venerdì 26 novembre 2010

AUTORIZZANDO LA DENOMINAZIONE «CIOCCOLATO PURO» L'ITALIA HA VIOLATO IL DIRITTO DELL'UNIONE

AUTORIZZANDO LA DENOMINAZIONE «CIOCCOLATO PURO» L'ITALIA HA VIOLATO IL DIRITTO DELL'UNIONE
Una corretta informazione dei consumatori può essere garantita tramite l'indicazione nell'etichetta dell’assenza di grassi sostitutivi
Il diritto dell'Unione relativo all’etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato 1 armonizza le denominazioni di vendita di tali prodotti. Quando contengono fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao (detti sostitutivi), la loro denominazione resta immutata, ma la loro etichettatura deve contenere, in grassetto, la specifica dizione: «contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao».
Per i prodotti di cioccolato che contengono unicamente burro di cacao, è possibile indicare sull'etichettatura tale informazione, purché sia corretta, imparziale, obiettiva e non induca in errore il consumatore.
La normativa italiana 2 prevede la possibilità che la dicitura «cioccolato puro» sia aggiunta o integrata nelle denominazioni di vendita o sia indicata in altra parte dell’etichettatura dei prodotti che non contengono grassi vegetali sostitutivi e commina ammende (da 3000 a 8000 euro) in caso di violazione.
La Commissione ha presentato un ricorso per inadempimento contro l'Italia dinanzi alla Corte di giustizia, affermando che tale Stato membro ha introdotto una denominazione di vendita supplementare per i prodotti di cioccolato, a seconda che essi possano essere considerati «puri» o meno. Tale circostanza integrerebbe una violazione della direttiva e si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte. La Commissione ritiene che il consumatore debba essere informato circa la presenza o meno nel cioccolato di grassi vegetali sostitutivi mediante l'etichettatura e non tramite l'impiego di una distinta denominazione di vendita.
La Corte ricorda in via preliminare che l'Unione europea ha realizzato un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita dei prodotti di cacao e di cioccolato finalizzata a garantire l’unicità del mercato interno. Tali denominazioni sono al contempo obbligatorie e riservate ai prodotti elencati dalla normativa dell'Unione. Chiarito ciò, la Corte dichiara che questa disciplina non prevede né la denominazione di vendita «cioccolato puro» né l’introduzione di una siffatta denominazione da parte di un legislatore nazionale. Pertanto, la normativa italiana è in contrasto con il sistema delle denominazione di vendita istituito dal diritto dell'Unione.
La Corte rileva inoltre che il sistema di duplice denominazione instaurato dal legislatore italiano non rispetta neppure i requisiti del diritto dell’Unione relativi alla necessità che il consumatore disponga di un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva che non lo induca in errore. La Corte, infatti, ha già dichiarato 3 che l’aggiunta di grassi sostitutivi a prodotti di cacao e di cioccolato che rispettano i contenuti minimi previsti dalla normativa dell’Unione non può produrre l’effetto di modificarne sostanzialmente la natura al punto di trasformarli in prodotti diversi e, di conseguenza, non giustifica una distinzione delle loro denominazioni di vendita.
Per contro, precisa la Corte, secondo la normativa dell'Unione, l’inserimento in un’altra parte dell’etichetta di un’indicazione neutra ed obiettiva che informi i consumatori dell’assenza, nel prodotto, di grassi vegetali diversi dal burro di cacao sarebbe sufficiente a garantire un’informazione corretta dei consumatori.
Di conseguenza, la Corte dichiara che la normativa italiana, consentendo di mantenere due categorie di denominazioni di vendita che, in sostanza, designano il medesimo prodotto, è idonea ad indurre in errore il consumatore ed a ledere il suo diritto ad un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva.
La Corte statuisce quindi che l'Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione.
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IMPORTANTE: La Commissione o un altro Stato membro possono proporre un ricorso per inadempimento diretto contro uno Stato membro che è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio.
La Commissione, qualora ritenga che lo Stato membro non si sia conformato alla sentenza, può proporre un altro ricorso chiedendo sanzioni pecuniarie. Tuttavia, in caso di mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva alla Commissione, su domanda di quest’ultima, la Corte di giustizia può infliggere sanzioni pecuniarie, al momento della prima sentenza.
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1 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29) e direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 giugno 2000, 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GU L 197, pag. 19).
2 Legge 1° marzo 2002, n. 39, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001; nonché decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 178, di attuazione della direttiva 2000/36/CE. 

(C-145/09) LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE - DIRETTIVA 2004/38/CE - CITTADINO DELL'UNIONE NATO E RESIDENTE DA PIU' DI 30 ANNI NELLO STATO MEMBRO OSPITANTE - CONDANNE PENALI - DECISIONE DI ALLONTANAMENTO - MOTIVI IMPERATIVI DI PUBBLICA SICUREZZA

(C-145/09) LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE - DIRETTIVA 2004/38/CE - CITTADINO DELL'UNIONE NATO E RESIDENTE DA PIU' DI 30 ANNI NELLO STATO MEMBRO OSPITANTE - CONDANNE PENALI - DECISIONE DI ALLONTANAMENTO - MOTIVI IMPERATIVI DI PUBBLICA SICUREZZA
La Corte di Giustizia ha definito una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata nell’ambito di una controversia tra il Land Baden–Wurttemberg ed un cittadino greco, a seguito della decisione di allontanamento adottata da tale Land, che ne dichiarava la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno nel territorio della Repubblica federale di Germania. In merito all’interpretazione dell’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (disposizione che esclude l’adozione del provvedimento di allontanamento, fatti salvi motivi imperativi di pubblica sicurezza), il Giudice comunitario ha stabilito: a) che la stessa deve essere interpretata nel senso che, per stabilire se un cittadino dell’Unione abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento - criterio determinante per la concessione della protezione rafforzata accordata da tale normativa - occorre prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti nel caso di specie, ed in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare tale Stato membro, determinando o meno lo spostamento verso un altro Stato del centro dei suoi interessi personali, familiari o professionali; b) che nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione beneficia della protezione di cui all’art. 28, n. 3, della su citata direttiva, tale disposizione deve interpretarsi nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale può rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» che possono giustificare un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione che ha soggiornato nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni. La Corte ha inoltre stabilito che qualora il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione beneficia della protezione dell’art. 28, n. 2, della su menzionata direttiva (secondo cui lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza), tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale rientra nella nozione di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». In motivazione (punto n. 52), la Corte di Giustizia ha precisato che nell’ambito di tale valutazione occorre prendere in considerazione i diritti fondamentali di cui si garantisce il rispetto, in quanto è possibile addurre motivi di interesse generale per giustificare una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera prestazione dei servizi solo qualora detta misura sia conforme a tali diritti, e in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare come sancito all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 23 novembre 2010

Nel procedimento C‑145/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg (Germania) con decisione 9 aprile 2009, pervenuta in cancelleria il 24 aprile 2009, nella causa

Land Baden-Württemberg

contro

Panagiotis Tsakouridis,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J. N. Cunha Rodrigues (relatore), K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, D. Šváby, presidenti di sezione, dai sigg. A. Rosas, J. Malenovský, U. Lõhmus, E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay Larsen e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 16, n. 4, e 28, n. 3, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2007, L 204, pag. 28).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Land Baden-Württemberg ed il sig. Tsakouridis, cittadino greco, in merito alla decisione di tale Land che dichiara la perdita del diritto di ingresso e di soggiorno del sig. Tsakouridis nel territorio della Repubblica federale di Germania e prospetta una decisione di allontanamento nei suoi confronti.

Contesto normativo

La direttiva 2004/38

3 Il terzo ‘considerando’ della direttiva 2004/38 recita:

«La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione».

4 Secondo il ventiduesimo ‘considerando’ di tale direttiva:

«Il Trattato consente restrizioni all’esercizio del diritto di libera circolazione per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Per assicurare una definizione più rigorosa dei requisiti e delle garanzie procedurali cui deve essere subordinata l’adozione di provvedimenti che negano l’ingresso o dispongono l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari la presente direttiva dovrebbe sostituire la direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica [(GU 56, pag. 850), come modificata dalla direttiva del Consiglio 17 dicembre 1974, 75/35/CEE (GU 1975, L 14, pag. 14)]».

5 Ai sensi dei ‘considerando’ ventitreesimo e ventiquattresimo della direttiva 2004/38:

«(23) L’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal Trattato [CE], si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante. Occorre pertanto limitare la portata di tali misure conformemente al principio di proporzionalità, in considerazione del grado d’integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell’età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami col paese di origine.

(24) Pertanto, quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell’Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante, in particolare qualora vi siano nati e vi abbiano soggiornato per tutta la vita. Inoltre, dette circostanze eccezionali dovrebbero valere anche per le misure di allontanamento prese nei confronti di minorenni, al fine di tutelare i loro legami con la famiglia, conformemente alla Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, del 20 novembre 1989».

6 L’art. 16 di tale direttiva così dispone:

«1. Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

(…)

3. La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

4. Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».

7 L’art. 27, nn. 1 e 2, di detta direttiva recita:

«1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

8 Ai sensi dell’art. 28 della stessa direttiva:

«1. Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

2. Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3. Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

a) abbia soggiornato nello Stato membro ospitante [ne]i precedenti dieci anni; o

b) sia minorenne, salvo qualora l’allontanamento sia necessario nell’interesse del bambino, secondo quanto contemplato dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989».

9 L’art. 32, n. 1, della direttiva 2004/38 dispone quanto segue:

«La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio.

Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa».

La normativa nazionale

10 L’art. 6 della legge sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione (Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgern) 30 luglio 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 1950), come modificata dalla legge recante modifica della legge sulla polizia federale e di altre leggi (Gesetz zur Änderung des Bundespolizeigesetzes und anderer Gesetze) 26 febbraio 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 215; in prosieguo: il «FreizügG/EU»), così dispone:

«(1) Fatto salvo l’art. 5, n. 5, solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica (artt. 39, n. 3, e 46, n. 1, del Trattato [CE]), può essere dichiarata la perdita del diritto ai sensi dell’art. 2, n. 1, può essere confiscata l’attestazione relativa al diritto di soggiorno comunitario o al diritto di soggiorno permanente e può essere revocata la carta di soggiorno o di soggiorno permanente. Per i suddetti motivi può essere altresì negato l’ingresso nel territorio. Un motivo attinente alla sanità pubblica può essere constatato solo se la malattia si manifesta durante i tre mesi successivi all’ingresso.

(2) Una condanna penale non è sufficiente, di per sé, per giustificare le decisioni o le misure menzionate al n. 1. Possono essere prese in considerazione le sole condanne penali non ancora cancellate dal casellario centrale, e soltanto nei limiti in cui le circostanze ad esse relative lasciano apparire un comportamento personale che rappresenta una minaccia reale per l’ordine pubblico. Deve trattarsi di una minaccia effettiva e sufficientemente grave, riguardante un interesse fondamentale della società.

(3) Ai fini di una decisione in applicazione del n. 1 occorre, in particolare, tenere conto della durata del soggiorno dell’interessato in Germania, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale in Germania, nonché dell’importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

(4) Una volta acquisito il diritto di soggiorno permanente, una dichiarazione in applicazione del n. 1 può essere emessa soltanto per motivi gravi.

(5) Per quanto riguarda i cittadini dell’Unione e i loro familiari che hanno soggiornato nel territorio federale durante gli ultimi dieci anni e riguardo ai minori, la constatazione di cui al n. 1 può essere emessa soltanto per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Tale regola non si applica ai minori se la perdita del diritto di soggiorno è necessaria nell’interesse del minore. Sussistono motivi imperativi di pubblica sicurezza solo se l’interessato è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati dolosi, a una pena detentiva o a una pena per minorenni di almeno cinque anni, oppure se è stata disposta la reclusione di sicurezza in occasione dell’ultima condanna definitiva, se è in pericolo la sicurezza della Repubblica federale di Germania oppure se l’interessato costituisce una minaccia terroristica.

(…)».

Causa principale e questioni pregiudiziali

11 Il sig. Tsakouridis è nato in Germania il 1° marzo 1978. Nel 1996, vi ha conseguito un diploma che attesta la fine degli studi dell’insegnamento secondario. Dall’ottobre 2001, il sig. Tsakouridis dispone di un permesso di soggiorno illimitato in tale Stato membro. Dal marzo alla metà di ottobre del 2004, egli ha gestito un chiosco di crêpes sull’isola di Rodi, in Grecia. Egli è in seguito rientrato in Germania, dove ha lavorato a partire dal mese di dicembre 2004. Alla metà di ottobre 2005 il sig. Tsakouridis si è recato sull’isola di Rodi e vi ha ripreso la gestione del chiosco di crêpes. Il 22 novembre 2005, l’Amtsgericht Stuttgart ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del sig. Tsakouridis. Il 19 novembre 2006 egli è stato arrestato a Rodi, e poi trasferito in Germania il 19 marzo 2007.

12 I precedenti penali del sig. Tsakouridis sono i seguenti. L’Amtsgericht Stuttgart-Bad Cannstatt lo ha condannato al pagamento di diverse ammende, vale a dire, il 14 ottobre 1998 per detenzione di un oggetto vietato, il 15 giugno 1999 per percosse e lesioni gravi e, l’8 febbraio 2000, per percosse, lesioni gravi e coazione. Inoltre, l’Amtsgericht Stuttgart ha condannato il sig. Tsakouridis il 5 settembre 2002 al pagamento di un’ammenda per coazione e lesioni volontarie. Infine, il sig. Tsakouridis è stato condannato il 28 agosto 2007 dal Landgericht Stuttgart ad una pena detentiva di sei anni e sei mesi per associazione nello spaccio di stupefacenti in grandi quantità, in otto occasioni.

13 Con decisione 19 agosto 2008, il Regierungspräsidium Stuttgart, dopo aver sentito il sig. Tsakouridis, ha dichiarato la perdita del suo diritto di ingresso e di soggiorno nel territorio tedesco e gli ha comunicato che poteva essere oggetto di una misura di allontanamento verso la Grecia, senza fissare un termine per una partenza volontaria. A titolo di motivazione, il Regierungspräsidium Stuttgart rileva che, con la sentenza del Landgericht Stuttgart 28 agosto 2007, è stata superata la soglia dei cinque anni di detenzione, di modo che le misure in questione sono giustificate da «motivi imperativi di pubblica sicurezza» ai sensi dell’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38 e dell’art. 6, n. 5, del FreizügG/EU.

14 Secondo il Regierungspräsidium Stuttgart, il comportamento personale del sig. Tsakouridis rappresenterebbe una minaccia reale per l’ordine pubblico. I reati da lui commessi in materia di traffico di stupefacenti sarebbero molto gravi e sussisterebbe un rischio concreto di recidiva. Il sig. Tsakouridis sarebbe stato manifestamente disposto per motivi economici a partecipare al traffico illegale di stupefacenti. Sarebbe stato indifferente ai problemi causati da tale traffico ai tossicodipendenti ed alla società in generale. Esisterebbe un interesse fondamentale della società a combattere efficacemente la criminalità legata al traffico di stupefacenti, particolarmente dannosa dal punto di vista sociale, con tutti gli strumenti disponibili.

15 Il Regierungspräsidium Stuttgart osserva poi che il sig. Tsakouridis non intendeva o non era in grado di rispettare l’ordinamento giuridico vigente, avendo commesso reati con un’elevatissima intenzione di delinquere. Un comportamento eventualmente irreprensibile durante l’espiazione della pena non consentirebbe di trarre conclusioni su un’assenza del pericolo di recidiva. Essendo soddisfatti i requisiti previsti per l’applicazione dell’art. 6 del FreizügG/EU, la decisione rientrerebbe nel margine discrezionale delle autorità. L’interesse personale del sig. Tsakouridis a non perdere il proprio diritto di ingresso e di soggiorno in ragione della durata del suo prolungato soggiorno regolare in Germania non prevarrebbe sul preminente interesse pubblico di lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti. La probabilità che egli commetta nuovamente reati simili sarebbe molto elevata.

16 Secondo il Regierungspräsidium Stuttgart, poiché durante gli ultimi anni il sig. Tsakouridis ha soggiornato diversi mesi sul territorio del proprio Stato membro di origine, non ci si deve attendere che incontrerà difficoltà di integrazione dopo il suo allontanamento dal territorio tedesco. Il rischio di recidiva giustificherebbe anche l’ingerenza nel suo diritto di libero accesso, in quanto cittadino dell’Unione, al mercato del lavoro tedesco. Non esisterebbero strumenti meno vincolanti né altrettanto adeguati rispetto alle misure disposte, le quali non arrecherebbero pregiudizio ai suoi già solidi mezzi di sussistenza economica.

17 Considerata la gravità dei reati accertati, il pregiudizio arrecato alla vita privata e familiare del sig. Tsakouridis sarebbe giustificato dal superiore interesse alla tutela dell’ordine pubblico e dalla prevenzione di altri reati, conformemente all’art. 8, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, non essendo emerse esigenze private e familiari equiparabili che possano far ritenere opportuno soprassedere alla misura di allontanamento per motivi di proporzionalità.

18 Il 17 settembre 2008, il sig. Tsakouridis ha proposto dinanzi al Verwaltungsgericht Stuttgart un ricorso contro la decisione del Regierungspräsidium Stuttgart 19 agosto 2008, facendo valere che la maggior parte della sua famiglia vive in Germania. Inoltre, dalla sentenza del Landgericht Stuttgart 28 agosto 2007 emergerebbe che egli era solo un membro subalterno dell’associazione criminale. Essendo cresciuto in Germania ed avendovi ottenuto una formazione scolastica, non vi sarebbe un rischio ai sensi dell’art. 6, n. 1, del FreizügG/EU. Inoltre, egli avrebbe uno stretto rapporto con il padre, che risiede in Germania e che lo visita regolarmente in carcere. Si sarebbe presentato volontariamente alla polizia, il che dimostrerebbe che non rappresenta più un pericolo per l’ordine pubblico dopo avere scontato la sua pena, di modo che la dichiarazione di decadenza dal suo diritto di ingresso e di soggiorno nel territorio tedesco sarebbe sproporzionato. Infine, sua madre, residente all’epoca presso una propria figlia in Australia, sarebbe tornata a soggiornare definitivamente con il proprio marito in Germania nella primavera del 2009.

19 Con la sentenza 24 novembre 2008, il Verwaltungsgericht Stuttgart ha annullato la decisione del Regierungspräsidium Stuttgart del 19 agosto 2008. Secondo tale giudice, una condanna penale non è di per sé sufficiente per giustificare la decadenza dal diritto di ingresso e di soggiorno di un cittadino dell’Unione, decadenza che presuppone un rischio grave, effettivo e sufficiente che minaccia un interesse fondamentale della società ai sensi dell’art. 6, n. 2, del FreizügG/EU. A ciò si aggiunge che, nell’ambito della trasposizione dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, una decadenza dal diritto di ingresso e di soggiorno in applicazione dell’art. 6, n. 1, del FreizügG/EU può essere dichiarata in un caso come quello del sig. Tsakouridis, il quale ha soggiornato più di dieci anni sul territorio tedesco, solo in presenza di motivi imperativi di pubblica sicurezza, come risulta dall’art. 6, n. 5, prima frase, di detta legge. A tal riguardo, il Verwaltungsgericht Stuttgart rileva che il sig. Tsakouridis non ha perduto il suo diritto di soggiorno permanente a causa dei suoi soggiorni sull’isola di Rodi, sebbene il citato art. 6, n. 5, prima frase, non esiga un soggiorno ininterrotto durante gli ultimi dieci anni sul territorio tedesco.

20 Il Verwaltungsgericht Stuttgart ha dichiarato che non sussistevano «motivi imperativi di pubblica sicurezza», ai sensi dell’art. 6, n. 5, ultima frase, del FreizügG/EU, che giustifichino una misura di allontanamento. La pubblica sicurezza comprenderebbe solo la sicurezza interna ed esterna di uno Stato membro e, pertanto, sarebbe più ristretta della nozione di ordine pubblico, che comprenderebbe anche l’ordinamento penale interno. Il superamento della pena minima prevista dall’art. 6, n. 5, ultima frase, del FreizügG/EU non consentirebbe di concludere nel senso della sussistenza di motivi imperativi di pubblica sicurezza ai fini di una misura di allontanamento. Il sig. Tsakouridis potrebbe eventualmente rappresentare un rischio rilevante per l’ordine pubblico, ma non sarebbero in nessun caso in pericolo né la sussistenza dello Stato e delle sue istituzioni, né la sopravvivenza della popolazione. Peraltro, tali elementi non sarebbero stati dedotti dal Regierungspräsidium Stuttgart.

21 Investito di un appello avverso la sentenza del Verwaltungsgericht Stuttgart 24 novembre 2008, il Verwaltungsgerichtshof Baden-Württemberg ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la nozione di “motivi imperativi di pubblica sicurezza” di cui all’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38 (…) vada interpretata nel senso che un provvedimento di allontanamento dal territorio può essere giustificato solo in presenza di minacce assolute per la pubblica sicurezza esterna o interna dello Stato membro, tra cui rientrano unicamente l’esistenza dello Stato con le sue istituzioni fondamentali, il loro funzionamento, la sopravvivenza della popolazione nonché le relazioni esterne e la convivenza pacifica dei popoli.

2) Quali siano le condizioni che fanno decadere la tutela rafforzata contro i provvedimenti di allontanamento, ottenuta in seguito a un soggiorno di dieci anni nello Stato membro ospitante ai sensi dell’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38, e se, in tale contesto, si applichino per analogia gli elementi che comportano la perdita del diritto di soggiorno permanente di cui all’art. 16, n. 4, della [medesima direttiva].

3) In caso di soluzione affermativa della questione sub 2) e conseguente applicabilità dell’art. 16, n. 4, della direttiva 2004/38, se la tutela rafforzata contro i provvedimenti di allontanamento dal territorio decada solo con il decorso del termine, indipendentemente dai motivi che hanno determinato l’assenza.

4) Allo stesso modo, in caso di soluzione affermativa della questione sub 2) e conseguente applicabilità dell’art. 16, n. 4, della direttiva [2004/38], se un rientro forzato nello Stato membro ospitante, nel quadro di un provvedimento giudiziario, prima della scadenza del termine di due anni sia idoneo a mantenere la tutela rafforzata contro i provvedimenti di allontanamento dal territorio, anche se il rientro comporta anzitutto l’impossibilità di esercitare le libertà fondamentali per un lungo periodo».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulle questioni seconda, terza e quarta

22 Con le sue questioni seconda, terza e quarta, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente entro quali limiti le assenze dal territorio dello Stato membro ospitante durante il periodo di cui all’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38, cioè durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento dell’interessato, impediscano a quest’ultimo di beneficiare della protezione rafforzata prevista da tale disposizione.

23 Secondo la giurisprudenza della Corte, la direttiva 2004/38 mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri che il Trattato conferisce direttamente ai cittadini dell’Unione e il suo oggetto consiste, in particolare, nel rafforzare il citato diritto, di modo che detti cittadini non possono trarre diritti da questa direttiva in misura minore rispetto agli atti di diritto derivato che essa modifica o abroga (v. sentenze 25 luglio 2008, causa C‑127/08, Metock e a., Racc. pag. I‑6241, punti 59 e 82, nonché 7 ottobre 2010, causa C‑162/09, Lassal, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 30).

24 Risulta dal ventitreesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38 che l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal Trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante.

25 È questa la ragione per cui, come risulta dal ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38, essa istituisce un sistema di protezione contro le misure di allontanamento fondato sul grado d’integrazione della persona interessata nello Stato membro ospitante, di modo che quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la loro protezione contro l’allontanamento.

26 In tale prospettiva, l’art. 28, n. 1, di detta direttiva stabilisce, in termini generali, che, prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

27 Secondo il n. 2 di tale articolo, un cittadino dell’Unione o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente sul territorio dello Stato membro ospitante in applicazione dell’art. 16 della stessa direttiva, non possono essere oggetto di un provvedimento di allontanamento dal territorio «se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

28 Per quanto riguarda i cittadini dell’Unione che hanno soggiornato nello Stato membro per i precedenti dieci anni, l’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38 rafforza notevolmente la protezione contro i provvedimenti di allontanamento stabilendo che un provvedimento siffatto non può essere adottato, a meno che la decisione sia fondata su «motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro».

29 Orbene, l’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38, pur subordinando il beneficio della protezione rafforzata alla presenza dell’interessato sul territorio dello Stato membro di cui trattasi per un periodo di dieci anni precedenti il provvedimento di allontanamento, tace sulle circostanze che possono comportare l’interruzione del periodo di soggiorno di dieci anni ai fini dell’acquisto del diritto alla protezione rafforzata contro l’allontanamento prevista da detta disposizione.

30 Partendo dalla premessa secondo cui, analogamente al diritto di soggiorno permanente, la protezione rafforzata viene acquisita in seguito ad un soggiorno di una certa durata nello Stato membro ospitante e che essa può essere successivamente perduta, il giudice del rinvio ritiene possibile applicare per analogia i criteri previsti all’art. 16, n. 4, della direttiva 2004/38.

31 Se è certamente vero che il ventitreesimo e il ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva 2004/38 prevedono una particolare protezione per le persone che si sono effettivamente integrate nello Stato membro ospitante, segnatamente quando vi sono nate e vi hanno soggiornato tutta la loro vita, tuttavia, alla luce del tenore letterale dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, il criterio determinante consiste nel sapere se il cittadino dell’Unione abbia soggiornato in tale Stato membro durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento.

32 Per quanto riguarda il problema di sapere entro quali limiti le assenze dal territorio dello Stato membro ospitante durante il periodo di cui all’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38, cioè durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento dell’interessato, impediscano a quest’ultimo di beneficiare della protezione rafforzata, occorre procedere ad una valutazione complessiva della situazione dell’interessato ogni volta nel preciso momento in cui si pone il problema dell’allontanamento.

33 Le autorità nazionali responsabili dell’applicazione dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38 sono tenute a prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare tale Stato membro. Occorre infatti verificare se le assenze in questione comportino lo spostamento verso un altro Stato del centro degli interessi personali, familiari o professionali dell’interessato.

34 La circostanza che l’interessato abbia fatto oggetto di un rientro forzato nello Stato membro ospitante al fine di scontarvi una pena detentiva e il periodo di detenzione, insieme agli elementi riportati al punto precedente, possono essere presi in considerazione nella valutazione complessiva prevista per determinare se i legami di integrazione precedentemente creati con lo Stato membro ospitante siano stati interrotti.

35 Spetta al giudice nazionale valutare se tale caso si presenti nella causa principale. Qualora giungesse alla conclusione che le assenze del sig. Tsakouridis dal territorio dello Stato membro ospitante non siano tali da impedirgli di beneficiare della protezione rafforzata, egli dovrebbe successivamente esaminare se la decisione di allontanamento sia fondata su motivi imperativi di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38.

36 Occorre ricordare che, per fornire una soluzione utile al giudice nazionale, che gli consenta di risolvere la controversia di cui è investito, la Corte può essere indotta a prendere in considerazione norme di diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nelle sue questioni pregiudiziali (v., in tal senso, sentenza 8 novembre 2007, causa C‑374/05, Gintec, Racc. pag. I‑9517, punto 48).

37 Qualora si dovesse accertare che una persona nella situazione del sig. Tsakouridis, che ha acquisito un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante, non soddisfa il requisito di soggiorno stabilito all’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, una misura di allontanamento potrebbe eventualmente essere giustificata in presenza di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», come previsto dall’art. 28, n. 2, della direttiva 2004/38.

38 Alla luce di quanto precede, la seconda, la terza e la quarta questione devono essere risolte dichiarando che l’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che, per stabilire se un cittadino dell’Unione abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento, criterio determinante per la concessione della protezione rafforzata accordata da tale disposizione, occorre prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare tale Stato membro e che possono determinare se dette assenze comportino o meno lo spostamento verso un altro Stato del centro dei suoi interessi personali, familiari o professionali.

Sulla prima questione

39 Alla luce della soluzione fornita alla seconda, alla terza ed alla quarta questione, la prima questione deve essere intesa nel senso che il giudice del rinvio chiede di sapere, in sostanza, se ed entro quali limiti la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale possa rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza», nel caso in cui detto giudice accerti che il cittadino dell’Unione di cui trattasi beneficia della protezione dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, ovvero nella nozione di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», nel caso in cui lo stesso accerti che tale cittadino beneficia della protezione dell’art. 28, n. 2, di detta direttiva.

40 Risulta dal tenore letterale dell’art. 28 della direttiva 2004/38 nonché dall’economia di tale disposizione, come rammentati ai punti 24‑28 della presente sentenza, che, subordinando qualsiasi provvedimento di allontanamento nelle ipotesi previste dall’art. 28, n. 3, di detta direttiva alla presenza di «motivi imperativi» di pubblica sicurezza, nozione notevolmente più restrittiva di quella di «motivi gravi» ai sensi del n. 2 dello stesso articolo, il legislatore dell’Unione ha manifestamente inteso limitare i provvedimenti fondati sul citato n. 3 a «circostanze eccezionali», come si evince dal ventiquattresimo ‘considerando’ di tale direttiva.

41 Infatti, la nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» presuppone non soltanto l’esistenza di un pregiudizio alla pubblica sicurezza, ma altresì che detto pregiudizio presenti un livello di gravità particolarmente elevato, espresso dall’impiego dell’espressione «motivi imperativi».

42 È in tale contesto che va interpretata parimenti la nozione di «pubblica sicurezza» menzionata all’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38.

43 In materia di pubblica sicurezza, la Corte ha dichiarato che tale nozione comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna (v., in particolare, sentenze 26 ottobre 1999, causa C‑273/97, Sirdar, Racc. pag. I‑7403, punto 17; 11 gennaio 2000, causa C‑285/98, Kreil, Racc. pag. I‑69, punto 17; 13 luglio 2000, causa C‑423/98, Albore, Racc. pag. I‑5965, punto 18, e 11 marzo 2003, causa C‑186/01, Dory, Racc. pag. I‑2479, punto 32).

44 La Corte ha altresì dichiarato che il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché la sopravvivenza della popolazione, come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la pubblica sicurezza (v., in particolare, sentenze 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil e a., Racc. pag. 2727, punti 34 e 35; 17 ottobre 1995, causa C‑70/94, Werner, Racc. pag. I‑3189, punto 27; Albore, cit., punto 22, nonché 25 ottobre 2001, causa C‑398/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑7915, punto 29).

45 Non risulta peraltro che obiettivi come la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale siano necessariamente esclusi da detta nozione.

46 Il traffico di stupefacenti in associazione criminale alimenta una criminalità diffusa, dotata di ingenti risorse economiche ed operative e molto spesso collegata sul piano transnazionale. Alla luce degli effetti devastanti della criminalità legata a tale traffico, la decisione quadro del Consiglio 25 ottobre 2004, 2004/757/GAI, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (GU L 335, pag. 8), afferma, al suo primo ‘considerando’, che il traffico illecito di stupefacenti rappresenta una minaccia per la salute, la sicurezza e la qualità di vita dei cittadini dell’Unione, oltre che per l’economia legale, la stabilità e la sicurezza degli Stati membri.

47 Infatti, poiché la tossicodipendenza costituisce una calamità per l’individuo e un rischio economico e sociale per l’umanità (v. in tal senso, segnatamente, sentenza 26 ottobre 1982, causa 221/81, Wolf, Racc. pag. 3681, punto 9, nonché Corte eur. D.U., sentenza Aoulmi c. Francia del 17 gennaio 2006, § 86), il traffico di stupefacenti in associazione criminale potrebbe presentare un livello di gravità tale da minacciare direttamente la serenità e la sicurezza fisica della popolazione nel suo insieme o di una gran parte di essa.

48 Si deve aggiungere che l’art. 27, n. 2, della direttiva 2004/38 sottolinea che il comportamento della persona di cui trattasi deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società o dello Stato membro in questione, che la sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza e che non sono prese in considerazione giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale.

49 Di conseguenza, un provvedimento di allontanamento dev’essere fondato su un esame individuale del singolo caso specifico (v., in particolare, sentenza Metock e a., cit., punto 74) e può essere giustificato da motivi imperativi di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38 solo qualora, considerata l’eccezionale gravità della minaccia, un provvedimento del genere sia necessario per la protezione degli interessi che mira a garantire, a condizione che tale obiettivo non possa essere realizzato con provvedimenti meno restrittivi, alla luce della durata della residenza del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante e, in particolare, delle gravi conseguenze negative che un provvedimento del genere può causare ai cittadini dell’Unione che si sono effettivamente integrati nello Stato membro ospitante.

50 In sede di applicazione della direttiva 2004/38 occorre in particolare ponderare, da un lato, il carattere eccezionale della minaccia di pregiudizio alla pubblica sicurezza a causa del comportamento personale della persona di cui trattasi, eventualmente valutata al momento dell’adozione della decisione di allontanamento (v., in particolare, sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri, Racc. pag. I‑5257, punti 77‑79), alla luce in particolare delle pene previste e di quelle irrogate, del grado di coinvolgimento nell’attività criminosa, della portata del danno e, eventualmente, della tendenza alla recidiva (v. in tal senso, segnatamente, sentenza 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc. pag. 1999, punto 29), e, dall’altro, il rischio di compromettere il reinserimento sociale del cittadino dell’Unione nello Stato in cui è effettivamente integrato, reinserimento che rientra non solo nell’interesse di quest’ultimo, bensì dell’Unione europea in generale, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 95 delle sue conclusioni.

51 La pena pronunciata deve essere presa in considerazione come elemento di tale insieme di fattori. Una condanna ad una pena di cinque anni non può comportare una decisione di allontanamento, come previsto dalla normativa nazionale, senza tener conto degli elementi descritti al punto precedente, il che deve essere verificato dal giudice nazionale.

52 Nell’ambito di tale valutazione occorre prendere in considerazione i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto, in quanto si possono addurre motivi di interesse generale per giustificare una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera prestazione dei servizi solo qualora detta misura sia conforme a tali diritti (v., in particolare, sentenza Orfanopoulos e Oliveri, cit., punti 97‑99), e in particolare il diritto al rispetto della vita privata e familiare come sancito all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v., in particolare, sentenza 5 ottobre 2010, causa C‑400/10 PPU, McB., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 53, e Corte eur. D. U., sentenza Maslov c. Austria [GC] del 23 giugno 2008, Recueil des arrêts et décisions 2008, §§ 61 e segg.).

53 Per valutare se l’ingerenza ipotizzata sia proporzionata alla finalità legittima perseguita, nella fattispecie la protezione della pubblica sicurezza, occorre prendere in considerazione segnatamente la natura e la gravità della violazione commessa, la durata del soggiorno dell’interessato nello Stato membro ospitante, il periodo trascorso dalla violazione commessa e la condotta dell’interessato durante tale periodo nonché la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con lo Stato membro ospitante. Nel caso di un cittadino dell’Unione che ha trascorso legalmente la maggior parte, se non la totalità, della sua infanzia e della sua giovinezza nello Stato membro ospitante, occorrerebbe addurre motivi molto solidi per giustificare il provvedimento di allontanamento (v. in tal senso, segnatamente, sentenza Maslov c. Austria, cit., §§ 71‑75).

54 In ogni caso, poiché la Corte ha dichiarato che, al fine di preservare l’ordine pubblico, uno Stato membro può considerare che l’uso di stupefacenti costituisce un pericolo per la collettività idoneo a giustificare provvedimenti speciali nei confronti degli stranieri che violino la normativa sugli stupefacenti (v. sentenze della Corte 19 gennaio 1999, causa C‑348/96, Calfa, Racc. pag. I‑11, punto 22, nonché Orfanopoulos e Oliveri, cit., punto 67), si deve concludere che il traffico di stupefacenti in associazione criminale rientra a maggior ragione nella nozione di «ordine pubblico» ai sensi dell’art. 28, n. 2, della direttiva 2004/38.

55 Spetta al giudice del rinvio verificare, prendendo in considerazione l’insieme degli elementi sopra menzionati, se il comportamento del sig. Tsakouridis rientri tra i «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», ai sensi dell’art. 28, n. 2, della direttiva 2004/38, ovvero dei «motivi imperativi di pubblica sicurezza», ai sensi dell’art. 28, n. 3, di quest’ultima, e se il provvedimento di allontanamento ipotizzato rispetti le condizioni menzionate sopra.

56 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la prima questione dichiarando che, qualora il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione di cui trattasi beneficia della protezione dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale può rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» che possono giustificare un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione che ha soggiornato nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni. Qualora il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione di cui trattasi beneficia della protezione dell’art. 28, n. 2, della direttiva 2004/38, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale rientra nella nozione di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

Sulle spese

57 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) L’art. 28, n. 3, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che, per stabilire se un cittadino dell’Unione abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la decisione di allontanamento, criterio determinante per la concessione della protezione rafforzata accordata da tale disposizione, occorre prendere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti in ciascun caso di specie, in particolare la durata di ciascuna delle assenze dell’interessato dallo Stato membro ospitante, la durata cumulata e la frequenza di tali assenze, nonché le ragioni che hanno indotto l’interessato a lasciare tale Stato membro e che possono determinare se dette assenze comportino o meno lo spostamento verso un altro Stato del centro dei suoi interessi personali, familiari o professionali.

2) Qualora il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione di cui trattasi beneficia della protezione dell’art. 28, n. 3, della direttiva 2004/38, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale può rientrare nella nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» che possono giustificare un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione che ha soggiornato nello Stato membro ospitante durante i precedenti dieci anni. Qualora il giudice del rinvio accerti che il cittadino dell’Unione di cui trattasi beneficia della protezione dell’art. 28, n. 2, della direttiva 2004/38, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che la lotta contro la criminalità legata al traffico di stupefacenti in associazione criminale rientra nella nozione di «gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».




La Corte annulla le disposizioni del regolamento del Consiglio sull’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione europea dal luglio 2009

Sentenza nella causa C-40/10
Commissione / Consiglio
La Corte annulla le disposizioni del regolamento del Consiglio sull’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione europea dal luglio 2009
Il Consiglio, stabilendo nel regolamento un adeguamento delle retribuzioni divergente da quello proposto dalla Commissione, senza ricorrere alla procedura specifica prevista dallo statuto dei funzionari in caso di un deterioramento grave e improvviso della situazione economica, ha oltrepassato i poteri che gli sono conferiti dallo statuto dei funzionari
Lo statuto dei funzionari prevede che il Consiglio stabilisca, prima della fine di ogni anno, l’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione, con effetto dal 1° luglio dell’anno in corso.
Nel novembre 2009, la Commissione ha proposto un aumento delle retribuzioni del 3,7%. Il 23 dicembre 2009, il Consiglio ha stabilito l’aumento con l’adozione del regolamento impugnato. Il Consiglio ha ritenuto che la proposta di adeguamento delle retribuzioni della Commissione dovesse essere modificata in considerazione della crisi finanziaria ed economica, ed ha fissato i nuovi importi delle retribuzioni in base ad un tasso di adeguamento pari all’1,85%.
La Commissione ha impugnato le disposizioni del regolamento che indicano tali importi chiedendone l’annullamento. In effetti, la Commissione riteneva che lo statuto dei funzionari fissasse un metodo di adeguamento automatico delle retribuzioni, che non lascia al Consiglio un margine discrezionale che permetta a tale Istituzione di respingere la proposta della Commissione.
In senso opposto, il Consiglio ha sostenuto che disponeva ancora di un margine discrezionale in relazione agli adeguamenti annuali delle retribuzioni, non contestando, tuttavia, che il calcolo dell’adeguamento presentato dalla Commissione fosse conforme alle disposizioni dello statuto dei funzionari.
La Corte rileva che l’articolo 65 dello statuto dei funzionari stabilisce la regola di base per quel che riguarda l’esame annuale e l’eventuale adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione, e che tale disposizione attribuisce un potere discrezionale al Consiglio. Tuttavia, lo statuto dei funzionari prevede, per un periodo di otto anni, un allegato XI che definisce le modalità di applicazione dell’articolo 65. L’articolo 3 di tale allegato stabilisce tassativamente i criteri che disciplinano l’adeguamento annuale del livello delle retribuzioni. Questi criteri sono basati in sostanza sull’idea di allineare, anche se con un certo ritardo, l’andamento salariale a livello dell’Unione su quello riscontrato, tra il mese di luglio dell’anno precedente e il mese di luglio dell’anno in corso, negli otto Stati membri di riferimento.
Dopo aver esaminato la funzione dell’allegato XI dello statuto dei funzionari, il suo valore giuridico e la sua genesi, la Corte conclude che per mezzo della sua adozione il Consiglio ha deciso in via autonoma, nell’esercizio del suo potere discrezionale ai sensi dell’articolo 65 dello statuto dei funzionari, di sottoporsi all’obbligo di rispettare, per la durata di validità del suddetto allegato, i criteri specificati tassativamente all’articolo 3 dell’ allegato. Questa decisione si giustifica segnatamente alla luce degli obiettivi di garantire una certa stabilità nel medio termine e di evitare discussioni e difficoltà ricorrenti, in particolare tra le organizzazioni di rappresentanza del personale e le istituzioni interessate, quanto alla giustificazione o alla necessità di un adeguamento delle retribuzioni. Per quanto riguarda la possibilità di tener conto di una grave crisi economica, la Corte ricorda che l’articolo 10 dell’allegato XI dello statuto dei funzionari prevede, in via d’eccezione, una procedura specifica di adeguamento delle retribuzioni in caso di deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale. Questa disposizione è l’unica possibilità prevista dallo statuto dei funzionari che consente al Consiglio di tener in considerazione una crisi economica nel quadro dell’adeguamento annuale delle retribuzioni e di discostarsi dai criteri stabiliti all’articolo 3 di tale allegato.
Benché l’applicazione di questa procedura specifica dipenda da una proposta della Commissione, la presentazione di proposte appropriate in caso di deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale non costituisce, tuttavia, una mera facoltà per questa Istituzione, che deve, inoltre, rispettare il dovere di leale cooperazione tra le istituzioni.
Così, la Corte conclude che il Consiglio non dispone di un potere discrezionale che gli consenta, senza ricorrere alla procedura specifica di cui all’articolo 10 dell’allegato XI dello statuto dei funzionari, di fissare, a causa di una crisi economica, un adeguamento delle retribuzioni divergente da quello proposto dalla Commissione sulla base dei soli criteri stabiliti all’articolo 3 del suddetto allegato.
Di conseguenza, gli articoli del regolamento che stabiliscono i nuovi importi delle retribuzioni sono annullati. Tuttavia, gli effetti di questi articoli sono mantenuti fino all’entrata in vigore di un nuovo regolamento adottato dal Consiglio, al fine di evitare una discontinuità nel regime delle retribuzioni.
________
IMPORTANTE: Il ricorso di annullamento mira a far annullare atti delle istituzioni dell’Unione contrari al diritto dell’Unione. A determinate condizioni, gli Stati membri, le istituzioni europee e i privati possono investire la Corte di giustizia o il Tribunale di un ricorso di annullamento. Se il ricorso è fondato, l'atto viene annullato. L'istituzione interessata deve rimediare all’eventuale lacuna giuridica creata dall’annullamento dell’atto.

mercoledì 24 novembre 2010

La Corte annulla le disposizioni del regolamento del Consiglio sull’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione europea dal luglio 2009

Sentenza nella causa C-40/10
Commissione / Consiglio
La Corte annulla le disposizioni del regolamento del Consiglio sull’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione europea dal luglio 2009
Il Consiglio, stabilendo nel regolamento un adeguamento delle retribuzioni divergente da quello proposto dalla Commissione, senza ricorrere alla procedura specifica prevista dallo statuto dei funzionari in caso di un deterioramento grave e improvviso della situazione economica, ha oltrepassato i poteri che gli sono conferiti dallo statuto dei funzionari
Lo statuto dei funzionari prevede che il Consiglio stabilisca, prima della fine di ogni anno, l’adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione, con effetto dal 1° luglio dell’anno in corso.
Nel novembre 2009, la Commissione ha proposto un aumento delle retribuzioni del 3,7%. Il 23 dicembre 2009, il Consiglio ha stabilito l’aumento con l’adozione del regolamento impugnato. Il Consiglio ha ritenuto che la proposta di adeguamento delle retribuzioni della Commissione dovesse essere modificata in considerazione della crisi finanziaria ed economica, ed ha fissato i nuovi importi delle retribuzioni in base ad un tasso di adeguamento pari all’1,85%.
La Commissione ha impugnato le disposizioni del regolamento che indicano tali importi chiedendone l’annullamento. In effetti, la Commissione riteneva che lo statuto dei funzionari fissasse un metodo di adeguamento automatico delle retribuzioni, che non lascia al Consiglio un margine discrezionale che permetta a tale Istituzione di respingere la proposta della Commissione.
In senso opposto, il Consiglio ha sostenuto che disponeva ancora di un margine discrezionale in relazione agli adeguamenti annuali delle retribuzioni, non contestando, tuttavia, che il calcolo dell’adeguamento presentato dalla Commissione fosse conforme alle disposizioni dello statuto dei funzionari.
La Corte rileva che l’articolo 65 dello statuto dei funzionari stabilisce la regola di base per quel che riguarda l’esame annuale e l’eventuale adeguamento delle retribuzioni dei funzionari dell’Unione, e che tale disposizione attribuisce un potere discrezionale al Consiglio. Tuttavia, lo statuto dei funzionari prevede, per un periodo di otto anni, un allegato XI che definisce le modalità di applicazione dell’articolo 65. L’articolo 3 di tale allegato stabilisce tassativamente i criteri che disciplinano l’adeguamento annuale del livello delle retribuzioni. Questi criteri sono basati in sostanza sull’idea di allineare, anche se con un certo ritardo, l’andamento salariale a livello dell’Unione su quello riscontrato, tra il mese di luglio dell’anno precedente e il mese di luglio dell’anno in corso, negli otto Stati membri di riferimento.
Dopo aver esaminato la funzione dell’allegato XI dello statuto dei funzionari, il suo valore giuridico e la sua genesi, la Corte conclude che per mezzo della sua adozione il Consiglio ha deciso in via autonoma, nell’esercizio del suo potere discrezionale ai sensi dell’articolo 65 dello statuto dei funzionari, di sottoporsi all’obbligo di rispettare, per la durata di validità del suddetto allegato, i criteri specificati tassativamente all’articolo 3 dell’ allegato. Questa decisione si giustifica segnatamente alla luce degli obiettivi di garantire una certa stabilità nel medio termine e di evitare discussioni e difficoltà ricorrenti, in particolare tra le organizzazioni di rappresentanza del personale e le istituzioni interessate, quanto alla giustificazione o alla necessità di un adeguamento delle retribuzioni. Per quanto riguarda la possibilità di tener conto di una grave crisi economica, la Corte ricorda che l’articolo 10 dell’allegato XI dello statuto dei funzionari prevede, in via d’eccezione, una procedura specifica di adeguamento delle retribuzioni in caso di deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale. Questa disposizione è l’unica possibilità prevista dallo statuto dei funzionari che consente al Consiglio di tener in considerazione una crisi economica nel quadro dell’adeguamento annuale delle retribuzioni e di discostarsi dai criteri stabiliti all’articolo 3 di tale allegato.
Benché l’applicazione di questa procedura specifica dipenda da una proposta della Commissione, la presentazione di proposte appropriate in caso di deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale non costituisce, tuttavia, una mera facoltà per questa Istituzione, che deve, inoltre, rispettare il dovere di leale cooperazione tra le istituzioni.
Così, la Corte conclude che il Consiglio non dispone di un potere discrezionale che gli consenta, senza ricorrere alla procedura specifica di cui all’articolo 10 dell’allegato XI dello statuto dei funzionari, di fissare, a causa di una crisi economica, un adeguamento delle retribuzioni divergente da quello proposto dalla Commissione sulla base dei soli criteri stabiliti all’articolo 3 del suddetto allegato.
Di conseguenza, gli articoli del regolamento che stabiliscono i nuovi importi delle retribuzioni sono annullati. Tuttavia, gli effetti di questi articoli sono mantenuti fino all’entrata in vigore di un nuovo regolamento adottato dal Consiglio, al fine di evitare una discontinuità nel regime delle retribuzioni.
_________________
IMPORTANTE: Il ricorso di annullamento mira a far annullare atti delle istituzioni dell’Unione contrari al diritto dell’Unione. A determinate condizioni, gli Stati membri, le istituzioni europee e i privati possono investire la Corte di giustizia o il Tribunale di un ricorso di annullamento. Se il ricorso è fondato, l'atto viene annullato. L'istituzione interessata deve rimediare all’eventuale lacuna giuridica creata dall’annullamento dell’atto.

mercoledì 17 novembre 2010

(C57/09 - C101/09) SPAZIO DI LIBERTA' , SICUREZZA E GIUSTIZIA - DIRETTIVA 2004/83/CE - CONDIZIONI PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO O DI BENEFICIARIO DELLA PROTEZIONE SUSSIDIARIA - ART. 12, N. 2, LETT. B) E C)

(C57/09 - C101/09) SPAZIO DI LIBERTA' , SICUREZZA E GIUSTIZIA - DIRETTIVA 2004/83/CE - CONDIZIONI PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS DI RIFUGIATO O DI BENEFICIARIO DELLA PROTEZIONE SUSSIDIARIA - ART. 12, N. 2, LETT. B) E C)
La Corte di giustizia si è pronunciata in ordine alla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, stabilendo che la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui alla posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, ed abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la stessa abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite». La Corte ha inoltre affermato che la constatazione della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se gli atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona che ne abbia fatto parte, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2. Il Giudice comunitario ha infine precisato: a) che l’esclusione dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole considerate nella direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro d’accoglienza. Le clausole d’esclusione mirano solo a sanzionare atti commessi in passato. Nell’ambito della direttiva, infatti, altre disposizioni consentono alle autorità di adottare le misure necessarie quando una persona rappresenta un pericolo attuale; b) che gli Stati membri possono riconoscere il diritto d’asilo sulla base del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole di esclusione della direttiva, purché questo altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato delineato ai sensi della stessa direttiva.

Testo Completo: La Corte di giustizia si è pronunciata in ordine alla corretta interpretazione della disposizione di cui all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, stabilendo che la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui alla posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, ed abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la stessa abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite». La Corte ha inoltre affermato che la constatazione della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se gli atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona che ne abbia fatto parte, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2. Il Giudice comunitario ha infine precisato: a) che l’esclusione dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole considerate nella direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro d’accoglienza. Le clausole d’esclusione mirano solo a sanzionare atti commessi in passato. Nell’ambito della direttiva, infatti, altre disposizioni consentono alle autorità di adottare le misure necessarie quando una persona rappresenta un pericolo attuale; b) che gli Stati membri possono riconoscere il diritto d’asilo sulla base del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in virtù di una delle clausole di esclusione della direttiva, purché questo altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato delineato ai sensi della stessa direttiva.

Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 9 novembre 2010

Nei procedimenti riuniti C‑57/09 e C‑101/09,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), con decisioni 14 ottobre e 25 novembre 2008, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 10 febbraio e 13 marzo 2009, nelle cause

Bundesrepublik Deutschland

contro

B (causa C‑57/09),

D (causa C‑101/09),

con l’intervento di:

Vertreter des Bundesinteresses beim Bundesverwaltungsgericht (cause C‑57/09 e C‑101/09),

Bundesbeauftragter für Asylangelegenheiten beim Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (causa C‑101/09),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, U. Lõhmus e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 1° giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione, in primo luogo, dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva»), e, in secondo luogo, dell’art. 3 della medesima direttiva.

2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) – rappresentata dal Bundesministerium des Inneren (ministero federale dell’Interno), a sua volta rappresentato dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, in prosieguo il «Bundesamt») – opposta a B (causa C‑57/09) e D (causa C‑101/09), cittadini turchi di origine curda, relativamente, rispettivamente, al rigetto della domanda di asilo e per il riconoscimento dello status di rifugiato presentata da B e alla revoca, da parte della stessa autorità, del diritto di asilo e dello status di rifugiato che erano stati riconosciuti a D.

Contesto normativo

Il diritto internazionale

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati

3 La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

4 L’art. 1, dopo aver definito nella sezione A, in particolare, la nozione di «rifugiato» ai fini della Convenzione in parola, enuncia nella sezione F:

«Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che:

(...)

b) hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori del paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;

c) si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite».

5 L’art. 33 della Convenzione di Ginevra, intitolato «Divieto di espulsione e di rinvio al confine» stabilisce:

«1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

6 L’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), così dispone:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

7 A seguito degli attacchi terroristici compiuti l’11 settembre 2001 a New York, a Washington e in Pennsylvania, il 28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, sulla base del capo VII della Carta delle Nazioni Unite, la risoluzione 1373 (2001).

8 Il preambolo di tale risoluzione riafferma «la necessità di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce che gli atti di terrorismo fanno pesare sulla pace e sulla sicurezza internazionale».

9 Ai sensi del punto 5 di tale risoluzione, «gli atti, metodi e pratiche terroristici sono contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e (...) il finanziamento e l’organizzazione di atti terroristici o l’istigazione a commettere tali atti, compiuti scientemente, sono altresì contrari alle finalità e ai principi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite».

10 Il 12 novembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1377 (2001), nella quale esso «[s]ottolinea che gli atti di terrorismo internazionale sono contrari alle finalità e ai principi enunciati nella Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e che il finanziamento, la pianificazione e la preparazione degli atti di terrorismo internazionale, come tutte le altre forme di sostegno a tal fine, sono del pari contrari alle finalità e ai principi in essa enunciati».

La normativa dell’Unione

La direttiva

11 Ai sensi del terzo ‘considerando’ della direttiva la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

12 Il sesto ‘considerando’ precisa che lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per individuare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

13 Il nono ‘considerando’ della direttiva è formulato nel modo seguente:

«La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base di discrezionale».

14 Il decimo ‘considerando’ della direttiva precisa che essa rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana , e il diritto di asilo dei richiedenti asilo.

15 I ‘considerando’ sedicesimo e diciassettesimo della direttiva sono così formulati:

«16) Dovrebbero essere stabilite norme minime per la definizione ed il contenuto dello status di rifugiato, al fine di orientare le competenti autorità nazionali degli Stati membri nell’applicazione della convenzione di Ginevra.

17) È necessario introdurre dei criteri comuni per l’attribuzione ai richiedenti asilo della qualifica di rifugiati ai sensi dell’articolo 1 della convenzione di Ginevra».

16 Il ventiduesimo ‘considerando’ della direttiva così prevede:

«Gli atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite sono enunciati nel preambolo e agli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite e si rispecchiano, tra l’altro, nelle risoluzioni delle Nazioni Unite relative alle misure di lotta al terrorismo, nelle quali è dichiarato che “atti, metodi e pratiche di terrorismo sono contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite” e che “chiunque inciti, pianifichi, finanzi deliberatamente atti di terrorismo compie attività contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”».

17 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva ha lo scopo di stabilire norme minime in materia, da un lato, di attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale e, d’altro lato, in materia di contenuto della protezione riconosciuta.

18 Ai sensi dell’art. 2 della direttiva, ai fini della stessa, si intende per:

«a) “protezione internazionale”: lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria quale definito alle lettere d) e f);

(…)

c) “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

d) “status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(...)

g) “domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta ad uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nel campo d’applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

(...)».

19 L’art. 3 della direttiva così recita:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone ammissibili alla protezione sussidiaria nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

20 L’art. 12 della direttiva, che è intitolato «Esclusione» e compare nel suo capo III, a sua volta intitolato «Requisiti per essere considerato rifugiato», dispone ai nn. 2 e 3:

«2. Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere:

(…)

b) che abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;

c) che si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite.

3. Il paragrafo 2 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esso menzionati».

21 Gli artt. 13 e 18 della direttiva stabiliscono che gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato o lo status offerto dalla protezione sussidiaria ai cittadini di paesi terzi che soddisfano i requisiti di cui, rispettivamente, ai capi II e III o II e V della direttiva medesima.

22 L’art. 14 della direttiva, intitolato «Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status» e contenuto nel capo IV della stessa, a sua volta intitolato «Status di rifugiato», è così formulato:

«1. Per quanto riguarda le domande di protezione internazionale presentate successivamente all’entrata in vigore della presente direttiva gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo (...) da un organismo [competente] se questi ha cessato di essere un rifugiato ai sensi dell’articolo 11.

(...)

3. Gli Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo o di un apolide qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, lo Stato membro interessato abbia stabilito che:

a) la persona in questione avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12;

(…)».

23 L’art. 21 della direttiva, che compare al capo VII di quest’ultima, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», ai nn. 1 e 2 così dispone:

«1. Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali.

2. Qualora non sia vietato dagli obblighi internazionali previsti dal paragrafo 1, gli Stati membri possono respingere un rifugiato, formalmente riconosciuto o meno, quando:

a) vi siano ragionevoli motivi per considerare che detta persona rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova; o

b) [...] essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, detta persona costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

24 Conformemente ai suoi artt. 38 e 39, la direttiva è entrata in vigore il 9 novembre 2004 e la sua trasposizione doveva avvenire al più tardi entro il 10 ottobre 2006.

La posizione comune 2001/931/PESC

25 Per attuare la risoluzione 1373 (2001), il 27 dicembre 2001 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93).

26 L’art. 1, n. 1, di detta posizione comune prevede che essa si applica «alle persone, gruppi ed entità, (…) coinvolti in atti terroristici» il cui elenco compare nell’allegato della stessa posizione comune.

27 Ai termini dell’art. 1, nn. 2 e 3, della posizione comune 2001/931, ai fini della stessa:

«2. (...) per “persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici” si intendono:

– persone che compiono, o tentano di compiere, atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano,

– gruppi ed entità posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone; e persone, gruppi ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone, gruppi ed entità, inclusi i capitali provenienti o generati da beni posseduti o controllati direttamente o indirettamente da tali persone o da persone, gruppi ed entità ad esse associate.

3. (...) per "atto terroristico" si intende uno degli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la sua natura o contesto, possa recare grave danno a un paese o un’organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di:

(…)

iii) destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un’organizzazione internazionale:

(…)

k) partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo.

(…)».

28 La posizione comune 2001/931 contiene un allegato intitolato «Elenco delle persone, gruppi ed entità di cui all’articolo 1 (…)». Inizialmente in tale elenco non comparivano né il DHKP/C né il PKK.

29 Il contenuto di tale allegato è stato aggiornato dalla posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC (GU L 116, pag. 75).

30 In tale allegato, così aggiornato, ai punti 9 e 19 della sezione 2, intitolata «Gruppi e entità» compaiono, rispettivamente, il «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK)» e l’«Esercito/Fronte/Partito rivoluzionario popolare di liberazione (DHKP/C), [anche noto come Devrimci Sol (Sinistra rivoluzionaria), Dev Sol]». Tali organizzazioni sono state poi mantenute nell’elenco di cui all’art. 1, n. 1 e 6, della posizione comune 2001/931 dalle successive posizioni comuni del Consiglio, da ultimo dalla decisione del Consiglio 12 luglio 2010, 2010/386/PESC, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931 (GU L 178, pag. 28).

La decisione quadro 2002/475/GAI

31 L’art. 1 della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/475/GAI, sulla lotta contro il terrorismo (GU L 164, pag. 3), impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali, enumerati nello stesso articolo, che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi per uno dei fini del pari indicati in tale articolo.

32 L’art. 2 di detta decisione quadro, intitolato «Reati riconducibili a un’organizzazione terroristica», al suo n. 2 così dispone:

«Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano punibili i seguenti atti intenzionali:

(…)

b) partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica, anche fornendole informazioni o mezzi materiali, ovvero tramite qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose dell’organizzazione terroristica».

La normativa nazionale

33 L’art. 16a, n. 1, della legge fondamentale (Grundgesetz) dispone quanto segue:

«I perseguitati politici beneficiano del diritto di asilo».

34 Nell’art. 1 della legge sulla procedura d’asilo (Asylverfahrensgesetz; in prosieguo l’«AsylVfG»), nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 1798), si enuncia che la legge si applica agli stranieri che chiedono protezione in quanto perseguitati politici ai sensi dell’art. 16a, n. 1, della legge fondamentale o la protezione contro le persecuzioni ai sensi della Convenzione di Ginevra.

35 L’art. 2 dell’AsylVfG prevede che i beneficiari del diritto d’asilo godono, nel territorio nazionale, dello status definito dalla Convenzione di Ginevra.

36 Lo status di rifugiato era inizialmente regolato dall’art. 51 della legge sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale (Gesetz über die Einreise und den Aufenthalt von Ausländern im Bundesgebiet; in prosieguo: l’«Ausländergesetz»).

37 La legge 9 gennaio 2002 per la lotta al terrorismo internazionale (Gesetz zur Bekämpfung des internationalen Terrorismus, BGBl. 2002 I, pag. 361, in prosieguo: il «Terrorismusbekämpfungsgesetz») ha inserito, per la prima volta, nell’art 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz, con effetto dall’11 gennaio 2002, cause di esclusione che rispecchiano quelle previste all’art. 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra.

38 Con la legge 19 agosto 2007 che recepisce le direttive dell’Unione europea in materia di diritto di soggiorno e d’asilo (Gesetz zur Umsetzung aufenthalts- und asylrechtlicher Richtlinien der Europäischen Union, BGBl. 2007 I, pag. 1970), entrata in vigore il 28 agosto 2007, la Repubblica federale di Germania ha trasposto, fra le altre, la direttiva.

39 Attualmente i requisiti per essere considerato rifugiato sono fissati all’art. 3, dell’AsylVfG. Ai sensi dei nn. 1-2 di questo articolo:

«(1) Uno straniero è un rifugiato ai sensi della [Convenzione di Ginevra] se è esposto a minacce ai sensi dell’art. 60, n. 1, della legge [in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet, in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»)] nello Stato di cui è cittadino (…).

(2) Uno straniero è escluso dallo status di rifugiato ai sensi del n. 1 ove sussistano fondati motivi per ritenere:

1. (…)

2. che abbia commesso un reato grave di diritto comune al di fuori del territorio nazionale, prima di esservi ammesso come rifugiato, in particolare un atto crudele, anche quando quest’ultimo sia stato commesso con un dichiarato obiettivo politico, oppure

3. che abbia commesso atti contrari ai principi e alle finalità delle Nazioni Unite;

La prima frase trova applicazione anche nei confronti degli stranieri che abbiano istigato tali crimini o tali atti, o che abbiano partecipato ad essi in altro modo».

40 Le cause di esclusione che compaiono all’art. 3, n. 2, dell’AsylVfG hanno sostituito, a decorrere dal 28 agosto 2007, l’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz, che aveva a sua volta sostituito l’art. 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz.

41 L’art. 60, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz, nella versione pubblicata il 25 febbraio 2008 (BGBl. 2008, pag. 162) così recita:

«In applicazione della Convenzione [di Ginevra], uno straniero non può essere ricondotto alla frontiera verso uno Stato nel quale la sua vita o la sua libertà siano minacciate a causa della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. (…)».

42 L’art. 73, n. 1, prima frase, dell’AsylVfG prevede che «[i]l riconoscimento del diritto d’asilo e dello status di rifugiato sono immediatamente revocati laddove non siano più soddisfatte le condizioni prescritte a tal fine».

Cause principali e questioni pregiudiziali

La causa C‑57/09

43 Alla fine del 2002, B, nato nel 1975, è entrato in Germania ove ha chiesto asilo e protezione in quanto rifugiato e ha altresì chiesto, in subordine, di poter beneficiare di un divieto di espulsione verso la Turchia.

44 A sostegno della sua domanda, egli ha, in particolare, dichiarato di aver simpatizzato, in Turchia, mentre era ancora a scuola, con il Dev Sol (divenuto il DHKP/C) e di aver appoggiato la lotta armata della guerriglia in montagna tra la fine del 1993 e l’inizio del 1995.

45 Dopo il suo arresto nel mese di febbraio 1995, avrebbe subìto gravi maltrattamenti fisici e sarebbe stato costretto a rilasciare una dichiarazione sotto tortura.

46 Nel corso del mese di dicembre 1995, egli sarebbe stato condannato all’ergastolo.

47 Nel 2001, mentre era detenuto, sarebbe stato nuovamente condannato all’ergastolo dopo essersi assunto la responsabilità dell’omicidio di un altro detenuto sospettato di essere un delatore.

48 Nel dicembre 2002, egli avrebbe approfittato di un periodo di sei mesi in libertà condizionata per ragioni di salute per lasciare la Turchia e recarsi in Germania.

49 Con decisione in data 14 settembre 2004, il Bundesamt ha respinto la domanda di asilo di B dichiarandola infondata e ha constatato che non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 51, n. 1, dell’Ausländergesetz. Tale autorità ha ritenuto che, avendo commesso gravi reati di diritto comune, B rientrasse nel secondo caso di esclusione previsto nell’art. 51, n. 3, seconda frase, dell’Ausländergesetz (menzionato successivamente all’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz, e poi all’art. 3, n. 2, punto 2, dell’AsylVfG).

50 Nella stessa decisione, il Bundesamt ha inoltre constatato che non esisteva nel diritto nazionale applicabile alcun ostacolo all’espulsione di B verso la Turchia e ha dichiarato che poteva essere espulso verso tale paese.

51 Con sentenza 13 giugno 2006, il Verwaltungsgericht Gelsenkirchen (tribunale amministrativo di Gelsenkirchen) ha annullato la decisione del Bundesamt e ha ordinato a tale autorità di concedere il diritto d’asilo a B e di constatare il divieto di espulsione di B verso la Turchia.

52 Con sentenza 27 marzo 2007, l’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (tribunale amministrativo regionale superiore del Nord Reno-Westfalia) ha respinto l’appello proposto dal Bundesamt contro detta sentenza, considerando che a B dovesse essere concesso il diritto d’asilo in forza dell’art. 16a del Grundgesetz e lo status di rifugiato.

53 Tale organo giurisdizionale ha ritenuto, in particolare, che la clausola di esclusione fatta valere dal Bundesamt debba essere intesa nel senso che essa non mira solo a sanzionare un grave crimine di diritto comune commesso in passato, ma anche a prevenire il rischio che il richiedente potrebbe rappresentare nello Stato membro d’accoglienza, e che la sua applicazione esige una valutazione complessiva della fattispecie alla luce del principio di proporzionalità.

54 Contro tale sentenza il Bundesamt ha proposto un ricorso per «Revision» dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa), deducendo l’applicazione del secondo e del terzo caso di esclusione previsti all’art. 60, n. 8, seconda frase, dell’Aufenthaltsgesetz (e successivamente all’art. 3, n. 2, punti 2 e 3, dell’AsylVfG) e sostenendo che, contrariamente alla tesi adottata dal giudice d’appello, tali due casi di esclusione non presuppongono né la sussistenza di un pericolo per la sicurezza della Repubblica federale di Germania, né un esame di proporzionalità con riferimento al caso di specie.

55 Inoltre, secondo il Bundesamt, le cause di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva farebbero parte dei principi ai quali, a norma dell’art. 3 di quest’ultima, gli Stati membri non possono derogare.

La causa C‑101/09

56 D, nato nel 1968, soggiorna in Germania dal maggio 2001, ove ha chiesto asilo l’11 maggio 2001.

57 A sostegno della sua domanda egli ha dichiarato in particolare che, nel 1990, era fuggito in montagna per unirsi al PKK. Egli avrebbe combattuto nella guerriglia e sarebbe stato un alto funzionario del PKK. Alla fine del 1998, il PKK l’avrebbe inviato nel nord dell’Iraq.

58 A causa di disaccordi d’ordine politico con la direzione del PKK, egli avrebbe abbandonato tale organizzazione nel maggio 2000 e sarebbe da allora minacciato. Si sarebbe trattenuto nell’Iraq settentrionale ancora per circa un anno, ma senza essere al sicuro neppure in tale luogo.

59 Il Bundesamt gli ha accordato, nel maggio 2001, il diritto d’asilo e gli ha riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi del diritto nazionale all’epoca vigente.

60 A seguito dell’entrata in vigore del Terrorismusbekämpfungsgesetz, il Bundesamt ha avviato una procedura di revoca e, con decisione 6 maggio 2004, ha revocato, in forza dell’art. 73, n. 1, dell’AsylVfG, la decisione di riconoscimento del diritto d’asilo e dello status di rifugiato di cui aveva goduto D. Tale autorità ha considerato che sussistessero fondati motivi per ritenere che D avesse commesso un grave reato di diritto comune al di fuori della Germania prima di rifugiarvisi e che si fosse reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

61 Con sentenza 29 novembre 2005, il Verwaltungsgericht Gelsenkirchen ha annullato tale decisione di revoca.

62 L’appello proposto dal Bundesamt è stato respinto dall’Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen con sentenza 27 marzo 2007. Seguendo un ragionamento analogo a quello sotteso alla sentenza in pari data nella causa riguardante B, tale organo giurisdizionale ha considerato inapplicabili, anche nel caso di D, le cause di esclusione previste dalla normativa nazionale.

63 Il Bundesamt ha proposto un ricorso per «Revision» contro tale sentenza, deducendo sostanzialmente motivi analoghi a quelli presentati a sostegno del ricorso proposto nella causa relativa a B.

Le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte

64 Il giudice del rinvio rileva che, secondo gli accertamenti effettuati dal giudice d’appello, ai quali il giudice del rinvio è vincolato, i resistenti nelle cause principali, in caso di rientro nel paese d’origine, non sarebbero sufficientemente al riparo da nuove persecuzioni. Ne deduce che nelle due cause ricorrono le condizioni positive per essere considerato rifugiato. Tuttavia, gli interessati non potranno vedersi riconoscere la qualità di rifugiato laddove fosse applicabile una delle clausole di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva.

65 Detto giudice ha precisato che, in caso di applicazione di una di tali clausole di esclusione, i resistenti nelle cause principali sarebbero legittimati a vedersi riconoscere il diritto d’asilo ai sensi dell’art. 16a del Grundgesetz, il quale non esclude da tale diritto alcuna categoria di persone.

66 Esso rileva infine che né un’esclusione ai sensi dell’art. 12 della direttiva né la constatazione di un’eventuale incompatibilità tra l’art. 16a del Grundgesetz e la direttiva condurrebbero necessariamente alla perdita, per i resistenti nelle cause principali, del diritto di soggiornare in Germania.

67 In tale contesto il Bundesverwaltungsgericht ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte, in ciascuna delle cause principali, le cinque questioni pregiudiziali seguenti, la prima e la quinta delle quali presentano una formulazione leggermente diversa in considerazione delle circostanze proprie di ciascuna causa:

«1) Se si configuri un reato grave di diritto comune ovvero un atto contrario alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva (…), nel caso in cui [:]

[–] il richiedente asilo abbia fatto parte di un’organizzazione che è iscritta nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune [2001/931] e che opera con metodi terroristici, e il detto richiedente abbia attivamente sostenuto la lotta armata di tale organizzazione; (causa C‑57/09)

[–] lo straniero sia stato coinvolto per anni, in quanto combattente e funzionario, e per un periodo anche come membro del comitato direttivo, in un’organizzazione (nella fattispecie: il PKK) che nella sua lotta armata contro lo Stato (nella fattispecie: la Turchia) ha continuato ad applicare metodi terroristici e che risulta iscritta nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all’allegato della posizione comune [2001/931] e detto straniero abbia con ciò attivamente sostenuto la lotta armata di tale organizzazione occupando in essa una posizione preminente (causa C‑101/09).

2) In caso di soluzione affermativa della prima questione, se l’esclusione dal riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) [o] c), della direttiva (…) presupponga che [la persona in questione] continui a costituire una fonte di pericolo.

3) In caso di soluzione negativa della seconda questione, se l’esclusione dal riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) [o] c), della direttiva (…) presupponga un vaglio di proporzionalità riferito al singolo caso.

4) In caso di risposta affermativa alla terza questione:

a) se nell’ambito del vaglio di proporzionalità vada considerato il fatto che [la persona in questione] beneficia della tutela contro l’espulsione in forza dell’art. 3 della [CEDU] ovvero in forza di norme nazionali;

b) se l’esclusione sia sproporzionata soltanto in casi eccezionali presentanti caratteristiche particolari.

5) Se possa considerarsi compatibile con la direttiva (…), nel senso di cui all’art. 3 di quest’ultima, il fatto che [:]

[–] il richiedente, malgrado l’esistenza di una causa di esclusione ai sensi dell’art. 12, n. 2, della medesima direttiva, goda di un diritto di asilo in forza di norme costituzionali nazionali (causa C‑57/09);

[–] lo straniero, malgrado la sussistenza di una causa di esclusione ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva e malgrado la revoca dello status di rifugiato in conformità dell’art. 14, n. 3, [lett. a)] della medesima, continui ad essere riconosciuto come titolare di un diritto di asilo in forza di norme costituzionali nazionali (causa C‑101/09)».

68 Con ordinanza del presidente della Corte 4 maggio 2009 le cause C‑57/09 e C‑101/09 sono state riunite ai fini della fase scritta, della fase orale e della sentenza.

Sulla competenza della Corte

69 Nelle cause principali il Bundesamt ha adottato le decisioni controverse in base alle norme applicabili prima dell’entrata in vigore della direttiva, ossia prima del 9 novembre 2004.

70 Tali decisioni, che hanno dato luogo alla proposizione delle domande di pronuncia pregiudiziale in esame, non rientrano quindi nell’ambito di applicazione ratione temporis della direttiva.

71 Occorre tuttavia ricordare che, qualora le questioni sollevate dai giudici nazionali vertano sull’interpretazione di una norma di diritto comunitario, la Corte è in linea di principio tenuta a pronunciarsi. Non risulta, in particolare, dal dettato degli artt. 68 CE e 234 CE, né dalle finalità del procedimento istituito da quest’ultima disposizione che gli autori del Trattato CE abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su una direttiva nel caso particolare in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvii al contenuto delle disposizioni di una convenzione internazionale, che sono riprese dalla direttiva in parola, per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna al detto Stato. In un caso del genere esiste un interesse certo dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni di tale convenzione internazionale riprese dal diritto nazionale e dal diritto dell’Unione ricevano un’interpretazione uniforme, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (v., per analogia, sentenza 2 marzo 2010, cause riunite C‑175/08, causa C‑176/08, causa C‑178/08 e C‑179/08, Salahadin Abdulla e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 48).

72 Nelle presenti cause principali, il giudice del rinvio sottolinea che il Terrorismusbekämpfungsgesetz ha introdotto nel diritto nazionale cause di esclusione dallo status di rifugiato sostanzialmente corrispondenti a quelle contenute nell’art. 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra. Tenuto conto del fatto che anche le cause di esclusione di cui all’art. 12, n. 2, della direttiva corrispondono sostanzialmente a quelle che compaiono all’art. 1, sezione F, il Bundesamt, nelle due decisioni controverse nelle cause principali, adottate prima dell’entrata in vigore della direttiva, ha esaminato e applicato cause di esclusione che, sostanzialmente, corrispondono a quelle introdotte successivamente nella direttiva.

73 Inoltre, per quanto riguarda la decisione del Bundesamt di revocare la decisione che aveva accordato a D lo status di rifugiato, si deve rilevare che l’art. 14, n. 3, lett. a), della direttiva impone alle autorità competenti di uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato a qualunque persona interessata qualora esse accertino, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, che essa «avrebbe dovuto essere esclusa» dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12 della direttiva.

74 Orbene, contrariamente al motivo di revoca previsto all’art. 14, n. 1, della direttiva, quello di cui al n. 3, lett. a), di tale articolo non è accompagnato da un regime transitorio e non può essere limitato alle domande presentate o alle decisioni adottate successivamente all’entrata in vigore della direttiva. Esso non presenta neppure il carattere facoltativo delle cause di revoca di cui al n. 4 dello stesso articolo.

75 Alla luce di quanto sopra occorre rispondere alle questioni poste.

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

76 La direttiva è stata adottata sul fondamento, in particolare, dell’art. 63, primo comma, punto 1), lett. c), CE, il quale incaricava il Consiglio di adottare misure relative all’asilo, conformi alla Convenzione di Ginevra e agli altri trattati pertinenti, nell’ambito delle norme minime relative all’attribuzione dello status di rifugiato a cittadini di paesi terzi.

77 Dai ‘considerando’ terzo, sedicesimo e diciassettesimo della direttiva risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati e che le disposizioni della direttiva relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto del medesimo sono state adottate al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare detta Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni (sentenze Salahadin Abdulla e a., cit., punti 52, e 17 giugno 2010, causa C‑31/09, Bolbol, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37).

78 L’interpretazione delle disposizioni della direttiva deve pertanto essere effettuata alla luce dell’economia generale e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’art. 63, primo comma, punto 1, CE, divenuto art. 78, n. 1, TFUE. Tale interpretazione deve effettuarsi anche, come risulta dal decimo ‘considerando’ della direttiva, nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali (citate sentenze Salahadin Abdulla e a., punti 53 e 54, nonché Bolbol, punto 38).

Sulla prima questione

79 Con la sua prima questione in ciascuna delle due cause, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se ci si trovi dinanzi ad un «reato grave di diritto comune» o ad «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite» ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva laddove la persona considerata abbia fatto parte di un’organizzazione che è presente nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici e tale persona abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, eventualmente occupando in quest’ultima una posizione preminente.

80 Per risolvere tale questione – diretta a far stabilire in quali limiti l’appartenenza di una persona ad un’organizzazione che è iscritta in tale elenco possa rientrare nell’ambito dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c) della direttiva – occorre preliminarmente verificare se gli atti commessi da tale organizzazione possano, come presume il giudice del rinvio, rientrare nelle categorie dei reati gravi e degli atti di cui, rispettivamente, alle citate lett. b) e c).

81 In primo luogo, è necessario considerare che gli atti di natura terroristica, che sono caratterizzati dalla loro violenza nei confronti delle popolazioni civili, anche se sono commessi con un dichiarato obiettivo politico, devono essere considerati reati gravi di diritto comune ai sensi di detta lett. b).

82 In secondo luogo, per quanto riguarda gli atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite di cui alla lett. c) dell’art. 12, n. 2, della direttiva, il ventiduesimo ‘considerando’ della stessa mostra che essi sono menzionati nel preambolo e agli artt. 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite e precisati, tra l’altro, dalle risoluzioni delle Nazioni Unite relative alle «misure di lotta al terrorismo».

83 Tra tali atti si annoverano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1373 (2001) e 1377 (2001), dalle quali risulta che quest’ultimo muove dal principio che gli atti di terrorismo internazionale sono, in linea generale e indipendentemente dalla partecipazione di uno Stato, atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite.

84 Ne consegue, come hanno sostenuto, nelle loro osservazioni scritte sottoposte alla Corte, tutti i governi che hanno presentato tali osservazioni e la Commissione europea, che le autorità competenti degli Stati membri possono applicare l’art. 12, n. 2, lett. c) della direttiva anche ad una persona che, nell’ambito della sua appartenenza ad un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931, sia stata coinvolta in atti terroristici aventi una dimensione internazionale.

85 Si pone inoltre la questione della misura in cui l’appartenenza ad un’organizzazione siffatta comporti che la persona di cui trattasi rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva ove essa abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione, occupando eventualmente in quest’ultima una posizione preminente.

86 In proposito occorre rilevare che l’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva, come peraltro l’art. 1, sezione F, lett. b) e c), della Convenzione di Ginevra, consente di escludere una persona dallo status di rifugiato solo qualora sussistano «fondati motivi» per ritenere che «abbia commesso» al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune o che «si sia res[a] colpevole» di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

87 Risulta dal testo di tali disposizioni della direttiva che l’autorità competente dello Stato membro considerato non può applicarle prima di aver proceduto, per ciascun caso individuale, ad una valutazione dei fatti precisi di cui essa ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status di rifugiato, rientrino in uno di quei due casi di esclusione.

88 Di conseguenza, in primo luogo, anche se gli atti commessi da un’organizzazione che è iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici possono collegarsi a ciascuna delle cause di esclusione di cui alle lett. b) e c), dell’art. 12, n. 2 della direttiva, la sola circostanza che la persona di cui trattasi abbia fatto parte di un’organizzazione siffatta non può avere la conseguenza automatica che tale persona debba essere esclusa dallo status di rifugiato a norma di dette disposizioni.

89 Non sussiste, infatti, una relazione diretta tra la posizione comune 2001/931 e la direttiva quanto agli obiettivi perseguiti e non è giustificato che l’autorità competente, qualora intenda escludere una persona dallo status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 2, della direttiva, si fondi unicamente sulla sua appartenenza ad un’organizzazione che è presente in un elenco adottato al di fuori dell’ambito istituito dalla direttiva nel rispetto della Convenzione di Ginevra.

90 Nondimeno, l’inserimento di un’organizzazione in un elenco come quello di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 consente di stabilire la natura terroristica del gruppo del quale ha fatto parte la persona considerata, il che costituisce un elemento che l’autorità competente deve prendere in considerazione nel verificare, in un primo tempo, che tale gruppo abbia commesso atti che rientrano nell’ambito dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

91 A tal proposito va rilevato che i presupposti in base ai quali sono state inserite in tale elenco le due organizzazioni delle quali hanno fatto rispettivamente parte i resistenti nelle cause principali non possono essere comparati alla valutazione individuale di fatti precisi che deve precedere qualsiasi decisione di escludere una persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

92 In secondo luogo, e contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, neppure la partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. b), della decisione quadro 2002/475 può necessariamente ed automaticamente rientrare tra le cause di esclusione previste all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva.

93 Infatti, non solo tale decisione quadro, al pari della decisione comune 2001/931, è stata adottata in un contesto diverso da quello della direttiva, che è essenzialmente umanitario, ma l’atto intenzionale di partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica, che è definito all’art. 2, n. 2, lett. b), di tale decisione quadro e che gli Stati membri hanno dovuto rendere punibile nel loro diritto nazionale, non è di natura tale da far scattare l’applicazione automatica delle clausole di esclusione contenute all’art. 12, n. 2, lett. b) e c), della direttiva, le quali presuppongono un esame completo di tutte le circostanze proprie a ciascun caso individuale.

94 Risulta da tutte queste considerazioni che l’esclusione dallo status di rifugiato di una persona che abbia fatto parte di un’organizzazione che impiega metodi terroristici è subordinata ad un esame individuale di fatti precisi che consenta di valutare se sussistano fondati motivi per ritenere che, nell’ambito di tali attività all’interno di detta organizzazione, la persona considerata abbia commesso un reato grave di diritto comune o si sia resa colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, o che essa abbia istigato o altrimenti concorso alla commissione di un reato o di atti siffatti ai sensi dell’art. 12, n. 3, della direttiva.

95 Per poter considerare sussistenti le cause di esclusione di cui alle lett. b) e c) dell’art. 12, n. 2, della direttiva, è necessario poter ascrivere alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto da tale n. 2, una parte di responsabilità per atti commessi dall’organizzazione di cui trattasi durante il periodo in cui tale persona ne faceva parte.

96 Tale responsabilità individuale deve essere valutata alla luce di criteri tanto oggettivi quanto soggettivi.

97 A tal riguardo l’autorità competente deve esaminare in particolare il ruolo effettivamente svolto dalla persona considerata nel compimento degli atti in questione, la sua posizione all’interno dell’organizzazione, il grado di conoscenza che essa aveva o si poteva presumere avesse delle attività di quest’ultima, le eventuali pressioni alle quali sia stata sottoposta o altri fattori atti ad influenzarne il comportamento.

98 Un’autorità che, nel corso di tale esame, accerti che la persona considerata aveva occupato, come D, una posizione preminente in un’organizzazione che impiega metodi terroristici può presumere che tale persona abbia una responsabilità individuale per atti commessi da detta organizzazione durante il periodo rilevante, ma resta tuttavia necessario l’esame di tutte le circostanze pertinenti prima che possa essere adottata la decisione di escludere tale persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva.

99 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione posta in ciascuna delle due cause dichiarando che l’art. 12, n. 2, lett. b e c), della direttiva deve essere interpretato nel senso che:

– la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune 2001/931 per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite»;

– la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.

Sulla seconda questione

100 Con la seconda questione in ciascuna delle cause il giudice del rinvio chiede se l’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata alla circostanza che la persona considerata continui a rappresentare un pericolo per lo Stato membro d’accoglienza.

101 Va anzitutto sottolineato che, nell’economia della direttiva, il pericolo attuale che un rifugiato può eventualmente rappresentare per lo Stato membro di cui trattasi è preso in considerazione non nell’ambio dell’art. 12, n. 2, bensì in quello, da un lato, dell’art. 14, n. 4, lett. a), in base al quale uno Stato membro può revocare lo status riconosciuto ad un rifugiato in particolare quando vi sono fondati motivi per ritenerlo una minaccia per la sicurezza e, dall’altro, in quello dell’art. 21, n. 2, il quale prevede che uno Stato membro di accoglienza possa, come autorizzato anche dall’art. 33, n. 2, della Convenzione di Ginevra, respingere un rifugiato quando vi siano fondati motivi per considerare che egli costituisca una minaccia per la sicurezza o la comunità di tale Stato membro.

102 Secondo i termini dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva, che sono analoghi a quelli dell’art. 1, sezione F, lett. b) e c), della Convenzione di Ginevra, un cittadino di un paese terzo è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che «abbia commesso» al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune «prima di essere ammesso come rifugiato» o che «si sia reso colpevole» di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

103 Conformemente alla formulazione delle disposizioni che le enunciano, queste due cause di esclusione mirano a sanzionare atti commessi in passato, come hanno sostenuto tutti i governi che hanno presentato osservazioni e la Commissione.

104 Va in proposito sottolineato che le cause di esclusione di cui trattasi sono state istituite al fine di escludere dallo status di rifugiato le persone ritenute indegne della protezione che è collegata a tale status e di evitare che il riconoscimento di tale status consenta ad autori di taluni gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale. Non sarebbe pertanto conforme a tale duplice obiettivo subordinare l’esclusione da detto status all’esistenza di un pericolo attuale per lo Stato membro d’accoglienza.

105 La seconda questione va pertanto risolta dichiarando che l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza.

Sulla terza questione

106 Con la terza questione in ciascuna delle cause il giudice del rinvio chiede se l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva sia subordinata ad un esame della proporzionalità alla luce del caso di specie.

107 In proposito, occorre ricordare che risulta dalla formulazione stessa di detto art. 12, n. 2, che, ove ricorrano le condizioni in esso fissate, la persona di cui trattasi «è esclus[a]» dallo status di rifugiato e che, nell’economia della direttiva, l’art. 2, lett. c), di quest’ultima subordina espressamente la qualità di «rifugiato» alla circostanza che alla persona interessata non si applichi l’art. 12.

108 L’esclusione dallo status di rifugiato per una delle cause enunciate all’art. 12, n. 2, lett. b) o c), come è stato osservato nell’ambito della risposta alla prima questione, è connessa alla gravità degli atti commessi, la quale deve essere di un grado tale che, ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva, la persona interessata non possa legittimamente aspirare alla protezione collegata allo status di rifugiato.

109 Avendo l’autorità competente già preso in considerazione, nell’ambito della sua valutazione della gravità degli atti commessi e della responsabilità individuale, tutte le circostanze che caratterizzano tali atti e la situazione di tale persona, essa non può essere obbligata – ove giunga alla conclusione che trova applicazione l’art. 12, n. 2 – a procedere ad un esame di proporzionalità che comporti nuovamente una valutazione del livello di gravità degli atti commessi, come hanno sostenuto i governi tedesco, francese, dei Paesi Bassi e del Regno Unito.

110 È importante sottolineare che l’esclusione di una persona dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva non comporta una presa di posizione relativamente alla distinta questione se detta persona possa essere espulsa verso il suo paese d’origine.

111 Occorre quindi rispondere alla terza questione posta dichiarando che l’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.

Sulla quarta questione

112 In considerazione della risposta data alla terza questione, non è necessario rispondere alla quarta questione proposta dal giudice del rinvio in ciascuna delle due cause.

Sulla quinta questione

113 Con la sua quinta questione in ciascuna delle due cause, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia compatibile con la direttiva, ai sensi del suo art. 3, la circostanza che uno Stato membro riconosca un diritto d’asilo, a titolo del suo diritto costituzionale, ad una persona esclusa dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, della direttiva.

114 A tal riguardo, è necessario ricordare che l’art. 3 consente agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione in particolare dei soggetti che possono essere considerati rifugiati, purché, tuttavia, esse siano compatibili con la direttiva.

115 Orbene, in considerazione dello scopo delle cause di esclusione della direttiva, che è quello di preservare la credibilità del sistema di protezione da essa previsto, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, la riserva che compare all’art. 3 della direttiva osta a che uno Stato membro adotti o mantenga in vigore disposizioni che concedono lo status di rifugiato previsto da quest’ultima ad una persona che ne è esclusa a norma dell’art. 12, n. 2.

116 Va tuttavia rilevato che risulta dall’art 2, lett. g), in fine, della direttiva che essa non osta a che una persona chieda di essere protetta nell’ambito di un «diverso tipo di protezione» che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva stessa.

117 La direttiva, al pari della Convenzione di Ginevra, muove dal principio che gli Stati membri di accoglienza possono accordare, in conformità del loro diritto nazionale, una protezione nazionale accompagnata da diritti che consentano alle persone escluse dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, della direttiva di soggiornare nel territorio dello Stato membro considerato.

118 Il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di siffatto status di protezione nazionale, per ragioni diverse dalla necessità di protezione internazionale ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva, vale a dire a titolo discrezionale e per ragioni caritatevoli o umanitarie, non rientra, come precisato dal nono ‘considerando’ della direttiva, nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

119 Tale altro tipo di protezione che gli Stati membri hanno la facoltà di accordare non deve tuttavia poter essere confuso con lo status di rifugiato ai sensi della direttiva, come giustamente sottolineato dalla Commissione.

120 Pertanto, nei limiti in cui le norme nazionali che accordano un diritto d’asilo a persone escluse dallo status di rifugiato ai sensi della direttiva permettono di distinguere chiaramente la protezione nazionale da quella concessa in forza della direttiva, esse non contravvengono al sistema di quest’ultima.

121 Alla luce di tali considerazioni, la quinta questione va risolta dichiarando che l’art. 3 della direttiva deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché questo altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi della stessa direttiva.

Sulle spese

122 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) L’art. 12, n. 2, lett. b e c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che:

– la circostanza che una persona abbia fatto parte di un’organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da detta organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un «reato grave di diritto comune» o «atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite»;

– la constatazione, in siffatto contesto, della sussistenza di fondati motivi per ritenere che una persona abbia commesso un reato del genere o si sia resa colpevole di tali atti è subordinata ad una valutazione caso per caso di fatti precisi al fine di determinare se atti commessi dall’organizzazione considerata rispondano alle condizioni fissate da dette disposizioni e se una responsabilità individuale nel compimento di tali atti possa essere ascritta alla persona considerata, tenuto conto del livello di prova richiesto dal citato art. 12, n. 2.

2) L’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata alla circostanza che la persona considerata rappresenti un pericolo attuale per lo Stato membro di accoglienza.

3) L’esclusione dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie.

4) L’art. 3 della direttiva 2004/83 deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri possono riconoscere un diritto d’asilo in forza del loro diritto nazionale ad una persona esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’art. 12, n. 2, di tale direttiva, purché quest’altro tipo di protezione non comporti un rischio di confusione con lo status di rifugiato ai sensi della stessa direttiva.