell’accesso all’informazione. Gli insider sono in possesso di informazioni riservate. Le negoziazioni basate su queste informazioni determinano vantaggi economici ingiustificati a spese degli “esterni”». La proposta di direttiva si basava dunque sulla volontà di vietare agli insider di trarre vantaggio da un’informazione privilegiata effettuando un’operazione di mercato a scapito degli altri intervenienti sul mercato che non possedevano una siffatta informazione.

50 Di conseguenza, sussiste una stretta correlazione tra il divieto degli abusi di informazioni privilegiate e la nozione d’informazione privilegiata, essendo quest’ultima definita all’art. 1 della direttiva 2003/6 come un’«informazione che ha un carattere preciso, che non è stata resa pubblica», che si riferisce a emittenti di strumenti finanziari o a strumenti finanziari e che, «se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi».

51 Al fine di accrescere la certezza del diritto per i partecipanti ai mercati, la direttiva 2003/124 ha precisato la definizione di due elementi essenziali dell’informazione privilegiata, vale a dire il carattere preciso di tale informazione e l’importanza del suo impatto potenziale sui prezzi. In tal senso, l’art. 1, n. 1, di detta direttiva prevede che «si ritiene che un’informazione abbia “carattere preciso” se si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà e se tale informazione è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi di strumenti finanziari». Detto art. 1, n. 2, afferma che un’informazione atta ad influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari è quella «che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento».

52 Grazie al suo carattere non pubblico, preciso e alla sua idoneità ad influire in modo sensibile sui prezzi degli strumenti finanziari di cui trattasi, un’informazione privilegiata conferisce così all’insider che la detiene un vantaggio rispetto a tutti gli altri intervenienti sul mercato che la ignorano. Infatti, essa consente a detto insider, quando agisce conformemente a questa informazione effettuando un’operazione di mercato, di prevedere di trarne un vantaggio economico senza per questo esporsi agli stessi rischi degli altri intervenienti sul mercato. La caratteristica fondamentale dell’abuso di informazioni privilegiate risiede dunque nel trarre indebitamente vantaggio da un’informazione a scapito di terzi che non ne sono a conoscenza e, conseguentemente, nel pregiudicare l’integrità dei mercati finanziari nonché la fiducia degli investitori.

53 Di conseguenza, il divieto degli abusi di informazioni privilegiate si applica quando un’insider primario che le detiene utilizza indebitamente il vantaggio che dette informazioni gli conferiscono effettuando un’operazione di mercato corrispondente a queste ultime.

54 Ne consegue che il fatto che un’insider primario, il quale detiene informazioni privilegiate, effettui un’operazione di mercato sugli strumenti finanziari cui esse si riferiscono comporta che tale persona ha «utilizzato tali informazioni» ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione.

55 Tuttavia, per non estendere il divieto di cui all’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 oltre quanto è adeguato e necessario alla realizzazione degli obiettivi perseguiti da questa direttiva, talune situazioni possono richiedere un esame approfondito delle circostanze di fatto che consenta di assicurarsi che l’uso dell’informazione privilegiata ha effettivamente il carattere indebito che detta direttiva mira a vietare in nome dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia degli investitori.

56 Al riguardo, va rilevato che il preambolo della direttiva 2003/6 fornisce diversi esempi di situazioni nelle quali il fatto per un insider primario in possesso di informazioni privilegiate di effettuare un’operazione di mercato non dovrebbe costituire di per sé un «uso di informazioni privilegiate», ai sensi dell’art. 2, n. 1, di tale direttiva.

57 Di conseguenza, il diciottesimo ‘considerando’ della direttiva 2003/6 ricorda che l’uso di informazioni privilegiate «può consistere nell’acquisire o cedere strumenti finanziari sapendo o dovendo ragionevolmente sapere che le informazioni detenute sono informazioni privilegiate». Tale ipotesi, infatti, è prevista espressamente all’art. 4 di detta direttiva, il quale estende il divieto degli abusi di informazioni privilegiate a qualunque persona che ha o dovrebbe avere conoscenza del carattere privilegiato di un’informazione in suo possesso. Tuttavia, l’applicazione automatica di questi criteri nei confronti di taluni professionisti dei mercati finanziari, i quali sono indotti a detenere informazioni privilegiate relative ad operazioni di mercato effettuate da terzi, rischierebbe di comportare per loro un divieto di perseguire la propria attività, eppure legittima e utile al buon funzionamento dei mercati finanziari. Il diciottesimo ‘considerando’ di detta direttiva precisa al riguardo che la valutazione di ciò che una persona ragionevole sa o dovrebbe sapere «in tali circostanze» spetta alle autorità competenti.

58 Inoltre, questo ‘considerando’ precisa che il solo fatto che i market makers, gli enti autorizzati ad agire come controparti e le persone abilitate a eseguire ordini per conto terzi in possesso di informazioni di mercato si limitino ad effettuare operazioni di mercato in modo legittimo e conformemente alle norme loro applicabili «non dovrebbe essere considerato di per sé uso di informazioni privilegiate».

59 Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2003/6 precisa che l’accesso a informazioni privilegiate relative a un’altra società e l’utilizzazione di queste nel contesto di un’offerta pubblica di acquisto o di una proposta di fusione «non dovrebbe essere considerato in sé un abuso di informazioni privilegiate». Infatti, dopo aver ottenuto informazioni privilegiate riguardanti una società destinataria, l’operazione successiva di un’impresa consistente nel lancio di un’offerta pubblica di acquisto sul capitale della società destinataria ad un prezzo superiore a quello di mercato non può essere considerata, in linea di principio, un abuso vietato di informazioni privilegiate in quanto essa non pregiudica gli interessi tutelati da questa direttiva.

60 Il trentesimo ‘considerando’ della direttiva 2003/6 afferma che, poiché l’esecuzione di un’operazione di mercato implica necessariamente una decisione preliminare da parte del suo autore, «non si dovrebbe considerare che il fatto di effettuare questa operazione costituisca di per sé un’utilizzazione di un’informazione privilegiata». Ove così non fosse, l’art. 2, n. 1, di questa direttiva potrebbe comportare, in particolare, un divieto alla persona che ha deciso di lanciare un’operazione pubblica di acquisto di eseguire tale decisione, essendo quest’ultima un’informazione privilegiata. Orbene, un risultato siffatto non solo eccederebbe ciò che può essere considerato adeguato e necessario per raggiungere gli obiettivi di detta direttiva, ma potrebbe anche pregiudicare il buon funzionamento dei mercati finanziari impedendo le offerte pubbliche di acquisto.

61 Da quanto precede risulta che la questione se un insider primario in possesso di informazioni privilegiate «utilizzi tali informazioni» ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere determinata alla luce della finalità di quest’ultima, la quale consiste nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che essi sono posti su un piano di parità e tutelati contro l’uso illecito di informazioni privilegiate. Solo un uso contrario a questa finalità costituisce un abuso vietato di informazioni privilegiate.

62 Pertanto, si deve risolvere la seconda e la terza questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al secondo comma di tale disposizione che detiene informazioni privilegiate acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporta che tale persona ha «utilizzato tali informazioni» ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto degli abusi di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalità di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate.

Sulla prima questione

63 Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede se la direttiva 2003/6 costituisca un’armonizzazione completa del divieto degli abusi di informazioni privilegiate di modo che gli Stati membri non potrebbero darne una definizione più severa di quella prevista all’art. 2, n. 1, di tale direttiva.

64 Dalla decisione di rinvio risulta che detta questione pregiudiziale è stata sottoposta nell’ipotesi in cui l’art. 2, n. 1, della direttiva vieterebbe di considerare che il fatto che un insider primario in possesso di informazioni privilegiate effettui un’operazione di mercato sugli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono possa implicare che questa persona «utilizzi tali informazioni» ai sensi di detta disposizione. Orbene, tenuto conto della soluzione fornita alla seconda e alla terza questione pregiudiziale, è giocoforza constatare la mancata configurazione dell’ipotesi su cui si basa tale prima questione. Pertanto, non occorre risolverla.

Sulla quarta e sulla quinta questione

65 Con tali due questioni pregiudiziali, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, al fine di sanzionare un abuso di informazioni privilegiate nel rispetto del principio di proporzionalità, sia necessario prendere in considerazione il beneficio realizzato e, in caso affermativo, la data in cui quest’ultimo deve essere valutato.

66 Detto giudice, inoltre, chiede se si debba ritenere che la divulgazione di informazioni privilegiate abbia influito sul prezzo dello strumento finanziario interessato e, in caso affermativo, quale sia la soglia a partire dalla quale questa influenza può essere definita sensibile.

67 In risposta a quest’ultimo punto va sottolineato che l’idoneità di un’informazione ad incidere sensibilmente sul prezzo degli strumenti finanziari cui essa si riferisce è uno degli elementi caratteristici della nozione d’informazione privilegiata.

68 Infatti, come affermato al punto 51 della presente sentenza, la nozione d’«informazione privilegiata» di cui all’art. 1, n. 1, della direttiva 2003/6 si caratterizza in particolare attraverso il fatto che, se tale informazione fosse resa pubblica, essa «potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti derivati connessi»; la stessa nozione è stata precisata all’art. 1, n. 2, della direttiva 2003/124, nel senso di un’«informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento».

69 Conformemente alla finalità della direttiva 2003/6, questa idoneità ad incidere sensibilmente sui prezzi deve valutarsi, a priori, alla luce del contenuto dell’informazione di cui trattasi e del contesto nel quale essa s’inserisce. Per determinare se un’informazione sia privilegiata, non è quindi necessario esaminare se la sua divulgazione abbia effettivamente influito in modo sensibile sul prezzo degli strumenti finanziari cui essa si riferisce.

70 Per quanto riguarda la prima parte di tali questioni pregiudiziali, va ricordato che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 prevede che gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione di tale direttiva. Gli Stati membri, al riguardo, sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

71 È giocoforza constatare che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non stabilisce alcun criterio per la valutazione del carattere efficace, proporzionato e dissuasivo di una sanzione. La definizione di tali criteri rientra nella legislazione nazionale.

72 Tuttavia, si deve rilevare che il trentottesimo ‘considerando’ della direttiva 2003/6 stabilisce che le sanzioni dovrebbero essere sufficientemente dissuasive, proporzionate alla gravità della violazione e agli utili realizzati ed essere applicate coerentemente.

73 Pertanto, occorre risolvere la quarta e la quinta questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 14, n 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che il vantaggio economico risultante da un abuso di informazioni privilegiate può costituire un elemento pertinente ai fini della determinazione di una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva. Il metodo di calcolo di tale vantaggio economico e, in particolare, la data o il periodo da prendere in considerazione rientrano nel diritto nazionale.

Sulla sesta questione

74 Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 debba essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro, salvo le sanzioni amministrative previste da tale disposizione, ha previsto la possibilità d’infliggere una sanzione finanziaria penale, nella determinazione della sanzione amministrativa occorre tenere conto della possibilità e/o del livello di un’eventuale sanzione finanziaria penale ulteriore.

75 L’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 esige dagli Stati membri che le misure o le sanzioni amministrative da essi imposte alle persone responsabili di un abuso di mercato, come un abuso di informazioni privilegiate, siano efficaci, proporzionate e dissuasive, fatto salvo il diritto degli Stati membri d’infliggere sanzioni penali.

76 Tale disposizione non può essere interpretata nel senso che essa impone alle autorità nazionali competenti l’obbligo di prendere in considerazione, nella determinazione di una sanzione finanziaria amministrativa, la possibilità d’infliggere un’eventuale sanzione finanziaria penale ulteriore. Infatti, la valutazione del carattere efficace, proporzionato e dissuasivo delle sanzioni amministrative previste dalla direttiva 2003/6 non può dipendere da un’ipotetica sanzione penale ulteriore.

77 Di conseguenza, occorre risolvere la sesta questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 14, n. 1 della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro, salvo le sanzioni amministrative previste da tale disposizione, ha previsto la possibilità d’infliggere una sanzione finanziaria penale, nella valutazione del carattere efficace, proporzionato e dissuasivo della sanzione amministrativa non occorre tenere conto della possibilità e/o del livello di un’eventuale sanzione penale ulteriore.

Sulle spese

78 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1) L’art. 2, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 gennaio 2003, 2003/6/CE, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), deve essere interpretato nel senso che il fatto che una persona di cui al secondo comma di tale disposizione che detiene informazioni privilegiate acquisisca o ceda, o cerchi di acquisire o cedere, per conto proprio o per conto terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono comporta che tale persona ha «utilizzato tali informazioni» ai sensi di detta disposizione, fatto salvo il rispetto dei diritti della difesa e, in particolare, del diritto di poter confutare tale presunzione. La questione se detta persona abbia violato il divieto dell’abuso di informazioni privilegiate deve essere analizzata alla luce della finalità di tale direttiva, la quale consiste nel tutelare l’integrità dei mercati finanziari e nel rafforzare la fiducia degli investitori, che riposa, in particolare, sulla garanzia che questi ultimi saranno posti su un piano di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate.

2) L’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che il vantaggio economico risultante da un abuso di informazioni privilegiate può costituire un elemento pertinente ai fini della determinazione di una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva. Il metodo di calcolo di tale vantaggio economico e, in particolare, la data o il periodo da prendere in considerazione rientrano nel diritto nazionale.

3) L’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 deve essere interpretato nel senso che, se uno Stato membro, salvo le sanzioni amministrative previste da tale disposizione, ha previsto la possibilità d’infliggere una sanzione finanziaria penale, nella valutazione del carattere efficace, proporzionato e dissuasivo della sanzione amministrativa non occorre tenere conto della possibilità e/o del livello di un’eventuale sanzione penale ulteriore.