sabato 23 ottobre 2010

(C-224/09) POLITICA SOCIALE - DIRETTIVA 92/57/CEE - PRESCRIZIONI MINIME DI SICUREZZA E DI SALUTE NEI CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI - OBBLIGHI DI DESIGNARE UN COORDINATORE E DI REDIGERE UN PIANO DI SICUREZZA E DI SALUTE

(C-224/09) POLITICA SOCIALE - DIRETTIVA 92/57/CEE - PRESCRIZIONI MINIME DI SICUREZZA E DI SALUTE NEI CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI - OBBLIGHI DI DESIGNARE UN COORDINATORE E DI REDIGERE UN PIANO DI SICUREZZA E DI SALUTE


La Corte di Giustizia, pronunziandosi su una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Tribunale di Bolzano nell’ambito di un procedimento penale inerente alla violazione degli obblighi di sicurezza incombenti al committente o al responsabile dei lavori nei cantieri temporanei o mobili, ha ritenuto che l’art. 3 della Direttiva del Consiglio 24 giugno 1992, 92/57/CEE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, debba interpretarsi nel senso che: a) il n. 1 di tale articolo osta ad una normativa nazionale che, nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale sono presenti più imprese, consenta di derogare all’obbligo incombente al committente o al responsabile dei lavori di nominare un coordinatore per la sicurezza e la salute al momento della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori; b) il n. 2 dello stesso articolo osta ad una normativa nazionale che preveda l’obbligo per il coordinatore della realizzazione dell’opera di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese, e che non assuma come criterio a fondamento di tale obbligo i rischi particolari quali contemplati all’allegato II di detta direttiva. La Direttiva 92/57 è stata trasposta nell’ordinamento italiano mediante il Decreto legislative n. 494 del 14 agosto 1996, piu’ volte modificato, in particolare dal Decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, che definisce gli obblighi incombenti al committente o al responsabile dei lavori per quanto riguarda la designazione del coordinatore per la sicurezza nei cantieri. Discende dalle affermazioni della Corte: 1) che un coordinatore in materia di sicurezza e di salute deve essere sempre nominato per qualsiasi cantiere in cui sono presenti più imprese al momento della progettazione o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori, indipendentemente dalla circostanza che i lavori siano soggetti o meno a permesso di costruire ovvero che tale cantiere comporti o no rischi particolari; 2) che per qualsiasi cantiere i cui lavori comportino rischi particolari, quali quelli elencati nella su menzionata Direttiva, deve essere redatto, prima della sua apertura, un piano di sicurezza e di salute, essendo irrilevante a tale riguardo il numero d’imprese presenti nel cantiere stesso.



Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2010



Nel procedimento C 224/09,



avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Bolzano con decisione 2 febbraio 2009, pervenuta in cancelleria il 19 giugno 2009, nel procedimento penale a carico di



Martha Nussbaumer,



LA CORTE (Quinta Sezione),



composta dal sig. J. J. Kasel (relatore), presidente di sezione, dai sigg. E. Levits e M. Safjan, giudici,



avvocato generale: sig. J. Mazák



cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale



vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° luglio 2010,



considerate le osservazioni presentate:



– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato;



– per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Collins, SC;



– per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente;



– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra A. Howard, barrister;



– per la Commissione europea, dal sig. G. Rozet e dalla sig.ra L. Pignataro Nolin, in qualità di agenti,



vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,



ha pronunciato la seguente



Sentenza



1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 24 giugno 1992, 92/57/CEE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 245, pag. 6, e, per rettifica, GU 1993, L 41, pag. 50).



2 Detta domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale aperto contro la sig.ra Nussbaumer, indagata per aver violato gli obblighi di sicurezza incombenti al committente o al responsabile dei lavori nei cantieri temporanei o mobili.



Contesto normativo



La normativa dell’Unione



3 L’art. 3 della direttiva 92/57, intitolato «Coordinatori – Piano di sicurezza e di salute – Notifica preliminare», dispone quanto segue:



«1. Il committente o il responsabile dei lavori designa uno o più coordinatori in materia di sicurezza e di salute, (…) per un cantiere in cui sono presenti più imprese.



2. Il committente o il responsabile dei lavori controlla che sia redatto, prima dell’apertura del cantiere, un piano di sicurezza e di salute conformemente all’articolo 5, lettera b).



Previa consultazione delle parti sociali, gli Stati membri possono derogare al primo comma, tranne nel caso in cui si tratti:



– dei lavori che comportano rischi particolari quali sono enumerati all’allegato II, oppure



– dei lavori per i quali è richiesta una notifica preliminare in applicazione del paragrafo 3 del presente articolo.



3. Per quanto riguarda un cantiere:



– in cui la durata presunta dei lavori è superiore a 30 giorni lavorativi e che occupa contemporaneamente più di 20 lavoratori



o



– la cui entità presunta è superiore a 500 uomini/giorni,



il committente o il responsabile dei lavori prima dell’inizio dei lavori comunica alle autorità competenti la notifica preliminare, elaborata conformemente all’allegato III.



La notifica preliminare deve essere affissa in maniera visibile sul cantiere e, se necessario, essere aggiornata».



4 L’art. 5 di detta direttiva, recante il titolo «Progettazione dell’opera: compiti dei coordinatori», dispone quanto segue:



«Durante la progettazione dell’opera il o i coordinatori in materia di sicurezza e di salute designati conformemente all’articolo 3, paragrafo 1:



a) coordinano l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 4;



b) elaborano o fanno elaborare un piano di sicurezza e di salute che precisi le regole applicabili al cantiere interessato, tenendo conto, se necessario, delle attività che vengono effettuate sul luogo; tale piano deve inoltre contenere misure specifiche per i lavori che rientrano in una o più categorie dell’allegato II;



c) approntano un fascicolo adattato alle caratteristiche dell’opera che contenga gli elementi utili in materia di sicurezza e di salute da prendere in considerazione all’atto di eventuali lavori successivi».



5 L’art. 6 della stessa direttiva, intitolato «Realizzazione dell’opera: compiti dei coordinatori», così stabilisce:



«Durante la realizzazione dell’opera, il o i coordinatori in materia di sicurezza e di salute designati conformemente all’articolo 3, paragrafo 1:



a) coordinano l’attuazione dei principi generali di prevenzione e di sicurezza:



– al momento delle scelte tecniche e/o organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente,



– all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi differenti tipi di lavoro o fasi di lavoro;



b) coordinano l’applicazione delle disposizioni pertinenti, al fine di assicurare che i datori di lavoro e, ove ciò sia necessario per la protezione dei lavoratori, i lavoratori autonomi:



– applichino con coerenza i principi di cui all’articolo 8,



– applichino, quando è necessario, il piano di sicurezza e di salute di cui all’articolo 5, lettera b);



c) eventualmente adeguano o fanno adeguare il piano di sicurezza e di salute di cui all’articolo 5, lettera b), e il fascicolo di cui all’articolo 5, lettera c), in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute;



(…)».



6 L’allegato II della direttiva 92/57 contiene un elenco non esaustivo dei lavori che comportano rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori ai sensi dell’art. 3, n. 2, secondo comma, primo trattino, di tale direttiva.



La normativa nazionale



7 La direttiva 92/57 è stata trasposta nell’ordinamento giuridico italiano mediante il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 (Supplemento ordinario alla GURI n. 223 del 23 settembre 1996), modificato dai decreti legislativi 19 novembre 1999, n. 528 (GURI n. 13 del 18 gennaio 2000, pag. 20), e 10 settembre 2003, n. 276 (Supplemento ordinario alla GURI n. 235 del 9 ottobre 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 494/96»).



8 Il decreto legislativo n. 494/96 è stato abrogato dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Supplemento ordinario alla GURI n. 101 del 30 aprile 2008; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 81/08»). Nel titolo IV di quest’ultimo decreto, dedicato ai cantieri temporanei e mobili, figura in particolare l’art. 90, che definisce gli obblighi incombenti al committente o al responsabile dei lavori per quanto riguarda la designazione del coordinatore per la sicurezza in tali cantieri.



9 L’art. 90 del decreto legislativo n. 81/08 dispone quanto segue:



«1. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione dell’opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15. Al fine di permettere la pianificazione dell’esecuzione in condizioni di sicurezza dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, il committente o il responsabile dei lavori prevede nel progetto la durata di tali lavori o fasi di lavoro.



2. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell’opera, valuta i documenti di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b).



3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.



4. Nel caso di cui al comma 3, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98.



5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche nel caso in cui, dopo l’affidamento dei lavori a un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese.



(…)



11. In caso di lavori privati, la disposizione di cui al comma 3 non si applica ai lavori non soggetti a permesso di costruire. Si applica in ogni caso quanto disposto dall’articolo 92, comma 2».



10 L’art. 91 del decreto legislativo n. 81/08 definisce gli obblighi del coordinatore per la progettazione e prevede, in sostanza, la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento.



11 L’art. 92, secondo comma, dello stesso decreto, riguardante gli obblighi incombenti al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, è così formulato:



«Nei casi di cui all’articolo 90, comma 5, il coordinatore per l’esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1, redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b)».



Causa principale e questioni pregiudiziali



12 Il 20 giugno 2008 gli ispettori tecnici del lavoro della Provincia autonoma di Bolzano hanno effettuato un’ispezione presso un cantiere edile sito nel territorio del Comune di Merano, avente ad oggetto il rifacimento della copertura del tetto di una casa di abitazione ad un’altezza di circa 6 8 metri. Il committente era la sig.ra Nussbaumer. Il parapetto installato lungo il bordo del tetto, l’autogrù per sollevare il materiale e la manodopera erano forniti da tre imprese diverse presenti contemporaneamente nel cantiere. Il rilascio di un permesso di costruire non era richiesto ai sensi della legislazione italiana applicabile. Tuttavia, una dichiarazione di inizio dei lavori era stata trasmessa a detto Comune.



13 Nell’ambito di tale ispezione si è posta la questione se, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere nominato un coordinatore della sicurezza, tanto per la fase progettuale quanto per quella esecutiva, così come previsto non soltanto dall’art. 3, n. 1, della direttiva 92/57, ma anche dall’art. 3 del decreto legislativo n. 494/96, e ciò a prescindere dal fatto che l’art. 90, undicesimo comma, del decreto legislativo n. 81/08 non esige tale designazione.



14 Al riguardo, il giudice del rinvio constata che, ai sensi dell’art. 90, terzo e quarto comma, del decreto legislativo n. 81/08, un coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori deve essere nominato per ogni cantiere nel quale sono presenti più imprese. Tuttavia, in forza dell’undicesimo comma di detto art. 90, le disposizioni di cui al terzo comma dello stesso articolo non si applicano ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire. Orbene, secondo detto giudice, il legislatore nazionale, partendo dal presupposto che un cantiere di lavori privati è di modesta entità e dunque privo di rischi, non avrebbe considerato che anche lavori non soggetti a permesso di costruire possono essere complessi e pericolosi e necessitare, di conseguenza, della nomina di un coordinatore per la progettazione. Inoltre, dato che il quarto comma del citato art. 90 rinvia al terzo comma di quest’ultimo, il committente sarebbe esonerato anche dall’obbligo di designare un coordinatore per l’esecuzione dei lavori.



15 Pertanto, il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla conformità con le disposizioni dell’art. 3, n. 1, della direttiva 92/57 delle deroghe che il diritto interno italiano prevede quanto all’obbligo di nominare un coordinatore.



16 Sulla base di tali premesse, il Tribunale di Bolzano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:



«1) Se la normativa nazionale di cui al decreto legislativo [n. 81/08], con riguardo in particolare alla disciplina introdotta dall’art. 90, undicesimo comma, nella parte in cui deroga per un cantiere in cui sono presenti più imprese all’obbligo da parte del committente o del responsabile dei lavori di nominare un coordinatore della progettazione di cui al terzo comma della stessa norma, per lavori privati non soggetti a permesso di costruire, prescindendo dalla valutazione della natura dei lavori e dei rischi particolari quali enumerati dall’allegato II della direttiva, violi la disciplina prevista dall’art. 3 della direttiva [92/57].



2) Se la normativa nazionale di cui al decreto legislativo [n. 81/08], in particolare con la disciplina introdotta con l’art. 90, undicesimo comma, violi la disciplina prevista dall’art. 3 della direttiva [92/57] con riguardo all’obbligo da parte del committente o del responsabile dei lavori di nominare in ogni caso un coordinatore durante la realizzazione dell’opera nei cantieri, indipendentemente dalla tipologia dei lavori, quindi anche nel caso di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, potendo comportare i rischi di cui all’allegato II della direttiva.



3) Se la disposizione introdotta con l’undicesimo comma dell’art. 90 del decreto legislativo [n. 81/08], nella parte in cui prevede l’obbligo in capo al coordinatore dell’esecuzione di redigere un piano di sicurezza solo nell’ipotesi in cui, in caso di lavori privati non soggetti a permesso di costruzione, intervengano altre imprese in corso d’opera, oltre alla prima originariamente affidataria dei lavori, violi l’art. 3 della direttiva [92/57], che pone in ogni caso l’obbligo di nominare un coordinatore dell’esecuzione a prescindere dalla tipologia dei lavori e che esclude la deroga all’obbligo di redigere un piano di sicurezza e di salute qualora si tratti di lavori che comportano rischi particolari quali quelli enumerati all’allegato II della direttiva».



Sulle questioni pregiudiziali



17 Si deve ricordare in via preliminare che, se è vero che non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento promosso ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla compatibilità di norme di diritto interno con il diritto dell’Unione né interpretare disposizioni legislative o regolamentari nazionali, essa, tuttavia, è competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per la definizione della causa sottoposta alla sua cognizione (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1993, causa C 292/92, Hünermund e a., Racc. pag. I 6787, punto 8, nonché 27 novembre 2001, cause riunite C 285/99 e C 286/99, Lombardini e Mantovani, Racc. pag. I 9233, punto 27).



18 Ciò considerato, le questioni sottoposte, che occorre esaminare congiuntamente, devono essere intese come volte a stabilire, in sostanza, se l’art. 3 della direttiva 92/57 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che, da un lato, nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale sono presenti più imprese, consenta di derogare all’obbligo incombente al committente o al responsabile dei lavori di nominare un coordinatore tanto per la progettazione dell’opera quanto per la realizzazione dei lavori, e che, dall’altro, preveda l’obbligo per tale coordinatore di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese.



19 Va ricordato anzitutto che la Corte, nella sua sentenza 25 luglio 2008, causa C 504/06, Commissione/Italia, è già stata chiamata a pronunciarsi sull’art. 3 della direttiva 92/57.



20 Orbene, al punto 29 di detta sentenza, la Corte ha rilevato che l’art. 3 della direttiva 92/57 è suddiviso in tre paragrafi numerati che enunciano tre norme giuridiche chiaramente distinte, vertenti, rispettivamente, sulla designazione dei coordinatori, sul piano di sicurezza e di salute nonché sulla notifica, preliminare ai lavori di una certa importanza. Tale distinzione tra i tre paragrafi emerge del resto dallo stesso titolo di detto art. 3, vale a dire: «Coordinatori – Piano di sicurezza e di salute – Notifica preliminare». In base a tale struttura, la designazione dei coordinatori è quindi disciplinata esclusivamente dal n. 1 di questo articolo, mentre il n. 2 di quest’ultimo reca le disposizioni relative al piano di sicurezza e di salute.



21 La Corte, al punto 30 della citata sentenza Commissione/Italia, ne ha dedotto che la deroga prevista dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della suddetta direttiva può riferirsi solo alla disposizione che la precede immediatamente, vale a dire quella che riguarda la redazione del piano di sicurezza e di salute.



22 Di conseguenza, come dichiarato dalla Corte al punto 35 della medesima sentenza Commissione/Italia, l’art. 3, n. 1, della direttiva 92/57, il cui tenore letterale è chiaro e preciso e che stabilisce senza equivoci l’obbligo di nominare un coordinatore in materia di sicurezza e di salute per ogni cantiere in cui sono presenti più imprese, non ammette alcuna deroga a tale obbligo.



23 Pertanto, un coordinatore in materia di sicurezza e di salute deve essere sempre nominato per un cantiere in cui sono presenti più imprese, indipendentemente dalla circostanza che i lavori siano soggetti o meno a permesso di costruire ovvero che tale cantiere comporti o no rischi particolari.



24 Per quanto concerne il momento in cui si deve procedere alla nomina del coordinatore in materia di sicurezza e di salute, dagli artt. 5 e 6 della direttiva 92/57 risulta che costui deve essere designato all’atto della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori.



25 Pertanto, riguardo alla prima parte delle questioni sollevate, così come riformulate al punto 18 della presente sentenza, si deve concludere che l’art. 3, n. 1, della direttiva 92/57 esige che, nel caso di un cantiere in cui sono presenti più imprese, venga sempre nominato un coordinatore in materia di sicurezza e di salute al momento della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori.



26 Per quanto riguarda il piano di sicurezza e di salute, che costituisce l’oggetto della seconda parte delle questioni sottoposte, come riformulate, i presupposti per la sua redazione debbono, per motivi identici a quelli illustrati ai punti 20 e 21 della presente sentenza, essere stabiliti unicamente alla luce dell’art. 3, n. 2, della direttiva 92/57.



27 Orbene, contrariamente all’art. 3, n. 1, della direttiva 92/57, il quale non ammette alcuna eccezione, il n. 2, secondo comma, di tale articolo autorizza gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, a derogare all’obbligo di redigere un piano di sicurezza e di salute contemplato dal primo comma del medesimo n. 2, tranne nel caso in cui si tratti di lavori che comportano rischi particolari enumerati nell’allegato II di detta direttiva o di lavori per i quali è richiesta una notifica preliminare ai sensi del n. 3 del citato art. 3.



28 Ne consegue che l’obbligo risultante dall’art. 3, n. 2, della direttiva 92/57 di redigere, prima dell’apertura del cantiere, un piano di sicurezza e di salute deve essere inteso nel senso che esso vale per tutti i cantieri i cui lavori comportano rischi particolari, quali quelli elencati nell’allegato II di questa direttiva, o per i quali è richiesta una notifica preliminare, essendo irrilevante a tale riguardo il numero d’imprese presenti nel cantiere.



29 Pertanto, detto articolo osta ad una normativa nazionale che preveda l’obbligo per il coordinatore della realizzazione dell’opera di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese, e che non assuma come criterio a fondamento di tale obbligo i rischi particolari quali contemplati all’allegato II della direttiva 92/57.



30 Per fornire al giudice del rinvio una risposta esaustiva, si deve ancora ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e che una disposizione di una direttiva non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti di tale singolo (v. sentenze 12 dicembre 1996, cause riunite C 74/95 e C 129/95, X, Racc. pag. I 6609, punti 23-25, nonché 3 maggio 2005, cause riunite C 387/02, C 391/02 e C 403/02, Berlusconi e a., Racc. pag. I 3565, punti 73 e 74).



31 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che l’art. 3 della direttiva 92/57 deve essere interpretato come segue:



– il n. 1 di tale articolo osta ad una normativa nazionale che, nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale sono presenti più imprese, consenta di derogare all’obbligo incombente al committente o al responsabile dei lavori di nominare un coordinatore per la sicurezza e la salute al momento della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori;



– il n. 2 dello stesso articolo osta ad una normativa nazionale che preveda l’obbligo per il coordinatore della realizzazione dell’opera di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese, e che non assuma come criterio a fondamento di tale obbligo i rischi particolari quali contemplati all’allegato II di detta direttiva.



Sulle spese



32 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.



Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:



L’art. 3 della direttiva del Consiglio 24 giugno 1992, 92/57/CEE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), deve essere interpretato come segue:



– il n. 1 di tale articolo osta ad una normativa nazionale che, nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale sono presenti più imprese, consenta di derogare all’obbligo incombente al committente o al responsabile dei lavori di nominare un coordinatore per la sicurezza e la salute al momento della progettazione dell’opera o, comunque, prima dell’esecuzione dei lavori;



– il n. 2 dello stesso articolo osta ad una normativa nazionale che preveda l’obbligo per il coordinatore della realizzazione dell’opera di redigere un piano di sicurezza e di salute nel solo caso in cui, in un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire, intervengano più imprese, e che non assuma come criterio a fondamento di tale obbligo i rischi particolari quali contemplati all’allegato II di detta direttiva.

(C – 306/09) -COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE – MANDATO D’ARRESTO EUROPEO - CONDANNA IN CONTUMACIA – CONSEGNA SUBORDINATA ALLA CONDIZIONE CHE LA PERSONA RICERCATA SIA RINVIATA NELLO STATO MEMBRO DI ESECUZIONE – AMMISSIBILITÀ

(C – 306/09) -COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE – MANDATO D’ARRESTO EUROPEO - CONDANNA IN CONTUMACIA – CONSEGNA SUBORDINATA ALLA CONDIZIONE CHE LA PERSONA RICERCATA SIA RINVIATA NELLO STATO MEMBRO DI ESECUZIONE – AMMISSIBILITÀ


La Corte di Giustizia si è nuovamente pronunziata sulla Decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, stabilendo che gli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, devono essere interpretati nel senso che, quando lo Stato membro di esecuzione interessato abbia attuato nel proprio ordinamento l’art. 5, punti 1 e 3, della predetta Decisione quadro (rispettivamente inerenti alle garanzie speciali che lo Stato emittente deve fornire quando il m.a.e. è stato emesso in relazione ad una decisione pronunciata “in absentia”, ovvero in relazione ad un cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione), l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena pronunciata in contumacia ai sensi del citato art. 5, punto 1, può essere subordinata alla condizione che la persona interessata, cittadina o residente dello Stato membro di esecuzione, sia rinviata in quest’ultimo per scontarvi, eventualmente, la pena che sia pronunciata nei suoi confronti all’esito del un nuovo procedimento giudiziario svolto in sua presenza nello Stato membro emittente. La domanda pregiudiziale era stata presentata dalla Corte costituzionale belga nell’ambito di un procedimento relativo all’esecuzione, da parte del Tribunale di primo grado di Nivelles (Belgio), di un mandato d’arresto europeo emesso il 13 dicembre 2007 dal Tribunale di Bucarest (Romania), nei confronti di un cittadino rumeno residente in Belgio, ai fini dell’esecuzione di una pena di quattro anni di reclusione inflitta con una decisione giudiziaria pronunciata in contumacia. In motivazione, il Giudice comunitario ha preso le mosse dal rilievo per cui la situazione di una persona condannata in contumacia, e che dispone ancora della possibilità di richiedere un nuovo processo, è paragonabile a quella di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale, per concludere nel senso che nessuna ragione oggettiva osta a che un’autorità giudiziaria dell’esecuzione che ha applicato l’art. 5, punto 1, della predetta Decisione quadro applichi anche la condizione di cui all’art. 5, punto 3, della stessa.





Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 21 ottobre 2010



Nel procedimento C 306/09,



avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 35 UE, presentata dalla Cour constitutionnelle (Belgio), con decisione 24 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 31 luglio 2009, nella causa relativa all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di I. B., LA CORTE (Quarta Sezione), composta dal sig. J. C. Bonichot, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, L. Bay Larsen (relatore), dalle sig.re C. Toader e M. Berger, giudici, avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, capo unità vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 maggio 2010, considerate le osservazioni presentate: – per il sig. I. B., dall’avv. P. Huget, avocat; – per il governo belga, dal sig. T. Materne, in qualità di agente, assistito dagli avv.ti J. Bourtembourg e F. Belleflamme, avocats; – per il governo tedesco, dal sig. J. Möller e dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente; – per il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz, in qualità di agente; – per il governo svedese, dalle sig.re A. Falk e C. Meyer Seitz, in qualità di agenti; – per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra I. Rao, in qualità di agente; – per il Consiglio dell’Unione europea, dai sigg. O. Petersen e I. Gurov, in qualità di agenti; – per la Commissione europea, dal sig. R. Troosters e dalla sig.ra S. Grünheid, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 luglio 2010, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 3, 4, punto 6, e 5, punti 1 e 3, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU L 190, pag. 1), nonché sulla validità dei menzionati artt. 4, punto 6, e 5, punto 3. 2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento relativo all’esecuzione, da parte del Tribunale di primo grado di Nivelles (Belgio), di un mandato d’arresto europeo emesso il 13 dicembre 2007 dal Tribunalul București (Tribunale di Bucarest) (Romania) (in prosieguo, anche: l’«autorità giudiziaria emittente rumena») nei confronti del sig. I. B., cittadino rumeno residente in Belgio, ai fini dell’esecuzione di una pena di quattro anni di reclusione stabilita da una decisione giudiziaria pronunciata in contumacia. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 Dall’informazione relativa alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 1° maggio 1999 (GU L 114, pag. 56), risulta che il Regno del Belgio ha effettuato una dichiarazione ai sensi dell’art. 35, n. 2, UE, con la quale ha accettato la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale secondo le modalità di cui all’art. 35, n. 3, lett. b), UE. 4 Conformemente all’art. 10, n. 1, del protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie, allegato al Trattato FUE, le attribuzioni della Corte ai sensi del titolo VI del Trattato UE restano immutate in ordine agli atti dell’Unione adottati prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, comprese quelle che siano state accettate in forza dell’art. 35, n. 2, UE. La decisione quadro 2002/584 5 Il primo, il quinto, il decimo e il dodicesimo ‘considerando’ della decisione quadro 2002/584 sono così formulati: «(1) In base alle conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 (…), è opportuno abolire tra gli Stati membri la procedura formale di estradizione per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato. (...) (5) L’obiettivo dell’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. Inoltre l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. Le classiche relazioni di cooperazione finora esistenti tra Stati membri dovrebbero essere sostituite da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale, sia intervenute in una fase anteriore alla sentenza, sia definitive, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. (…) (10) Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, [UE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [UE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo. (...) (12) La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [UE] e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, segnatamente il capo VI. (…) (…)». 6 Ai sensi dell’art. 1 della decisione quadro 2002/584: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro». 7 L’art. 2 della decisione quadro in parola, intitolato «Campo d’applicazione del mandato d’arresto europeo», dispone, al punto 1, quanto segue: «Il mandato d’arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente (…) oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi». 8 L’art. 3 della medesima decisione quadro elenca tre «[m]otivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo». 9 L’art. 4 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo», elenca, in sette numeri, tali motivi. Al riguardo il punto 6 di tale articolo dispone quanto segue: «L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo: (...) 6) se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». 10 L’art. 5 della detta decisione quadro, intitolato «Garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari», stabilisce che: «L’esecuzione del mandato di arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione può essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione ad una delle seguenti condizioni: 1) se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata “in absentia”, e se l’interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna può essere subordinata alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato di arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere presenti al giudizio; (...) 3) se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente». 11 L’art. 8 della medesima decisione quadro, intitolato «Contenuto e forma del mandato d’arresto europeo», è così formulato: «1. Il mandato d’arresto europeo contiene le informazioni seguenti, nella presentazione stabilita dal modello allegato: (…) c) indicazione dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e che rientri nel campo d’applicazione degli articoli 1 e 2; (…) f) pena inflitta, se vi è una sentenza definitiva, ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione; (…)». 12 L’art. 15, punto 2, della decisione quadro in parola dispone che: «L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 (…)». 13 Ai sensi dell’art. 32 della decisione quadro 2002/584: «Le richieste di estradizione ricevute anteriormente al 1° gennaio 2004 continueranno ad essere disciplinate dagli strumenti esistenti in materia di estradizione. Le richieste ricevute a partire dal 1° gennaio 2004 saranno soggette alle norme adottate dagli Stati membri conformemente alla presente decisione quadro. Tuttavia ogni Stato membro può, al momento dell’adozione della presente decisione quadro da parte del Consiglio, fare una dichiarazione secondo cui in qualità di Stato dell’esecuzione esso continuerà a trattare le richieste relative a reati commessi prima di una data da esso precisata conformemente al sistema di estradizione applicabile anteriormente al 1° gennaio 2004. La data in questione non può essere posteriore al 7 agosto 2002. Tale dichiarazione sarà pubblicata nella Gazzetta ufficiale e può essere ritirata in qualsiasi momento». La decisione quadro 2009/299/GAI 14 La decisione quadro del Consiglio 26 febbraio 2009, 2009/299/GAI, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo (GU L 81, pag. 24), che, in base al suo art. 8, punto 1, dovrà essere attuato dagli Stati membri entro il 28 marzo 2011, ha cancellato l’art. 5, punto 1, della decisione quadro 2002/584 e ha inserito un nuovo art. 4 bis in quest’ultima. 15 Tuttavia, detto art. 4 bis, intitolato «Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente», si applica solamente al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo a partire dal 28 marzo 2011. I diritti nazionali La legislazione belga 16 La legge 19 dicembre 2003 relativa al mandato d’arresto europeo (Moniteur belge del 22 dicembre 2003, pag. 60075; in prosieguo: la «legge relativa al mandato d’arresto europeo») traspone nel diritto nazionale la decisione quadro 2002/584. 17 Relativamente, in primo luogo, ai motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato d’arresto europeo, l’art. 4 di detta legge dispone che: «L’esecuzione di un mandato d’arresto europeo è negata nei casi seguenti: (…) 5º se sussistono fondati motivi per ritenere che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo produrrebbe l’effetto di ledere i diritti fondamentali dell’interessato sanciti dall’art. 6 [UE]». 18 Relativamente, in secondo luogo, ai motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo, l’art. 6 di detta legge precisa: «L’esecuzione può essere negata nei casi seguenti: (…) 4° se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, quando l’interessato sia belga o risieda in Belgio e le autorità belghe competenti si impegnino ad eseguire tale pena o misura di sicurezza conformemente alla legge belga; (...)». 19 Riguardo all’effettiva attuazione di una decisione adottata in forza dell’art. 6, 4°, della legge relativa al mandato d’arresto europeo, l’art. 18, n. 2, della legge 23 maggio 1990 sul trasferimento fra Stati di persone condannate, la consegna e il trasferimento della sorveglianza su persone condannate con sospensione condizionale della pena o in libertà condizionata, nonché la consegna e il trasferimento dell’esecuzione di pene e di misure di sicurezza privativa della libertà (Moniteur belge del 20 luglio 1990, pag. 14304), come modificata dalla legge 26 maggio 2005 (Moniteur belge del 10 giugno 2005, pag. 26718; in prosieguo: la «legge sul trasferimento»), dispone quanto segue: «La decisione giudiziaria adottata in applicazione dell’art. 6, 4°, della legge (…) relativa al mandato d’arresto europeo riprende l’esecuzione della pena o della misura privativa della libertà prevista in detta decisione giudiziaria. La pena o la misura detentiva viene eseguita conformemente alle disposizioni della presente legge». 20 L’art. 18 della legge sul trasferimento, inserito nel capo VI, intitolato «Dell’esecuzione in Belgio di pene e misure privative della libertà disposte all’estero», deve essere interpretato alla luce dell’art. 25 della medesima legge, che così recita: «Le disposizioni dei capi V e VI non sono applicabili alle condanne penali pronunciate in contumacia, fatti salvi i casi di cui all’art. 18, n. 2, sempreché si tratti di una condanna in contumacia passata in giudicato». 21 Relativamente, in terzo luogo, alle garanzie che lo Stato membro emittente deve osservare, gli artt. 7 e 8 della legge relativa al mandato d’arresto europeo traspongono, rispettivamente, i punti 1 e 3 dell’art. 5 della decisione quadro 2002/584. L’art. 7 di detta legge, per l’esecuzione di una pena inflitta con una decisione resa in contumacia, prevede che: «Se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata in absentia, e se l’interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell’udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna può essere subordinata alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato emittente e di essere presenti all’udienza. L’esistenza, nell’ordinamento giuridico dello Stato emittente, di una disposizione che preveda una possibilità di ricorso e l’indicazione di condizioni per la sua proposizione dalle quali risulti che l’interessato può effettivamente avvalersene devono essere considerate assicurazioni sufficienti ai sensi del primo comma». 22 L’art. 8 della legge relativa al mandato d’arresto europeo così dispone: «Quando la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale sia belga o risieda in Belgio, la consegna può essere subordinata alla condizione che detta persona, dopo essere stata giudicata, venga rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza comminatale nello Stato emittente». La legislazione rumena 23 L’art. 522 bis del codice di procedura penale rumeno stabilisce quanto segue: «Nuovo iter procedurale relativo al processo delle persone giudicate in contumacia in caso di estradizione. In caso di richiesta di estradizione di una persona giudicata e condannata in contumacia, la causa può essere nuovamente sottoposta al giudice che l’ha decisa in primo grado, se il condannato ne fa richiesta. Le disposizioni degli artt. 405 408 sono applicabili per analogia». 24 L’art. 405 di detto codice di procedura penale prevede: «Il riesame della causa, dopo che la domanda di riesame è stata accolta in via provvisoria, avviene conformemente alle norme procedurali relative al giudizio di primo grado. Qualora lo ritenesse necessario, il giudice procede nuovamente all’assunzione delle prove prodotte nell’ambito del primo giudizio o in sede di accoglimento, in via provvisoria, della domanda di revisione». Causa principale e questioni pregiudiziali 25 Con una sentenza datata 16 giugno 2000 il Tribunalul București ha condannato il sig. I. B. ad una pena di quattro anni di reclusione per il reato di traffico di materiale nucleare e radioattivo. Tale decisione è stata confermata, con sentenza 3 aprile 2001, dalla Curtea de apel Bucureşti (corte d’appello di Bucarest). 26 Entrambe le istanze menzionate avevano autorizzato il sig. I. B. a scontare la pena, inflitta e confermata a seguito di procedimenti in contraddittorio, sul suo luogo di lavoro piuttosto che in regime detentivo. 27 Con decisione 15 gennaio 2002 la Curtea Supremă de Justiţie (Corte suprema) (Romania), pronunciandosi, secondo le dichiarazioni del giudice del rinvio, in contumacia, e senza che il sig. I. B. fosse stato informato personalmente né della data né del luogo dell’udienza, ha riformato le decisioni pronunciate antecedentemente nella parte in cui autorizzavano il sig. I. B. a scontare la condanna a quattro anni di reclusione sul suo luogo di lavoro, stabilendo che tale pena fosse eseguita in regime detentivo. 28 Nel corso del febbraio 2002 il sig. I. B. ha deciso di recarsi in Belgio dopo essere stato vittima, come egli asserisce, di gravi violazioni del diritto ad un equo processo. La moglie ed i due figli lo hanno successivamente raggiunto, dal mese di ottobre 2002. 29 L’11 dicembre 2007 il sig. I. B. è stato privato della libertà in Belgio, sulla base di una segnalazione, in data 10 febbraio 2006, delle autorità rumene nel sistema d’informazione Schengen (SIS) diretta al suo arresto e alla sua consegna a tali autorità nell’ambito dell’esecuzione della pena privativa della libertà inflittagli. 30 Ritenendo che detta segnalazione valesse come mandato d’arresto europeo, il procureur du Roi (pubblico ministero belga) si è rivolto al giudice istruttore, il quale, con ordinanza 12 dicembre 2007, ha deciso di porre il sig. I. B. in libertà condizionale, in attesa dell’adozione di una decisione definitiva relativa alla sua consegna. 31 Il 13 dicembre 2007 il Tribunalul București ha spiccato un mandato di arresto europeo nei confronti del sig. I. B., ai fini dell’esecuzione della pena di quattro anni di reclusione comminatagli in Romania. 32 Il 19 dicembre 2007 il sig. I. B. ha presentato, presso l’Office des étrangers (ufficio per gli stranieri), una domanda diretta ad ottenere la concessione dello status di rifugiato in Belgio. 33 Il 29 febbraio 2008, il procureur du Roi ha chiesto al Tribunale di Nivelles di dichiarare esecutivo il mandato d’arresto trasmesso dall’autorità giudiziaria emittente rumena. 34 Il 2 luglio 2008 sono stato negati al sig. I. B. lo status di rifugiato e la relativa protezione sussidiaria. Tale diniego, confermato dal Conseil du contentieux des étrangers (giudice amministrativo competente per i ricorsi degli stranieri) nel marzo 2009, è attualmente oggetto di un procedimento pendente dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato) (Belgio). 35 Con ordinanza del 22 luglio 2008 il Tribunale di Nivelles, in occasione della verifica delle condizioni che deve soddisfare il mandato d’arresto europeo per poter essere eseguito, dichiarava che quest’ultimo rispettava tutte le condizioni prescritte dalla legge relativa al mandato d’arresto europeo. Tale giudice ha segnatamente valutato che non sussistessero seri motivi di ritenere che l’esecuzione del mandato d’arresto in parola avrebbe avuto l’effetto di ledere i diritti fondamentali del sig. I. B. 36 In proposito il citato giudice fa osservare che, sebbene il mandato d’arresto europeo in discussione nella causa principale sia effettivamente diretto all’esecuzione di una decisione giudiziaria adottata in contumacia, l’autorità giudiziaria emittente rumena ha ciò nondimeno fornito assicurazioni che si possono considerare sufficienti ai sensi dell’art. 7 della legge relativa al mandato d’arresto europeo, poiché detto mandato d’arresto precisa che, in virtù dell’art. 522 bis del codice di procedura penale rumeno, la causa, su istanza del condannato in contumacia, può essere rinviata al giudice di primo grado. 37 Il Tribunale di Nivelles ha constatato che il sig. I. B. non poteva basarsi sull’art. 6, 4º, della legge relativa al mandato d’arresto europeo, la quale prevede che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo può essere rifiutata, se tale mandato è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena, qualora l’interessato risieda in Belgio e le autorità competenti si impegnino ad eseguire detta pena conformemente alla legge nazionale. 38 Detto motivo di rifiuto, infatti, si applica solo alle condanne in contumacia passate in giudicato, come precisa l’art. 25 della legge sul trasferimento, letto in combinato disposto con l’art. 18, n. 2, della stessa. Orbene, il sig. I. B. disporrebbe ancora della facoltà di chiedere un nuovo procedimento. 39 Il Tribunale di cui trattasi rileva inoltre che, se l’art. 8 della legge relativa al mandato d’arresto europeo prevede che la consegna di una persona residente in Belgio e oggetto di un mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale può essere subordinata alla condizione che tale persona, dopo essere stata giudicata, sia rinviata in Belgio per scontarvi la pena inflittale nello Stato membro emittente, l’art. 7 di detta legge stabilisce che il mandato d’arresto fondato su una sentenza in contumacia è considerato come emesso ai fini dell’esecuzione di una pena. 40 Considerando che tale disparità di trattamento potrebbe dare origine ad una discriminazione e tenuto conto della circostanza che il sig. I. B. risiede in Belgio ai sensi della legislazione in parola, il Tribunale di Nivelles, qualora detto art. 8 dovesse essere interpretato nel senso che si applica unicamente al mandato d’arresto europeo rilasciato ai fini dell’azione penale e non anche al mandato d’arresto emesso ai fini dell’esecuzione di una condanna ad una pena privativa della libertà pronunciata in contumacia e avverso cui il condannato dispone ancora di un rimedio giurisdizionale, si è rivolto alla Cour constitutionnelle per accertare la compatibilità del menzionato art. 8 con gli artt. 10 e 11 della Costituzione, relativi ai principi d’uguaglianza e di non discriminazione. 41 Avendo a sua volta constatato che la legge relativa al mandato d’arresto europeo era solamente diretta a recepire nell’ordinamento giuridico interno la decisione quadro 2002/584, la Cour constitutionnelle ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se il mandato d’arresto europeo rilasciato ai fini dell’esecuzione di una condanna, pronunciata in contumacia senza che il condannato sia stato informato del luogo e della data dell’udienza e contro la quale quest’ultimo dispone ancora di un rimedio giurisdizionale, debba essere considerato non un mandato d’arresto ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà, ai sensi dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro [2002/584], bensì un mandato d’arresto ai fini di un’azione penale, ai sensi dell’art. 5, punto 3, della medesima decisione quadro. 2) In caso di soluzione negativa della prima questione, se gli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della medesima decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che non consentono agli Stati membri di subordinare la consegna alle autorità giudiziarie dello Stato emittente di una persona residente nel loro territorio, la quale sia oggetto, nelle circostanze descritte nella prima questione, di un mandato d’arresto ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà, alla condizione che detta persona venga rinviata nello Stato dell’esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privativa della libertà comminatale in via definitiva nello Stato emittente. 3) In caso di soluzione affermativa della seconda questione, se i menzionati articoli contravvengano all’art. 6, n. 2 [UE] e, più specificamente, al principio di uguaglianza e di non discriminazione. 4) In caso di soluzione negativa della prima questione, se gli artt. 3 e 4 della medesima decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità giudiziarie di uno Stato membro rifiutino l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora sussistano seri motivi per ritenere che la sua esecuzione determinerebbe una lesione dei diritti fondamentali dell’interessato sanciti dall’art. 6, n. 2 [UE]». Sulle questioni pregiudiziali 42 In via preliminare occorre, in primo luogo, precisare che, ai sensi del suo art. 32, la decisione quadro 2002/584 si applica alle richieste di esecuzione di un mandato d’arresto ricevute a partire dal 1° gennaio 2004, a condizione che lo Stato membro di esecuzione non abbia dichiarato che continuerà a trattare le richieste relative a fatti commessi prima del 7 agosto 2002 in base al sistema di estradizione applicabile anteriormente a tale data. Se è pur vero che la richiesta in discussione nella causa principale concerne fatti precedenti alla data in parola, è incontestato che il Regno del Belgio non abbia effettuato una dichiarazione del genere. Conseguentemente, detta decisione quadro è applicabile nel caso di specie. 43 In secondo luogo, va ricordato che, fra i motivi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo elencati agli artt. 3 e 4 della medesima decisione quadro, non compare l’esistenza né di una richiesta di asilo né di una richiesta di concessione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria. 44 Più specificamente, riguardo alla domanda d’asilo presentata alle autorità competenti di uno Stato membro da un cittadino di un altro Stato membro, l’articolo unico del protocollo n. 29 sul diritto d’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, allegato al Trattato CE (diventato il protocollo n. 24, allegato al Trattato FUE), dispone in particolare che, dato il livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali negli Stati membri, essi si considerano reciprocamente paesi d’origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti all’asilo. 45 Nel medesimo senso occorre precisare che una richiesta di concessione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria presentata da un cittadino di uno Stato membro non rientra nell’ambito di applicazione del meccanismo di protezione internazionale instaurato dalla direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12). 46 Pertanto, la circostanza che il sig. I. B. abbia presentato alle autorità competenti belghe una richiesta di concessione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria ai sensi della direttiva 2004/83 non può essere considerata rilevante ai fini delle soluzioni da fornire alle questioni poste dal giudice del rinvio. 47 In terzo luogo, va notato che il giudice del rinvio parte dalla premessa di essere stato investito di una richiesta di esecuzione di una sentenza emessa in contumacia ai sensi dell’art. 5, punto 1, della decisione quadro 2002/584. Spetta, eventualmente, a detto giudice utilizzare le possibilità offerte all’art. 15, punto 2, della decisione quadro in parola per verificare tale punto. In ogni caso, è compito della Corte pronunciarsi tenendo conto delle considerazioni di fatto e di diritto esposte nella decisione di rinvio. Sulla prima e sulla seconda questione 48 Con la prima e la seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584 possano essere interpretati nel senso che l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena pronunciata in contumacia ai sensi dell’art. 5, punto 1, della menzionata decisione quadro può essere subordinata alla condizione che la persona interessata, cittadina o residente dello Stato membro di esecuzione, sia rinviata in quest’ultimo per, eventualmente, scontarvi la pena che sia pronunciata nei suoi confronti, in esito ad un nuovo procedimento giudiziario svolto in sua presenza nello Stato membro emittente. 49 Per fornire una soluzione a siffatte questioni occorre precisare che il mandato d’arresto europeo può considerare, come previsto all’art. 1, punto 1, della decisione quadro 2002/584, due situazioni. Tale mandato d’arresto, infatti, può essere emesso, da un lato, ai fini dell’esercizio di un’azione penale o, dall’altro, dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 50 Sebbene il principio del riconoscimento reciproco informi l’economia della decisione quadro 2002/584, un riconoscimento del genere, come emerge dagli artt. 3 5 della stessa, non implica tuttavia un obbligo assoluto di esecuzione del mandato d’arresto emesso. 51 Difatti, il sistema della decisione quadro, come risulta segnatamente dalle disposizioni degli articoli menzionati, lascia agli Stati membri la possibilità di consentire, in situazioni specifiche, alle autorità giudiziarie competenti di decidere che una pena inflitta debba essere eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione. 52 Ciò si verifica, in particolare, ai sensi degli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584. Per i due tipi di mandato d’arresto europeo considerati da quest’ultima, tali disposizioni mirano segnatamente a permettere di accordare una speciale importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata (v., in particolare, sentenza 6 ottobre 2009, causa C 123/08, Wolzenburg, Racc. pag. I 9621, punto 62). 53 Nulla consente di ritenere che il legislatore dell’Unione abbia inteso escludere da tale obiettivo le persone ricercate in base ad una condanna pronunciata in contumacia. 54 Infatti, da un lato, una decisione giudiziaria pronunciata in contumacia, nel caso in cui la persona interessata non sia stata personalmente né altrimenti informata della data e del luogo dell’udienza che ha portato a tale decisione, rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2002/584 che, precisamente all’art. 5, punto 1, prevede che l’esecuzione del mandato d’arresto emesso in conseguenza di siffatta decisione può essere subordinata alla garanzia che la persona interessata avrà la possibilità di richiedere un nuovo processo. 55 D’altro canto, la sola circostanza che detto art. 5, punto 1, assoggetti a una garanzia del genere l’esecuzione del mandato d’arresto emesso a seguito di una decisione pronunciata in contumacia non può avere l’effetto di rendere inapplicabile ad un mandato di siffatta natura il motivo o la condizione enunciati, rispettivamente, agli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584 al fine di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata. 56 Qualora la condanna in contumacia sulla quale, nella causa principale, è basato il mandato d’arresto non fosse divenuta esecutiva, la finalità e lo scopo della consegna sarebbero precisamente di consentire che prosegua l’esercizio dell’azione pubblica o che si avvii un nuovo processo, vale a dire, che si proceda ad una consegna ai fini di un’azione penale corrispondente all’ipotesi di cui all’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584. 57 Tenuto conto della circostanza che la situazione di una persona condannata in contumacia e che dispone ancora della possibilità di richiedere un nuovo processo è paragonabile a quella di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale, nessuna ragione oggettiva osta a che un’autorità giudiziaria dell’esecuzione che ha applicato l’art. 5, punto 1, della decisione quadro 2002/584 applichi la condizione di cui all’art. 5, punto 3, della stessa. 58 Inoltre, un’interpretazione del genere è la sola che, attualmente, consenta una reale possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale di una persona residente nello Stato membro di esecuzione e che, condannata con una decisione giudiziaria non ancora esecutiva, può essere oggetto di un nuovo processo nello Stato membro emittente. 59 Infine, detta interpretazione consente anche, come sottolineato in particolare dal governo svedese, di non obbligare la persona condannata in contumacia a rinunciare ad un nuovo processo nello Stato membro emittente per ottenere che la sua condanna, in applicazione dell’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, sia eseguita nello Stato membro ove risiede ai sensi delle disposizioni pertinenti di quest’ultima. 60 Di conseguenza, come sostenuto da tutti gli Stati membri e dalla Commissione europea, i quali hanno presentato osservazioni relativamente alla prima questione o alla prima e alla seconda questione, lo Stato membro di esecuzione è autorizzato a subordinare la consegna di una persona che si trova in una situazione analoga a quella del sig. I. B. all’applicazione congiunta delle condizioni ex art. 5, punti 1 e 3, della decisione quadro 2002/584. 61 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima e la seconda questione dichiarando che gli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584 devono essere interpretati nel senso che, quando lo Stato membro di esecuzione interessato abbia attuato l’art. 5, punti 1 e 3, di detta decisione quadro nel suo ordinamento giuridico interno, l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena pronunciata in contumacia ai sensi del citato art. 5, punto 1, può essere subordinata alla condizione che la persona interessata, cittadina o residente dello Stato membro di esecuzione, sia rinviata in quest’ultimo per, eventualmente, scontarvi la pena che sia pronunciata nei suoi confronti in esito ad un nuovo procedimento giudiziario svolto in sua presenza nello Stato membro emittente. Sulla terza e sulla quarta questione 62 La terza e la quarta questione, in realtà, sono state poste unicamente nell’ipotesi in cui la soluzione alla prima e alla seconda questione non avesse la conseguenza, in circostanze come quelle della causa principale, di consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di subordinare la consegna dell’interessato alla condizione del suo rinvio nello Stato membro di esecuzione. 63 Dal momento che siffatta possibilità di subordinare la consegna alla garanzia prevista all’art. 5, punto 3, della decisione quadro 2002/584 è stata riconosciuta dalla Corte nella soluzione fornita alla prima e alla seconda questione, non occorre risolvere la terza e la quarta questione. Sulle spese 64 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: Gli artt. 4, punto 6, e 5, punto 3, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri devono essere interpretati nel senso che, quando lo Stato membro di esecuzione interessato abbia attuato l’art. 5, punti 1 e 3, di detta decisione quadro nel suo ordinamento giuridico interno, l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena pronunciata in contumacia ai sensi del citato art. 5, punto 1, può essere subordinata alla condizione che la persona interessata, cittadina o residente dello Stato membro di esecuzione, sia rinviata in quest’ultimo per, eventualmente, scontarvi la pena che sia pronunciata nei suoi confronti in esito ad un nuovo procedimento giudiziario svolto in sua presenza nello Stato membro emittente.

(C – 205/09) - COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE – NOZIONE DI “VITTIMA” – PERSONA GIURIDICA – MEDIAZIONE PENALE NELL’AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE – MODALITÀ DI APPLICAZIONE.

(C – 205/09) - COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE – NOZIONE DI “VITTIMA” – PERSONA GIURIDICA – MEDIAZIONE PENALE NELL’AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE – MODALITÀ DI APPLICAZIONE.


La Corte di Giustizia si è pronunciata in ordine ad una questione pregiudiziale sollevata da un Tribunale ungherese nel contesto di un procedimento penale promosso per lesione degli interessi finanziari delle Comunità europee. L’oggetto della domanda verteva, in particolare, sull’interpretazione degli artt. 1, lett. a), e 10, n. 1, della Decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001 (2001/220/GAI), relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Secondo l’art. 1 della predetta Decisione quadro, “vittima” è la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro, mentre l’art. 10, a sua volta, dispone che “ciascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per questo tipo di misura” e provvede, altresì, a garantire che vengano presi in considerazione “eventuali accordi raggiunti tra la vittima e l’autore del reato nel corso della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali”. La Corte ha chiarito che gli artt. 1, lett. a), e 10 della su citata Decisione quadro devono essere interpretati: a) nel senso che, ai fini della promozione della mediazione nei procedimenti penali prevista al citato art. 10, n. 1, la nozione di «vittima» non include le persone giuridiche; b) nel senso che gli Stati membri non sono obbligati a consentire il ricorso alla mediazione per tutti i reati il cui elemento oggettivo, come definito dalla normativa nazionale, corrisponda in sostanza a quello dei reati per i quali la mediazione è espressamente prevista da tale normativa. Secondo il codice di procedura penale ungherese, infatti, il procedimento di mediazione può essere avviato su istanza della persona sottoposta alle indagini o della vittima, e con il loro consenso, nei procedimenti penali riguardanti reati contro la persona, contro la sicurezza dei trasporti o contro il patrimonio, per i quali è prevista una pena non superiore a cinque anni di reclusione. Sulla base del tenore letterale dell’art. 10, e dell’ampio margine discrezionale che la Decisione quadro lascia alle autorità nazionali quanto alle modalità concrete di attuazione dei suoi obiettivi, il Giudice comunitario ha conclusivamente osservato che il legislatore ungherese non è andato oltre il margine discrezionale di cui dispone, nel consentire l’applicazione della procedura di mediazione soltanto nelle ipotesi sopra evidenziate, trattandosi di valutazioni che attengono sostanzialmente a motivi di politica giuridica.





Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 21 ottobre 2010



Nel procedimento C 205/09,



avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 35 UE, dal Szombathelyi Városi Bíróság (Ungheria) con decisione 22 aprile 2009, pervenuta in cancelleria l’8 giugno 2009, nel procedimento penale a carico di Emil Eredics, Mária Vassné Sápi, LA CORTE (Seconda Sezione), composta dal sig. J. N. Cunha Rodrigues (relatore), presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici, avvocato generale: sig.ra J. Kokott cancelliere: sig. A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per il governo ungherese, dalla sig.ra R. Somssich, dal sig. M. Fehér e dalla sig.ra K. Szíjjártó, in qualità di agenti; – per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra B. Beaupère-Manokha, in qualità di agenti; – per il governo italiano, dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. B. Simon e R. Troosters, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° luglio 2010, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 1, lett. a), e 10, n. 1, della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (GU L 82, pag. 1; in prosieguo: la «decisione quadro»). 2 Tale domanda è stata presentata nel contesto di un procedimento penale promosso contro il sig. Eredics e la sig.ra Sápi per lesione degli interessi finanziari delle Comunità europee. Contesto normativo La normativa dell’Unione 3 L’art. 1 della decisione quadro ha il seguente tenore: «Ai fini della presente decisione quadro s’intende per: a) “vittima”: la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro; (…) c) “procedimento penale”: il procedimento penale conforme al diritto nazionale applicabile; (…) e) “mediazione nelle cause penali”: la ricerca, prima o durante il procedimento penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato, con la mediazione di una persona competente». 4 L’art. 10 della decisione quadro dispone quanto segue: «1. Ciascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per questo tipo di misura. 2. Ciascuno Stato membro provvede a garantire che eventuali accordi raggiunti tra la vittima e l’autore del reato nel corso della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali vengano presi in considerazione». La normativa nazionale 5 L’art. 221/A del codice di procedura penale ungherese (Büntető eljárási törvény; in prosieguo: il «CPP») dispone quanto segue: «1. Il procedimento di mediazione può essere avviato su istanza della persona sottoposta alle indagini o della vittima, e con il loro consenso, nei procedimenti penali riguardanti reati contro la persona (capo XII, titoli I e III, del codice penale), contro la sicurezza dei trasporti (capo XIII del codice penale) o contro il patrimonio (capo XVIII del codice penale), per i quali è prevista una pena non superiore a cinque anni di reclusione. 2. Il procedimento di mediazione è diretto a favorire la riparazione delle conseguenze del reato e a promuovere un futuro comportamento della persona sottoposta alle indagini conforme al diritto. Nel corso del procedimento di mediazione si deve promuovere la conclusione di un accordo tra la vittima e la persona sottoposta alle indagini fondato sul ravvedimento operoso di quest’ultima. Nel corso del procedimento penale il procedimento di mediazione può essere svolto solo una volta. 3. Il pubblico ministero, d’ufficio o su istanza della persona sottoposta alle indagini, del difensore o della vittima, sospende il procedimento per un periodo massimo di sei mesi e dispone lo svolgimento del procedimento di mediazione se: a) risulta possibile, ai sensi dell’art. 36 del codice penale, l’archiviazione del procedimento penale o una riduzione della pena; b) la persona sottoposta alle indagini confessa nel corso delle indagini i fatti commessi, ed è disposta e in grado di riparare il danno arrecato alla vittima o di elidere in altro modo le conseguenze dannose; c) la persona sottoposta alle indagini e la vittima hanno dichiarato il proprio consenso allo svolgimento del procedimento di mediazione; d) tenuto conto della natura del reato, delle modalità di commissione dello stesso nonché della personalità dell’indagato, si può rinunciare allo svolgimento del procedimento giudiziario o vi sono fondati motivi per ritenere che il giudice in sede di commisurazione della pena valuterà positivamente il ravvedimento operoso. (…) 5. Le dichiarazioni rilasciate nell’ambito del procedimento di mediazione dalla persona sottoposta alle indagini e dalla vittima in merito a circostanze costituenti oggetto del procedimento non possono assumere valore probatorio. L’esito del procedimento di mediazione non può essere utilizzato contro la persona sottoposta alle indagini. 6. La disciplina dettagliata del procedimento di mediazione sarà stabilita mediante una legge speciale. 7. Qualora il procedimento di mediazione si concluda positivamente, con l’applicazione dell’art. 36, n. 1, del codice penale, il pubblico ministero archivia il procedimento; nel caso di applicazione dell’art. 36, n. 2, del codice penale, il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio. Ove la persona sottoposta alle indagini abbia iniziato ad eseguire l’accordo raggiunto nell’ambito del procedimento di mediazione senza che ciò abbia effetto sulla sua eventuale condanna, il pubblico ministero, se si tratta di reati puniti con la pena della reclusione non superiore a tre anni, può sospendere la richiesta di rinvio a giudizio per un periodo compreso tra uno e due anni». 6 Ai sensi dell’art. 36 del codice penale ungherese (Büntető törvénykönyv; in prosieguo: il «CP»): «1 Non è punito colui che, nell’ambito di un procedimento di mediazione, ripara il danno cagionato alla vittima da un reato contro la persona (capo XII, titoli I e III, del codice penale), contro la sicurezza dei trasporti (capo XIII del codice penale) o contro il patrimonio (capo XVIII del codice penale), punibile con pena non superiore a tre anni di reclusione, o elide in altro modo le conseguenze del reato. 2. Se si tratta di reati di cui al n. 1, puniti con pena non superiore a cinque anni di reclusione, la pena può essere ridotta se l’autore del reato, nell’ambito di un procedimento di mediazione, ripara il danno cagionato alla vittima o elide in altro modo le conseguenze del reato. 3. Non è applicabile il disposto dei succitati nn. 1 e 2 ove l’autore a) sia un plurirecidivo o un recidivo specifico, b) abbia commesso il reato in forma associativa, c) abbia causato la morte con il suo reato, d) abbia commesso un reato doloso nel corso di un periodo di prova che ha comportato la sospensione di una pena detentiva o, in caso di condanna a una pena detentiva da eseguire a motivo della commissione di un reato doloso, prima di aver iniziato a eseguire la pena di cui trattasi o, ancora, durante un periodo di libertà condizionale o di sospensione dell’azione penale». 7 In applicazione dell’art. 314 del CP: «1. Chiunque cagiona un danno al bilancio delle Comunità europee, rilasciando una dichiarazione falsa o presentando documentazione non corretta, falsa o falsificata, oppure non soddisfacendo gli obblighi di informazione prescritti o soddisfacendoli solo insufficientemente, in modo da indurre in errore, in relazione a a) erogazioni provenienti da fondi gestiti dalle Comunità europee o in loro nome, b) contributi destinati al bilancio gestito dalle Comunità europee o in loro nome, commette un reato punibile con la reclusione fino a cinque anni. 2. Alla stessa pena soggiace altresì chi utilizza, per uno scopo diverso da quello concordato: a) un’erogazione del tipo previsto al n. 1, lett. a), o b) un beneficio connesso ad un contributo del tipo previsto al n. 1, lett. b)». 8 L’art. 318 del CP così dispone: «1. Chiunque, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, induce taluno in errore o lo lascia nell’errore, cagionando in tal modo un danno, commette truffa. (…) 4. La pena è della reclusione fino a tre anni se: a) la truffa cagiona un danno rilevante, (…)». 9 Conformemente all’art. 138/A del CP, un danno è «rilevante se è superiore a HUF 200 000, ma non superiore a HUF 2 000 000». Causa principale e questioni pregiudiziali 10 Il sig. Eredics, principale imputato del procedimento a quo, dirige la scuola materna e primaria generale di Apátistvánfalva (in prosieguo: la «scuola»). La sig.ra Sápi, seconda imputata del procedimento principale, è amministratrice della Apátistvánfalvi Hotel Apát Kereskedelmi és Szolgáltatási Korlátolt Felelősségű Társaság (società a responsabilità limitata di diritto ungherese; in prosieguo: l’«Hotel Apát kft») e direttrice dell’Hotel Apát, gestito dalla Hotel Apát kft. 11 Nel contesto del contratto quadro stipulato il 30 giugno 2003 tra la scuola e il Fondo ungherese per i piccoli progetti del programma PHARE CBC (Magyarország – PHARE CBC Program Kisprojekt Alap 2001), quest’ultimo ha accordato alla scuola un aiuto al fine di coprire l’80,15% dell’importo necessario alla realizzazione di un progetto di percorso forestale, guidato dal sig. Eredics in qualità di capo progetto. 12 L’aiuto è stato versato il 4 febbraio 2004. La VÁTI Magyar Regionális Fejlesztési és Urbanisztikai Kiemelten Közhasznú Társaság (società ungherese di pubblica utilità incaricata dello sviluppo rurale e dell’urbanistica; in prosieguo: la «VÁTI kht») ha vigilato sulla realizzazione del progetto ed era incaricata della chiusura dei conti. 13 In base a un contratto concluso tra il sig. Eredics e la sig.ra Sápi, designata a seguito di una gara d’appalto, la sig.ra Sápi si è impegnata, a fronte del pagamento di HUF 1 200 000 (circa EUR 4 270), a organizzare, preparare e porre a disposizione gli spazi per una formazione preparatoria al corso di base per micologi nonché a organizzare viaggi di studio e incontri. 14 Al fine di giustificare l’esecuzione delle disposizioni di tale contratto, la sig.ra Sápi ha predisposto, a nome della Hotel Apát kft, un resoconto relativo all’esecuzione del progetto, dalla stessa inoltrato al sig. Eredics, il quale ha liquidato la fattura finale utilizzando il conto corrente della scuola. 15 Dal momento che lo svolgimento effettivo del corso di base di micologia che doveva essere organizzato nel contesto di tale contratto non è stato dimostrato, si è ritenuto che la fattura e il registro, predisposti per attestare l’esecuzione del contratto di cui trattasi, contenessero indicazioni false. Il sig. Eredics ha depositato nel fascicolo del progetto i documenti presunti falsi, il resoconto predisposto in merito a un viaggio di studio che non ha avuto luogo nonché un rapporto di valutazione in cui una persona sconosciuta avrebbe falsificato il nome del responsabile del gruppo. Tale fascicolo è stato inviato alla VÁTI kht per giustificare l’esecuzione degli obblighi previsti nel succitato contratto. 16 Il 20 giugno 2006 un privato ha presentato denuncia contro il sig. Eredics e la sig.ra Sápi a causa di un ingiustificato pagamento di un importo pari a circa HUF 1 200 000. 17 È stata disposta un’inchiesta nel corso della quale il sig. Eredics è stato sentito in diverse occasioni in qualità di persona sottoposta alle indagini, senza peraltro ammettere i fatti che gli erano addebitati. 18 Il 2 settembre 2008 la Procura presso il Szombathelyi Városi Bíróság (Tribunale municipale di Szombathely) ha investito tale Tribunale di un procedimento penale, con accusa presentata contro il sig. Eredics e la sig.ra Sápi, qualificando l’operato del sig. Eredics come «reato di lesione degli interessi finanziari delle Comunità europee», ai sensi dell’art. 314, n. 1, lett. a), del CP, commesso in un solo caso come autore. 19 Il 24 novembre 2008, su invito del giudice del rinvio, il sig. Eredics ha ammesso i fatti gli erano imputati e ha presentato istanza per lo svolgimento della mediazione, al fine di ottenere l’archiviazione del procedimento o una riduzione della pena ai sensi dell’art. 221/A del CPP. 20 All’udienza del 9 aprile 2009 il giudice del rinvio ha considerato che i fatti addebitati al sig. Eredics potevano essere parimenti qualificati come «reato di truffa». Il sig. Eredics ha tenuto ferma la sua domanda diretta allo svolgimento di un procedimento di mediazione nonché la previa dichiarazione ad esso relativa avente ad oggetto il riconoscimento dei fatti. 21 All’udienza del 22 aprile 2009 la VÁTI kht, nella sua qualità di vittima, ha prestato il proprio consenso allo svolgimento di un procedimento di mediazione. Il giudice del rinvio ha quindi sospeso il procedimento penale ai fini della mediazione fino al 22 ottobre 2009. 22 Il pubblico ministero ha impugnato tale decisione. Tenuto conto della qualificazione giuridica del fatto di cui all’accusa, detto operato non rientrerebbe tra i reati per i quali il diritto ungherese prevede il procedimento di mediazione. Inoltre, l’esclusione di questo procedimento discenderebbe dal fatto che il sig. Eredics non ha confessato i fatti «nel corso delle indagini», come prevede il succitato art. 221/A. Risulterebbe poi superflua la disponibilità della VÁTI kht a partecipare, in qualità di vittima, alla mediazione. La vittima ultima sarebbe la Comunità europea, cosicché la mediazione apparirebbe ingiustificata. 23 In tale contesto, il Szombathelyi Városi Bíróság ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se, atteso l’obbligo previsto dall’art. 10 della decisione quadro di promuovere la mediazione tra vittima e autore del reato nel procedimento penale, un “soggetto che non è una persona fisica” rientri nella nozione di “vittima” di cui all’art. 1, lett. a), della decisione quadro (…). Con tale questione il giudice a quo richiede esplicitamente un chiarimento e un’integrazione della sentenza [della Corte 28 giugno 2007, causa C 467/05, Dell’Orto, Racc. pag. I 5557]. 2) Se la nozione di “reati” di cui all’art. 10, n. 1, della decisione quadro (…), ai sensi del quale “ciascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per questo tipo di misura”, possa essere interpretata nel senso che essa ricomprende tutti i reati i cui elementi costitutivi in senso materiale fissati dalla legge sono sostanzialmente dello stesso tipo. 3) Se l’espressione “ciascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali”, figurante all’art. 10, n. 1, della decisione quadro (…), possa essere interpretata nel senso che una mediazione tra autore e vittima del reato debba essere possibile almeno fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, quindi nel senso che il requisito di un’ammissione dei fatti intervenuta nel corso del procedimento giudiziario, dopo la chiusura della fase delle indagini, è conforme – sempre che risultino soddisfatte tutte le altre condizioni – all’obbligo di promuovere la mediazione. 4) Per quanto riguarda l’art. 10, n. 1, della decisione quadro (…) il giudice del rinvio si chiede se l’espressione secondo cui «[c]iascuno Stato membro provvede a promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti penali per i reati che esso ritiene idonei per questo tipo di misura» garantisca – sempre che risultino soddisfatti gli ulteriori requisiti di legge – un generale accesso alla possibilità di effettuare la mediazione nelle cause penali, senza che in proposito sussista alcuna discrezionalità. Se, in altre parole, in caso di soluzione affermativa della questione, le disposizioni (le prescrizioni) dell’art. 10 ostino ad un presupposto in base al quale, “tenuto conto della natura del reato, delle modalità di commissione dello stesso nonché della personalità dell’indagato, si può rinunciare allo svolgimento del procedimento giudiziario o vi sono fondati motivi per ritenere che il giudice in sede di commisurazione della pena valuterà positivamente il ravvedimento operoso”». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 24 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli artt. 1, lett. a), e 10 della decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che la nozione di «vittima» include, ai fini della promozione della mediazione nelle cause penali prevista al citato art. 10, n. 1, anche le persone giuridiche. 25 Come hanno giustamente osservato i governi ungherese, francese e italiano nonché la Commissione delle Comunità europee, la Corte ha già statuito che, tenuto conto del testo e dell’impianto sistematico della decisione quadro, la nozione di «vittima» ai fini della medesima decisione, come definita all’art. 1 di quest’ultima, riguarda esclusivamente le persone fisiche (v. in tal senso, in particolare, citata sentenza Dell’Orto, punti 53 56). 26 In tal senso, la Corte ha dichiarato, al punto 53 della citata sentenza Dell’Orto, che emerge dalla stessa formulazione dell’art. 1, lett. a), della decisione quadro, il quale, ai fini della medesima, definisce la vittima come la persona «fisica» che ha subìto un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro, che tale articolo della decisione quadro riguarda soltanto le persone fisiche che hanno subìto un siffatto pregiudizio. 27 Ai punti 55 e 56 della stessa sentenza la Corte ha osservato che non vi è alcun’altra disposizione della decisione quadro contenente un’indicazione secondo cui il legislatore dell’Unione avrebbe inteso estendere la nozione di «vittima» alle persone giuridiche ai fini dell’applicazione della decisione quadro in parola e che, ben al contrario, diverse disposizioni di quest’ultima confermano che lo scopo del legislatore è stato quello di prendere in considerazione unicamente le persone fisiche vittime di un pregiudizio causato da una violazione del diritto penale. A questo riguardo, oltre all’art. 1, lett. a), della decisione quadro, che fa riferimento, considerandoli elementi del danno, al pregiudizio fisico o mentale, nonché alle sofferenze psichiche, la Corte ha menzionato l’art. 2, n. 1, della decisione quadro, il quale impone agli Stati membri di adoperarsi affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale, il n. 2 del medesimo art. 2, che menziona il trattamento specifico di cui devono beneficiare le vittime particolarmente vulnerabili, così come l’art. 8, n. 1, della decisione quadro, che impone agli Stati membri di garantire un livello adeguato di protezione ai familiari o alle persone assimilabili ai familiari della vittima. 28 Il fatto che taluni Stati membri prevedano la mediazione penale quando la vittima è una persona giuridica non pone in discussione la conclusione cui è giunta la Corte nella citata sentenza Dell’Orto. 29 Infatti, dal momento che non realizza un’armonizzazione completa del settore considerato, la decisione quadro non impedisce né obbliga gli Stati membri ad applicare le disposizioni in essa previste anche quando la vittima è una persona giuridica. 30 Un’interpretazione della decisione quadro nel senso che essa riguarda soltanto le persone fisiche non costituisce peraltro una discriminazione nei riguardi delle persone giuridiche. Infatti, il legislatore dell’Unione ha potuto legittimamente introdurre un sistema di tutela a favore delle sole persone fisiche dal momento che queste ultime si trovano in una situazione oggettivamente diversa da quella delle persone giuridiche, data la loro maggiore vulnerabilità e la natura degli interessi che soltanto le violazioni commesse nei confronti delle persone fisiche possono pregiudicare, come ad esempio la vita e l’integrità fisica della vittima. 31 Alla luce di quanto precedentemente esposto, gli artt. 1, lett. a), e 10 della decisione quadro devono essere interpretati nel senso che, ai fini della promozione della mediazione nei procedimenti penali prevista al citato art. 10, n. 1, la nozione di «vittima» non include le persone giuridiche. Sulla seconda questione Sulla competenza della Corte 32 Il governo ungherese osserva che il CPP consente di avvalersi della procedura di mediazione quando la vittima non è una persona fisica. Tuttavia, dal momento che nell’ambito di applicazione della decisione quadro rientrano solo le vittime che siano persone fisiche, quest’ultima sarebbe comunque ininfluente ai fini della causa principale. 33 Secondo una costante giurisprudenza, la Corte è competente a pronunciarsi sebbene i fatti di cui alla causa siano estranei al campo di applicazione del diritto dell’Unione, ove una normativa nazionale si sia conformata, per le soluzioni che essa apporta a una situazione non contemplata dal diritto dell’Unione, a quelle adottate nell’ambito di tale diritto. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’ordinamento giuridico dell’Unione ha, infatti, un interesse manifesto a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, ogni disposizione del diritto dell’Unione riceva un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verrà applicata (v. in tal senso, in particolare, sentenze 17 luglio 1997, causa C 130/95, Giloy, Racc. pag. I 4291, punti 19 28; 11 ottobre 2001, causa C 267/99, Adam, Racc. pag. I 7467, punti 23 29; 15 gennaio 2002, causa C 43/00, Andersen og Jensen, Racc. pag. I 379, punti 15 19, e 16 marzo 2006, causa C 3/04, Poseidon Chartering, Racc. pag. I 2505, punti 14 19). 34 Orbene, come ammette il governo ungherese, l’art. 221/A del CPP ha introdotto in quest’ultimo, a far data dal 1° gennaio 2007, una procedura di mediazione che, per quanto riguarda le violazioni ivi previste, non effettua alcuna distinzione a seconda che la vittima sia una persona fisica o una persona giuridica. 35 La Corte non è pertanto incompetente a pronunciarsi sulla seconda questione solo a motivo del fatto che la decisione quadro riguarda soltanto le vittime che siano persone fisiche. Nel merito 36 Con tale questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 10 della decisione quadro debba essere interpretato nel senso che obbliga gli Stati membri a consentire il ricorso alla mediazione per tutti i reati il cui elemento oggettivo, come definito dalla normativa nazionale, corrisponde in sostanza a quello dei reati per i quali la mediazione è espressamente prevista da tale normativa. 37 A tale riguardo si deve osservare che, oltre al fatto che l’art. 34 UE fa salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi necessari per conseguire il risultato voluto dalle decisioni quadro, l’art. 10 della decisione quadro si limita ad imporre agli Stati membri di provvedere a promuovere la mediazione per i reati che essi ritengano «idonei», cosicché la scelta dei reati per i quali è possibile la mediazione rientra nella valutazione degli Stati membri. 38 Dal tenore stesso dell’art. 10 e dall’ampio margine discrezionale che la decisione quadro lascia alle autorità nazionali quanto alle modalità concrete di attuazione dei suoi obiettivi (v. sentenza 9 ottobre 2008, causa C 404/07, Katz, Racc. pag. I 7607, punto 46) risulta che, stabilendo di consentire l’applicazione della procedura di mediazione soltanto nel caso di reati contro la persona, contro la sicurezza dei trasporti o contro il patrimonio, scelta che riguarda sostanzialmente motivi di politica giuridica, il legislatore ungherese non è andato oltre il margine discrezionale di cui dispone. 39 Se è vero che la valutazione degli Stati membri può essere indubbiamente limitata dall’obbligo di utilizzare criteri oggettivi ai fini della determinazione dei tipi di reati de quibus, nulla indica che tali criteri non siano stati utilizzati nella presente fattispecie. 40 Tenuto conto delle considerazioni che precedono, l’art. 10 della decisione quadro deve essere interpretato nel senso che non obbliga gli Stati membri a consentire il ricorso alla mediazione per tutti i reati il cui elemento oggettivo, come definito dalla normativa nazionale, corrisponda in sostanza a quello dei reati per i quali la mediazione è espressamente prevista da tale normativa. Sulla terza e sulla quarta questione Sulla competenza della Corte 41 È pacifico che il diritto ungherese non prevede la possibilità di ricorrere alla mediazione per quanto riguarda il reato di violazione degli interessi finanziari delle Comunità europee. Inoltre, dalla soluzione fornita alla seconda questione emerge che non si può desumere dalla decisione quadro che quest’ultima obblighi gli Stati membri a prevedere, nel caso in cui la vittima sia una persona fisica, il ricorso alla mediazione per quanto riguarda reati relativamente ai quali la normativa nazionale non prevede un tale ricorso, sebbene l’elemento oggettivo di tale reato coincida con quello dei reati per i quali è possibile la mediazione. 42 Poiché il ricorso alla mediazione non è pertanto manifestamente possibile in una situazione come quella di cui alla causa principale, non occorre risolvere la terza e la quarta questione. Sulle spese 43 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 1) Gli artt. 1, lett. a), e 10 della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, devono essere interpretati nel senso che, ai fini della promozione della mediazione nei procedimenti penali prevista al citato art. 10, n. 1, la nozione di «vittima» non include le persone giuridiche. 2) L’art. 10 della decisione quadro 2001/220 deve essere interpretato nel senso che non obbliga gli Stati membri a consentire il ricorso alla mediazione per tutti i reati il cui elemento oggettivo, come definito dalla normativa nazionale, corrisponda in sostanza a quello dei reati per i quali la mediazione è espressamente prevista da tale normativa.

L’applicazione del «prelievo per copie private» ai supporti di riproduzione acquistati da imprese e da professionisti a fini diversi dalla realizzazione di copie private non è conforme al diritto dell’Unione

Sentenza nella causa C-467/08


PADAWAN / SGAE

L’applicazione del «prelievo per copie private» ai supporti di riproduzione acquistati da imprese e da professionisti a fini diversi dalla realizzazione di copie private non è conforme al diritto dell’Unione

Tale onere può essere applicato a supporti di tal genere quando questi possano essere utilizzati da persone fisiche ad uso privato

A termini della direttiva sul diritto d’autore e sui diritti connessi nella società dell’informazione 1, il diritto esclusivo di riproduzione di materiale sonoro, visivo e audiovisivo spetta agli autori, agli artisti interpreti e ai produttori. Tuttavia, gli Stati membri possono autorizzare la realizzazione di copie private a condizione che i titolari dei diritti ottengano un «equo compenso». Tale compenso deve contribuire a che i titolari dei diritti percepiscano un’adeguata remunerazione per l’utilizzazione delle loro opere o altri oggetti protetti.

La normativa spagnola di trasposizione della direttiva ha consentito la riproduzione di opere già divulgate qualora venga realizzata da una persona fisica ad uso privato sulla base di opere cui abbia avuto accesso legalmente. In tale contesto, i produttori, importatori o distributori sono tenuti a versare alle società di gestione collettiva dei diritti di proprietà intellettuale un compenso unico, determinato per ogni singola modalità di riproduzione, sotto forma di «prelievo per copie private».

La Sociedad General de Autores y Editores de España («SGAE»), società di gestione collettiva dei diritti di proprietà intellettuale in Spagna, pretendeva dalla società PADAWAN, che commercializza CD-R, CD-RW, DVD-R nonché apparecchi MP3, la corresponsione del «prelievo per copie private» per i supporti digitali da questa commercializzati nel periodo compreso tra il 2002 e il 2004. Ritenendo che l’applicazione di tale prelievo – indipendentemente dall’uso privato, professionale o commerciale cui i supporti siano destinati – fosse contraria alla menzionata direttiva, la PADAWAN si rifiutava di adempiere. In primo grado, veniva condannata al pagamento dell’importo di EUR 16 759, 25.

La Audiencia Provincial de Barcelona (Spagna), dinanzi alla quale la PADAWAN ha proposto ricorso, ha chiesto, sostanzialmente, alla Corte di giustizia quali siano i criteri da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’importo e del sistema di riscossione dell’«equo compenso».

Nella sentenza odierna la Corte osserva che l’«equo compenso» dev’essere considerato quale contropartita del pregiudizio subìto dall’autore per effetto della riproduzione non autorizzata della sua opera protetta. Tale pregiudizio costituisce, pertanto, il criterio di base ai fini del calcolo del suo importo. Inoltre, la Corte rileva che la direttiva esige il mantenimento di un «giusto equilibrio» tra i titolari dei diritti e gli utenti dei materiali protetti. Incombe quindi, in linea di principio, al soggetto che ha realizzato la riproduzione ad uso privato provvedere al risarcimento del danno, finanziando il compenso che sarà corrisposto al titolare.

È vero che, da un lato, il pregiudizio derivante da ogni singola utilizzazione privata, singolarmente considerata, può risultare minimo, senza far sorgere un obbligo di pagamento e che, dall’altro, potrebbero presentarsi difficoltà pratiche nell’individuare gli utenti privati nonché per obbligarli a indennizzare i titolari dei diritti. Ciò premesso, è consentito agli Stati membri istituire un «prelievo per copie private» a carico dei soggetti che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione digitale. Infatti, la messa a disposizione degli utenti privati di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione, o il servizio di riproduzione reso costituiscono la premessa di fatto necessaria affinché le persone fisiche possano ottenere copie private. D’altronde, nulla impedisce che l’importo del prelievo venga ripercosso sul prezzo dei supporti di riproduzione o dei servizi di riproduzione, in modo tale che, in definitiva, gli utenti privati ne assumano l’onere rispettando le esigenze del «giusto equilibrio».


La Corte constata inoltre che un sistema di «prelievo per copie private» risulta compatibile con detto «giusto equilibrio» solamente qualora le apparecchiature, i dispositivi ed i supporti di riproduzione di cui trattasi possano essere utilizzati ai fini della realizzazione di copie private e, conseguentemente, possano causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta. La Corte ritiene, infatti, che sussista un nesso necessario tra l’applicazione del «prelievo per copie private» e l’uso dei medesimi a fini di riproduzione privata.

Conseguentemente, l’applicazione indiscriminata del prelievo nei confronti di tutti i tipi di apparecchiature, dispostivi e supporti di riproduzione digitale, ivi compresa l’ipotesi in cui essi siano stati acquistati da soggetti diversi da persone fisiche, a fini manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie private, non risulta conforme con la direttiva.

Per contro, qualora le apparecchiature di cui trattasi vengano messe a disposizione di persone fisiche a fini privati, non è minimamente necessario accertare che queste abbiano effettivamente realizzato copie private e abbiano, quindi, effettivamente causato un pregiudizio all’autore dell’opera protetta. È legittimo presumere che tali persone fisiche beneficino integralmente di tale messa a disposizione, vale a dire che esse sfruttino pienamente le funzioni associate a tali apparecchiature 2, ivi comprese quelle di riproduzione. La semplice capacità di tali apparecchiature o di tali dispositivi di realizzare copie è quindi sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo per copie private, a condizione che tali apparecchiature o dispositivi siano stati messi a disposizione delle persone fisiche quali utenti privati.

Infine, la Corte ricorda che spetterà al giudice nazionale, alla luce delle soluzioni fornite, valutare se il sistema spagnolo di «prelievo per copie private» sia compatibile con la direttiva.
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1 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10).
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IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.