domenica 27 novembre 2011

Sentenza nella causa T-341/07 - Il Tribunale respinge la domanda di risarcimento danni proposta da Jose Maria Sison a seguito dell'illegittimo congelamento dei suoi capitali da parte del Consiglio

Sentenza nella causa T-341/07
Jose Maria Sison / Consiglio
Il Tribunale respinge la domanda di risarcimento danni proposta da Jose Maria Sison a seguito dell'illegittimo congelamento dei suoi capitali da parte del Consiglio
La violazione del diritto dell’Unione si spiega con i vincoli e le responsabilità particolari che gravavano sul Consiglio e costituisce un’irregolarità che un’amministrazione normalmente prudente e diligente avrebbe potuto commettere in una situazione analoga
Il 30 settembre 2009 il Tribunale ha annullato per la seconda volta taluni atti 1 del Consiglio che avevano disposto il congelamento dei capitali del sig. Jose Maria Sison, cittadino filippino residente nei Paesi Bassi 2 («sentenza Sison II»). Il Tribunale ha stabilito che le decisioni nazionali sulle quali si era basato il Consiglio per congelare i capitali del sig. Sison non vertevano né sull'apertura di indagini o di azioni penali, né su una condanna per attività terroristica, contrariamente ai requisiti previsti dalla legislazione dell'Unione.
Le decisioni nazionali in questione erano state assunte dai giudici olandesi nel contesto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale domanda era stata respinta in più occasioni dal Segretario di Stato per la Giustizia, in quanto il sig. Sison era a capo del partito comunista filippino e aveva diretto la New People’s Army («NPA»), ramo militare del partito comunista filippino, implicato in un gran numero di atti terroristici nelle Filippine.
In occasione della sentenza 30 settembre 2009 il Tribunale non si era pronunciato sulla domanda per risarcimento danni contestualmente proposta dal sig. Sison, essendo questa stata sospesa sino alla pronuncia della sentenza sulla domanda d'annullamento delle misure.
Nella sua odierna sentenza il Tribunale si pronuncia in merito a tale domanda di risarcimento danni, respingendola.
Il Tribunale afferma che la violazione, benché chiaramente accertata nella sua sentenza Sison II, non è sufficientemente grave da far sorgere la responsabilità della Comunità nei confronti del sig. Sison.
A tal proposito, il Tribunale rammenta che il ricorso per risarcimento danni non è diretto a garantire il risarcimento di un danno causato da qualsiasi comportamento illecito. Solo una violazione sufficientemente grave di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli può far sorgere la responsabilità della Comunità. Il criterio decisivo per considerare tale condizione soddisfatta è quello della violazione manifesta e grave, commessa dall’istituzione in questione, dei limiti posti al suo potere discrezionale.
In tal senso, il Tribunale afferma che l'interpretazione e l'applicazione del diritto comunitario in questione presentavano difficoltà. Esso rileva anzitutto che lo stesso tenore letterale delle disposizioni in questione risulta particolarmente confuso, come attestato dall’abbondante giurisprudenza del Tribunale in materia. Solamente attraverso l’esame di una decina di cause, ripartito in vari anni, il Tribunale ha progressivamente elaborato un quadro razionale e coerente di interpretazione delle disposizioni. Infatti, solamente con la sua sentenza Sison II il Tribunale ha stabilito che una decisione nazionale, per poter essere validamente invocata dal Consiglio, deve iscriversi nell’ambito di un procedimento nazionale avente ad oggetto direttamente e principalmente l’applicazione nei confronti dell’interessato di una misura di tipo preventivo o repressivo a titolo della lotta al terrorismo.
Il Tribunale sottolinea peraltro che, contrariamente a quanto sostenuto dal sig. Sison, il rifiuto del Segretario di Stato olandese per la Giustizia di riconoscergli lo status di rifugiato, motivato essenzialmente dal fatto che egli aveva diretto la NPA, responsabile di un gran numero di atti terroristici nelle Filippine, era stato sostanzialmente approvato dai giudici olandesi. Il Consiglio non ha pertanto commesso alcun errore di valutazione riferendosi a tali circostanze fattuali e il Tribunale, nella sua sentenza Sison II, ha respinto gli argomenti del sig. Sison a tal proposito.
Di conseguenza, considerata altresì la fondamentale importanza della lotta al terrorismo internazionale, la violazione commessa dal Consiglio si spiega con i vincoli e le responsabilità particolari che gravavano su tale istituzione e costituisce un’irregolarità che un’amministrazione normalmente prudente e diligente avrebbe potuto commettere in una situazione analoga.
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1 In particolare, il regolamento (CE) del Consiglio 15 giugno 2009, n. 501, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga la decisione 2009/62 (GU L 151, pag. 14), vigente all’epoca.
2 Sentenza del Tribunale 30 settembre 2009, causa T 341/07, Sison/Consiglio (v. anche CS n. 80/09).

Sentenza nella causa C-70/10 - Il diritto dell'Unione vieta un’ingiunzione di un giudice nazionale diretta ad imporre ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre un sistema di filtraggio per prevenire gli scaricamenti illegali di file

Sentenza nella causa C-70/10
Scarlet Extended SA / Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM)
Il diritto dell'Unione vieta un’ingiunzione di un giudice nazionale diretta ad imporre ad un fornitore di accesso ad Internet di predisporre un sistema di filtraggio per prevenire gli scaricamenti illegali di file
Un'ingiunzione di tale genere non rispetta il divieto di imporre a siffatto prestatore un obbligo generale di sorveglianza né l'esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà d'impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall'altro
Questa causa è scaturita da una controversia tra la Scarlet Extended SA, un fornitore di accesso a Internet, e la SABAM, una società di gestione belga incaricata di autorizzare l’utilizzo da parte di terzi delle opere musicali degli autori, dei compositori e degli editori.
Nel 2004 la SABAM ha scoperto che alcuni utenti di Internet che si avvalevano dei servizi della Scarlet scaricavano da Internet, senza autorizzazione e senza pagarne i diritti, opere contenute nel suo catalogo, utilizzando reti «peer-to-peer» (uno strumento aperto per la condivisione di contenuti, indipendente, decentralizzato e dotato di avanzate funzioni di ricerca e di scaricamento di file).
Su istanza della SABAM, il presidente del Tribunal de première instance de Bruxelles (Belgio) ha ordinato, a pena di ammenda, alla Scarlet, in qualità di fornitore di accesso ad Internet, di far cessare tali violazioni del diritto d’autore, rendendo impossibile ai suoi clienti qualsiasi forma di invio o di ricezione mediante un programma «peer to peer» di file che contenessero un’opera musicale appartenente al repertorio della SABAM.
La Scarlet ha interposto appello dinanzi alla Cour d'appel de Bruxelles, asserendo che l’ingiunzione non era conforme al diritto dell'Unione in quanto le imponeva, de facto, un obbligo generale di sorveglianza sulle comunicazioni che transitano sulla sua rete, circostanza a suo avviso incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico 1 e con i diritti fondamentali. In questo contesto, la Cour d'appel chiede alla Corte di giustizia se il diritto dell'Unione consenta agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale ad ingiungere ad un fornitore di accesso a Internet di predisporre, in modo generalizzato, a titolo preventivo, esclusivamente a spese di quest'ultimo e senza limiti nel tempo, un sistema di filtraggio delle comunicazioni elettroniche avente la finalità di identificare gli scaricamenti illegali di file.
Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda anzitutto che i titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere che sia emanata un'ordinanza nei confronti degli intermediari, come i fornitori di accesso a Internet, i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare i loro diritti. Le modalità delle ingiunzioni sono stabilite dal diritto nazionale. Tuttavia, dette norme nazionali devono rispettare le limitazioni derivanti dal diritto dell'Unione − in particolare, il divieto imposto dalla direttiva sul commercio elettronico alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete. A questo proposito, la Corte dichiara che l’ingiunzione in oggetto obbligherebbe la Scarlet a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. L’ingiunzione imporrebbe dunque une sorveglianza generalizzata, incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, siffatta ingiunzione non rispetterebbe neppure i diritti fondamentali applicabili.
Sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può desumersi né da tale Carta né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto.
Orbene, nella presente fattispecie, l’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio implica una sorveglianza, nell’interesse dei titolari di diritti d’autore, su tutte le comunicazioni elettroniche realizzate sulla rete del fornitore di accesso ad Internet coinvolto. Tale sorveglianza sarebbe peraltro illimitata nel tempo. Pertanto, un’ingiunzione di questo genere causerebbe una grave violazione della libertà di impresa della Scarlet, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e interamente a sue spese.
Per di più, gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero alla Scarlet, poiché il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi clienti, ossia i loro diritti alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Da un lato, infatti, è pacifico che tale ingiunzione implicherebbe un’analisi sistematica di tutti i contenuti, nonché la raccolta e l’identificazione degli indirizzi IP degli utenti che effettuano l’invio dei contenuti illeciti sulla rete, indirizzi che costituiscono dati personali. Dall’altro, detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito.
Pertanto, la Corte dichiara che, emettendo un’ingiunzione che costringa la Scarlet a predisporre un siffatto sistema di filtraggio, il giudice nazionale non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro.
La Corte risolve quindi la questione pregiudiziale dichiarando che il diritto dell'Unione vieta che sia rivolta ad un fornitore di accesso ad Internet un’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo.
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1 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (GU L 178, pag. 1).

Sentenza nella causa C-379/10 - È contraria al diritto dell’Unione la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati per i danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto medesimo

Sentenza nella causa C-379/10
Commissione / Italia
È contraria al diritto dell’Unione la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati per i danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto medesimo
L’esclusione ovvero la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado
Il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di risarcire i danni arrecati ai singoli a seguito di violazioni del diritto dell’Unione ad essi imputabili, a prescindere dall’organo da cui tale danno sia scaturito – principio che trova parimenti applicazione nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere giudiziario.
La necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce loro implica che la responsabilità dello Stato possa sorgere per violazione del diritto dell’Unione risultante dall’interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.
Nella specie, la Commissione sostiene che la legge italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati 1 è incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.
L’istituzione contesta all’Italia, da un lato, di avere escluso qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni causati a singoli qualora la violazione del diritto dell’Unione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuata da un siffatto organo e, dall’altro, di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.
Sull’esclusione della responsabilità dello Stato
La Corte rileva anzitutto che la legge italiana esclude in via generale la responsabilità dello Stato nei settori dell’interpretazione del diritto e della valutazione di fatti e di prove.
Orbene, come la Corte ha già avuto modo di affermare 2, il diritto dell’Unione osta ad una siffatta esclusione generale della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove operata dall’organo medesimo.
Inoltre e in particolare, la Corte rileva che l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana venga interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla.
Sulla limitazione della responsabilità dello Stato
La Corte rammenta che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: la norma giuridica violata dev’essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione dev’essere sufficientemente caratterizzata e tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto.
La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta 3. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.
Orbene, la Corte di giustizia rileva che la Commissione ha fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della «colpa grave», prevista dalla legge italiana, come interpretata dalla Corte di Cassazione italiana, si risolve nell’imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente». Per contro, l’Italia non è stata in grado di provare che l’interpretazione di tale legge ad opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia.
In conclusione, la Corte rileva che la normativa italiana, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell’Unione.
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1 Legge 13 aprile 1988, n. 117.
2 Sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo (v. parimenti comunicato stampa n. 49/06).

domenica 20 novembre 2011

Sentenza nelle cause riunite C-106/09 P e C-107/09 P

Sentenza nelle cause riunite C-106/09 P e C-107/09 P,
Commissione e Spagna / Government of Gibraltar e Regno Unito
Un regime fiscale concepito in maniera tale che le società offshore sfuggano all’imposizione costituisce un regime di aiuti di Stato incompatibile con il mercato interno
La Corte annulla, pertanto, la sentenza del Tribunale e conferma la decisione della Commissione di non autorizzare il Regno Unito ad attuare la proposta di riforma del sistema di tassazione delle imprese a Gibilterra del 2002
Nell’agosto del 2002 il Regno Unito ha notificato alla Commissione la riforma prevista dal governo di Gibilterra riguardante l’imposta sulle società 1. Tale riforma comprendeva, in particolare, l’abrogazione del precedente sistema fiscale e l’istituzione di tre imposte applicabili a tutte le imprese di Gibilterra: una tassa di registro, un’imposta sul monte salari e un’imposta sull’occupazione di beni immobili commerciali (business property occupation tax; in prosieguo: la «BPOT»), laddove l’onere impositivo corrispondente a queste ultime due era limitato al 15% degli utili.
Nel 2004 la Commissione ha deciso 2 che le proposte [notificate per la riforma del sistema di tassazione delle imprese a Gibilterra] costituivano un regime di aiuti di Stato incompatibile con il mercato interno e, di conseguenza, non potevano essere attuate. Secondo la Commissione, infatti, tre aspetti della riforma fiscale erano selettivi sul piano materiale: 1) la produzione di utili quale presupposto per l’assoggettamento all'imposta sul monte salari e alla BPOT, presupposto atto a favorire le imprese che non produrrebbero utili; 2) il limite del 15% degli utili applicato all'assoggettamento all’imposta sul monte salari e alla BPOT, limite che avvantaggia le imprese che, per l'esercizio fiscale in questione, avrebbero utili esigui rispetto al numero dei dipendenti e all'occupazione di immobili commerciali; 3) l’imposta sul monte salari e la BPOT, due imposte che favoriscono, per loro natura, le società «offshore» le quali non hanno un’effettiva presenza fisica a Gibilterra e, per questo, non sono debitrici dell’imposta sulle società. La Commissione ha considerato altresì che la riforma progettata era selettiva sul piano regionale, in quanto prevedeva un sistema in base al quale l’aliquota d’imposta delle società a Gibilterra era generalmente inferiore a quella applicata alle società del Regno Unito.
A seguito dei ricorsi proposti dal governo di Gibilterra e dal Regno Unito il Tribunale di primo grado ha annullato, il 18 dicembre 2008, la decisione della Commissione 3. Nella sua sentenza il Tribunale ha dichiarato, in particolare, che la Commissione non aveva seguito un metodo di analisi corretto riguardo alla selettività materiale della proposta di riforma. A giudizio del Tribunale, infatti, per provare la selettività del regime fiscale in causa, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che taluni dei suoi elementi avevano carattere derogatorio rispetto al regime fiscale comune o «normale» di Gibilterra. La Commissione non poteva, quindi, come invece ha fatto nella propria decisione, qualificare come selettive misure fiscali generali sulla base dei loro effetti. Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, che l’ambito di riferimento per valutare la selettività regionale della riforma corrispondesse esclusivamente ai confini del territorio di Gibilterra e non a quelli del Regno Unito. In tale contesto la Commissione e la Spagna hanno proposto le presenti impugnazioni presso la Corte di giustizia per l’annullamento della sentenza del Tribunale.
Nella sentenza odierna, la Corte dichiara che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando che la proposta di riforma tributaria non conferisce vantaggi selettivi alle società offshore.
La Corte considera, invero, che una pressione fiscale differente risultante dall’applicazione di un regime fiscale «generale» non può essere sufficiente, in sé, a dimostrare la selettività di un’imposizione. Nondimeno, a suo giudizio, tale selettività sussiste quando, come nella fattispecie, i criteri di imposizione prescelti da un regime fiscale sono idonei a caratterizzare le imprese beneficiarie in virtù delle proprietà loro peculiari quale categoria privilegiata.
La Corte constata che il regime fiscale di Gibilterra si caratterizza, segnatamente, per la combinazione dell’imposta sul monte salari e della BPOT quali criteri di imposizione unici che portano a un’imposizione che è funzione del numero dei dipendenti e delle dimensioni degli immobili commerciali occupati. Tuttavia, data l’assenza di altri criteri di imposizione, la combinazione di questi due criteri (fondati su elementi, in sé, generali) esclude a priori da qualsivoglia imposizione le società offshore, in quanto queste ultime non hanno dipendenti né occupano immobili commerciali. Tali criteri operano, quindi, una discriminazione tra società che si trovano in una situazione analoga sotto il profilo dell’obiettivo perseguito dalla proposta di riforma tributaria, che è quello di introdurre un sistema generale di tassazione per tutte le società stabilite a Gibilterra.
Di conseguenza, la Corte conclude che la circostanza che le società offshore sfuggano all’imposizione a Gibilterra non è una conseguenza casuale del regime di cui trattasi, bensì il risultato ineluttabile del fatto che le due imposte sulle società (in particolare, i loro criteri di imposizione) sono concepiti precisamente in modo che le società offshore, le quali per loro natura non hanno dipendenti né occupano immobili commerciali, sfuggano all’imposizione. Il fatto che le società offshore non siano tassate, proprio grazie alle caratteristiche peculiari a tale categoria di società, consente, quindi, di considerare che esse beneficiano di vantaggi selettivi.
In particolare, la Corte ricorda che, contrariamente al ragionamento del Tribunale, la qualificazione di un sistema fiscale come «selettivo» non dipende dal fatto che quest’ultimo sia concepito in maniera che le imprese siano assoggettate nel loro insieme agli stessi oneri fiscali, ma talune di esse godano di deroghe che concedono loro un vantaggio selettivo. Un tale modo di comprendere il criterio di selettività presupporrebbe che un regime fiscale, per poter esser qualificato come selettivo, sia concepito secondo una determinata tecnica regolamentare, con la conseguenza che talune norme tributarie nazionali sfuggirebbero immediatamente al controllo in materia di aiuti di Stato per il solo fatto di rientrare in un’altra tecnica regolamentare, benché producano i medesimi effetti.
Poiché la proposta di riforma tributaria è materialmente selettiva per il fatto di conferire vantaggi selettivi alle società offshore, la Corte ritiene che non occorra esaminare se la proposta di riforma sia selettiva sul piano territoriale.
Alla luce di quanto precede, la Corte decide di annullare la sentenza del Tribunale e di confermare la decisione della Commissione a termini della quale la proposta di riforma tributaria costituisce un regime di aiuti di Stato che il Regno Unito non è autorizzato a mettere in atto.
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1 La riforma oggetto delle presenti controversie non è, però, entrata in vigore.
2 Decisione della Commissione 30 marzo 2004, 2005/261/CE, relativa al regime di aiuti che il Regno Unito sta progettando di applicare in relazione alla riforma del sistema di tassazione delle imprese del governo di Gibilterra (GU 2005, L 85, pag. 1).
3 Sentenza nelle cause riunite T-211/04 e T-215/04, Government of Gibraltar e Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord/Commissione (cfr. comunicato stampa 99/08).

Qualora non sia noto il domicilio attuale di un consumatore, il giudice dell’ultimo domicilio noto può essere competente a conoscere di un’azione nei suoi confronti - Sentenza nella causa C-327/10

Sentenza nella causa C-327/10
Hypoteční banka a.s. /
Udo Mike Lindner
Qualora non sia noto il domicilio attuale di un consumatore, il giudice dell’ultimo domicilio noto può essere competente a conoscere di un’azione nei suoi confronti
L'impossibilità di localizzare il domicilio attuale del convenuto non deve privare l’attore del proprio diritto ad esercitare un’azione giurisdizionale
La banca ceca Hypoteční banka, e il sig. Lindner, cittadino tedesco, hanno concluso un contratto di mutuo ipotecario per il finanziamento dell’acquisto di un bene immobile. All’epoca della conclusione di tale mutuo, il sig. Lindner era domiciliato a Mariánské Láznĕ (Repubblica ceca) e, conformemente al contratto, era tenuto ad informare la banca di ogni mutamento di domicilio. Il contratto prevedeva inoltre, per le eventuali controversie, la competenza del giudice ordinario del luogo in cui si trovava la banca, determinato in base alla sua sede.
La banca ha agito dinanzi all'Okresní soud v Chebu (Tribunale distrettuale di Cheb, Repubblica ceca) affinché ingiungesse al sig. Lindner di versarle la somma di CZK 4 383 584,60 (circa EUR 175 214), maggiorata degli interessi di mora, per gli arretrati del mutuo. Il giudice ha rilevato che il sig. Lindner non era più domiciliato presso l’indirizzo indicato nel contratto e non è stato in grado di determinare il suo domicilio nella Repubblica ceca. Pertanto il giudice ceco si è rivolto alla Corte di giustizia chiedendo l’interpretazione del regolamento sulla competenza giurisdizionale 1 e, in particolare, chiedendo se questo ammetta una disposizione del diritto nazionale di uno Stato membro che consente che si svolga un procedimento contro una persona di cui è ignoto il domicilio.
Nell’odierna sentenza la Corte rileva, anzitutto, che il regolamento non definisce espressamente la competenza giurisdizionale quando il domicilio del convenuto non è noto.
Essa rammenta poi che, secondo il regolamento, l’azione dell’altra parte del contratto contro il consumatore può essere proposta solo davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore.
Se, tuttavia, il giudice nazionale non perviene ad identificare il domicilio del consumatore nel territorio nazionale, esso deve verificare se quest’ultimo sia domiciliato in un altro Stato membro dell’Unione europea. Nel caso in cui il giudice nazionale, da un lato, non sia in grado di individuare il domicilio del consumatore nel territorio dell’Unione e, dall’altro, non disponga di indizi probatori che gli consentano di ritenere che questi sia effettivamente domiciliato al di fuori dell’Unione, la regola secondo cui, in caso di controversia, il giudice competente è quello dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore deve essere intesa nel senso che essa riguarda non solo il domicilio attuale del consumatore, ma anche il suo ultimo domicilio conosciuto.
Infatti, una simile interpretazione del regolamento consente all’attore di individuare agevolmente il giudice al quale può rivolgersi e, al contempo, al convenuto di prevedere ragionevolmente quello dinanzi al quale può essere citato. Allo stesso modo, essa permette di evitare che l’impossibilità di localizzare il domicilio attuale del convenuto impedisca l’individuazione del giudice competente, circostanza che priverebbe l’attore del proprio diritto ad esercitare un’azione giurisdizionale. Inoltre, tale soluzione assicura un giusto equilibrio tra i diritti dell’attore e quelli del convenuto, quando quest’ultimo aveva l’obbligo di informare il primo di qualunque mutamento di indirizzo intervenuto successivamente alla sottoscrizione del contratto di credito immobiliare di lunga durata.
Di conseguenza, la Corte dichiara che, essendo nell’impossibilità di localizzare il domicilio attuale del sig. Lindner, i giudici cechi sono competenti a conoscere dell’azione intentata dalla banca nei suoi confronti.
Da ultimo, la Corte esamina la possibilità, prevista dal diritto ceco in simile ipotesi, di proseguire il procedimento all’insaputa del convenuto mediante la designazione di un tutore e la notifica della domanda giudiziale a quest’ultimo. La Corte rileva che, sebbene simili misure configurino una limitazione dei diritti della difesa, tale limitazione è tuttavia giustificata alla luce del diritto dell’attore ad una tutela effettiva. Difatti, in mancanza della designazione di un tutore al quale l’atto di citazione possa essere notificato, l’attore non potrebbe far valere tale diritto nei confronti di una persona senza domicilio noto. Nondimeno, la Corte conclude dichiarando che il giudice adito deve in ogni caso assicurarsi che sia stato fatto tutto il possibile per rintracciare la persona affinché quest'ultima possa presentare le proprie difese.
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1 Regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1).

Il Tribunale annulla la decisione della Commissione nella parte in cui essa infligge un’ammenda di EUR 2,37 milioni alla Stempher per il suo comportamento anticoncorrenziale sul mercato delle borse industriali di plastica

Sentenze nelle cause T-51/06, Fardem Packaging BV / Commissione, T-54/06, Kendrion NV / Commissione, cause riunite T-55/06 RKW SE / Commissione e T-66/06 JM Gesellschaft für industielle Beteiligungen mbH & Co. KGaA / Commissione, cause T-59/06 Low & Bonar plc e Bonar Technical Fabrics NV/ Commissione, T-68/06 Stempher BV e Koninklijke Verpakkingsindustrie Stempher CV/ Commissione, T-72/06 Groupe Gascogne SA/ Commissione, T-76/06 Plasticos Españoles SA (ASPLA) / Commissione, T-78/06 Álvarez SA / Commissione, T-79/06 Sachsa Verpackung GmbH/ Commissione
Il Tribunale annulla la decisione della Commissione nella parte in cui essa infligge un’ammenda di EUR 2,37 milioni alla Stempher per il suo comportamento anticoncorrenziale sul mercato delle borse industriali di plastica
Inoltre, il Tribunale riduce l’ammenda inflitta in solido alla Low & Bonar e alla Bonar Technical Fabrics, da un importo iniziale di EUR 12,24 milioni, a EUR 9,18 milioni e respinge i ricorsi proposti dalle altre società
Con decisione 30 novembre 2005 1, la Commissione ha inflitto un’ammenda superiore a EUR 290 milioni a diverse imprese per la loro partecipazione ad un’intesa sul mercato delle borse industriali di plastica. L’infrazione constatata dalla Commissione è consistita soprattutto nella fissazione dei prezzi e nella predisposizione di modelli comuni per calcolarli, nella ripartizione dei mercati, nell’assegnazione di quote di vendite, nella ripartizione di clienti, di ordini, di affari, e infine nello scambio di informazioni specifiche in Belgio, in Germania, in Spagna, in Francia, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi.
Talune imprese 2 hanno proposto dinanzi al Tribunale diversi ricorsi diretti ad annullare la decisione della Commissione o a ridurre le ammende che sono state loro inflitte.
Per quanto riguarda la società controllante Low & Bonar plc e la sua controllata Bonar Technical Fabrics NV (ex controllata di una filiale della società Bonar Phormium NV, ossia la Bonar Phormium Packaging – BPP), la Commissione aveva accertato come periodo di infrazione quello compreso tra il 13 settembre 1991 ed il 28 novembre 1997. Orbene, il Tribunale considera che la Commissione non ha dimostrato la partecipazione della BPP ad un’infrazione unica e continuata prima del 21 novembre 1997, atteso che essa non ha provato che la BPP sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con la sua partecipazione a talune riunioni precedenti, essa si associava ad un’intesa più ampia, estesa a diversi paesi europei. Di conseguenza, il Tribunale decide di concedere una riduzione del 25% dell’importo di partenza dell’ammenda. Pertanto, l’ammenda di importo iniziale pari a EUR 12,24 milioni è ridotta a EUR 9,18 milioni.
Per quanto riguarda la Stempher BV e la sua società accomandataria, la Koninklijke Verpakkingsindustrie Stempher CV (che costituiscono l’impresa Stempher), il Tribunale decide che la Commissione non ha prodotto prove precise e concordanti per fondare la ferma convinzione che la Stempher aveva continuato a partecipare alle attività illecite dopo il 20 giugno 1997. La regola della prescrizione quinquennale osta quindi a che la Commissione infligga un’ammenda a tale società. Poiché né nella sua decisione del 2005 né durante il procedimento dinanzi al Tribunale la Commissione ha dimostrato un interesse legittimo a far constatare l’esistenza di un’infrazione commessa dalla Stempher prima del 20 giugno 1997, il Tribunale decide di annullare la decisione della Commissione nella parte in cui essa infligge un’ammenda di EUR 2,37 milioni alla Stempher BV e alla Koninklijke Verpakkingsindustrie Stempher CV.
Infine, il Tribunale respinge l’insieme degli argomenti dedotti dalle altre società e decide, di conseguenza, di confermare l’importo delle ammende che sono state loro inflitte.
Cause
Società
Ammende inflitte dalla Commissione
Decisione del Tribunale
T-51/06
Fardem Packaging BV (Paesi Bassi)
In solido con la Kendrion NV (Paesi Bassi): fino a EUR 2,20 milioni su EUR 34 milioni inflitti alla Kendrion
Rigetto del ricorso:
ammenda confermata
T-54/06
Kendrion NV (Paesi Bassi)
EUR 34 milioni di cui EUR 2,20 milioni in solido con la Fardem Packaging BV (Paesi Bassi)
Rigetto del ricorso: ammenda confermata
Cause riunite T-55/06 e T-66/06
RKW SE (Germania) e JM Gesellschaft für industielle Beteiligungen mbH & Co. KGaA (Germania)
In solido: EUR 39 milioni
Rigetto del ricorso:
ammenda confermata
T-59/06
Low & Bonar plc. (Regno Unito) e Bonar Technical Fabrics NV (Belgio)
In solido: EUR 12,24 milioni
Riduzione dell’ammenda
EUR 9,18 milioni
T-68/06
Stempher BV (Paesi Bassi) e Koninklijke Verpakkingsindustrie Stempher CV (Paesi Bassi)
In solido: EUR 2,37 milioni
Annullamento della decisione della Commissione per quanto riguarda le due società
T-72/06
Groupe Gascogne SA (Francia)
In solido con la Sachsa Verpackung GmbH (Germania): EUR 9,9 milioni di EUR 13,2 milioni inflitti alla Sachsa
Rigetto del ricorso:
ammenda confermata
T-76/06
Plasticos Españoles SA (ASPLA) (Spagna)
In solido con la Armando Álvarez SA (Spagna): EUR 42 milioni
Rigetto del ricorso:
ammenda confermata
T-78/06
Armando Álvarez SA
In solido con la Plasticos
Rigetto del ricorso: (Spagna)
Españoles SA (ASPLA) (Spagna) : EUR 42 milioni
ammenda confermata
T-79/06
Sachsa Verpackung GmbH (Germania)
EUR 13,2 milioni di cui EUR 9,9 milioni In solido con il Groupe Gascogne (Francia)
Rigetto del ricorso:
ammenda confermata
______________________________
1 Decisione della Commissione 30 novembre 2005, C (2005) 4634 finale, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 81 [CE] (Caso COMP/F/38.354 – Borse industriali) (L 282, pag. 41).
2 Con sentenza 13 settembre 2010, il Tribunale ha respinto il ricorso proposto dalla Trioplast Wittenheim SA (Francia) (causa T-26/06). Con altra sentenza, pronunciata lo stesso giorno, il Tribunale ha deciso di annullare la decisione della Commissione nella parte in cui essa riguarda la Trioplast Industrier (Svezia) (causa T-40/06) e di ridurre l’importo dell’ammenda inflitta a tale società.
I ricorsi proposti dalla UPM-Kymmene Oyj (Finlandia) (causa T-53/06), dalla FLS Plast (Danimarca) (causa T-64/06) e dalla FLSmidth (Danimarca) (causa T-65/06) sono attualmente pendenti dinanzi al Tribunale. 

venerdì 4 novembre 2011

(C - 396/09) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - REGOLAMENTO (CE) N. 1346/2000 - PROCEDURE DI INSOLVENZA - COMPETENZA INTERNAZIONALE -

(C - 396/09) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - REGOLAMENTO (CE) N. 1346/2000 - PROCEDURE DI INSOLVENZA - COMPETENZA INTERNAZIONALE -
CENTRO DEGLI INTERESSI PRINCIPALI DEL DEBITORE - TRASFERIMENTO DELLA SEDE STATUARIA IN ALTRO STATO MEMBRO - NOZIONE DI "DIPENDENZA"
La Corte di Giustizia, adita dal Tribunale di Bari in merito all’interpretazione del regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, ha stabilito, tra l’altro, che il centro degli interessi principali di una società debitrice deve essere determinato privilegiando il luogo dell’amministrazione principale della società, sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi. Nel caso di un trasferimento della sede statutaria della società debitrice prima della proposizione della domanda di apertura di una procedura di insolvenza, si presume che il centro degli interessi principali si trovi presso la nuova sede statutaria della società. Per quanto riguarda la nozione di dipendenza ai sensi dell’art. 3, n. 2, regolamento, la Corte ha altresì affermato che essa richiede la presenza di una struttura implicante un minimo di organizzazione e una certa stabilità ai fini dell’esercizio di un’attività economica. La mera presenza di singoli beni o di conti bancari, pertanto, non corrisponde, in linea di principio, a tale definizione. Infine, in linea con la sua costante elaborazione giurisprudenziale [secondo cui l’esistenza di una norma di procedura nazionale non può rimettere in discussione la facoltà, spettante ai giudici nazionali non di ultima istanza, di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora essi nutrano dubbi in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza 5 ottobre 2010, causa C-173/09, Elchinov, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25)], la Corte di Giustizia ha precisato che Il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli deve attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 20 ottobre 2011

Nel procedimento C‑396/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Bari con decisione 6 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 13 ottobre 2009, nella causa

Interedil Srl, in liquidazione,

contro

Fallimento Interedil Srl,

Intesa Gestione Crediti SpA,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Safjan, A. Borg Barthet, M. Ilešič e dalla sig.ra M. Berger (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 gennaio 2011,

considerate le osservazioni presentate:

– per l’Interedil Srl, in liquidazione, dall’avv. P. Troianiello;

– per il Fallimento Interedil Srl, dall’avv. G. Labanca;

– per l’Intesa Gestione Crediti SpA, dall’avv. G. Costantino;

– per la Commissione europea, dal sig. N. Bambara e dalla sig.ra S. Petrova, in qualità di agenti;

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 marzo 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 3 del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure di insolvenza (GU L 160, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone la Interedil Srl, in liquidazione (in prosieguo: l’«Interedil»), al Fallimento Interedil Srl e all’Intesa Gestione Crediti SpA (in prosieguo: l’«Intesa»), nei cui diritti è subentrato l’Italfondario SpA, in merito ad un’azione di dichiarazione di fallimento promossa dall’Intesa nei confronti dell’Interedil.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3 Il regolamento è stato adottato sulla scorta, segnatamente, degli artt. 61, lett. c), CE e 67, n. 1, CE.

4 L’art. 2 del regolamento, dedicato alle definizioni, precisa quanto segue:

«Ai fini del presente regolamento si intende per:

a) “Procedura di insolvenza”, le procedure concorsuali di cui all’articolo 1, paragrafo 1. L’elenco di tali procedure figura nell’allegato A;

(...)

h) “Dipendenza”, qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani e con beni».

5 L’elenco di cui all’allegato A del regolamento menziona in particolare, per quanto riguarda l’Italia, la procedura di «fallimento».

6 L’art. 3 del regolamento, riguardante la competenza internazionale, dispone quanto segue:

«1. Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria.

2. Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio.

(...)».

7 Il tredicesimo ‘considerando’ del regolamento precisa che per «centro degli interessi principali si dovrebbe intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi».

Il diritto nazionale

8 L’art. 382 del codice di procedura civile italiano, relativo alla risoluzione delle questioni di giurisdizione da parte della Corte suprema di Cassazione, così recita:

«La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente (...)».

9 Dall’ordinanza di rinvio si evince che, secondo una giurisprudenza consolidata, la statuizione resa dalla Corte suprema di Cassazione, in base a tale disposizione, è definitiva e vincolante per il giudice investito del merito della causa.

Causa principale e questioni pregiudiziali

10 L’Interedil è stata costituita nella forma giuridica di società a responsabilità limitata di diritto italiano, con sede statutaria in Monopoli. Il 18 luglio 2001 essa ha trasferito la propria sede statutaria a Londra (Regno Unito) e in pari data è stata cancellata dal registro delle imprese dello Stato italiano. A seguito del trasferimento della sua sede l’Interedil è stata iscritta nel registro delle società del Regno Unito con la dicitura «FC» («Foreign Company», società estera).

11 Secondo le dichiarazioni dell’Interedil, come riportate nella decisione di rinvio, tale società ha posto in essere, contestualmente al trasferimento della propria sede, talune transazioni consistenti nella sua acquisizione da parte del gruppo britannico Canopus, oltre che nella negoziazione e nella conclusione di contratti di cessione d’azienda. Secondo l’Interedil, alcuni mesi dopo il trasferimento della sua sede statutaria la proprietà degli immobili da essa detenuti a Taranto è stata trasferita alla Windowmist Limited in quanto componenti dell’azienda trasferita. L’Interedil ha inoltre affermato di essere stata cancellata dal registro delle imprese del Regno Unito in data 22 luglio 2002.

12 Il 28 ottobre 2003 l’Intesa ha chiesto al Tribunale di Bari di avviare una procedura di fallimento dell’Interedil.

13 L’Interedil ha contestato la giurisdizione del citato giudice, poiché, a seguito del trasferimento della sua sede statutaria nel Regno Unito, solo i giudici di quest’ultimo Stato membro erano competenti ad aprire una procedura d’insolvenza. Il 13 dicembre 2003 l’Interedil ha chiesto una statuizione preliminare della Corte suprema di Cassazione in merito alla questione di giurisdizione.

14 Il 24 maggio 2004 il Tribunale di Bari, avendo ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione dei giudici italiani e avendo ritenuto accertato lo stato d’insolvenza dell’impresa in questione, ha dichiarato il fallimento dell’Interedil senza attendere la decisione della Corte suprema di Cassazione.

15 Il 18 giugno 2004 l’Interedil ha proposto impugnazione avverso la predetta sentenza dichiarativa di fallimento dinanzi al giudice del rinvio.

16 Il 20 maggio 2005 la Corte suprema di Cassazione ha statuito con ordinanza sul regolamento preventivo di giurisdizione, di cui era stata investita, dichiarando la giurisdizione dei giudici italiani. Essa ha ritenuto che la presunzione di cui all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, secondo cui il centro degli interessi principali corrisponde al luogo in cui si trova la sede statutaria, poteva essere superata in ragione di varie circostanze, vale a dire la presenza, in Italia, di beni immobili appartenenti all’Interedil, l’esistenza di un contratto di affitto relativo a due complessi alberghieri e di un contratto stipulato con un istituto bancario, nonché l’omessa comunicazione al registro delle imprese di Bari del trasferimento della sede statutaria.

17 Nutrendo dubbi quanto alla fondatezza di tale valutazione della Corte suprema di Cassazione alla luce dei criteri enucleati dalla Corte nella sua sentenza 2 maggio 2006, causa C‑341/04, Eurofood IFSC (Racc. pag. I‑3813), il Tribunale di Bari ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la nozione di “centro degli interessi principali del debitore” di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento (...) debba essere interpretata alla stregua dell’ordinamento comunitario, oppure dell’ordinamento nazionale e, in caso di risposta affermativa in ordine alla prima ipotesi, in che cosa consiste la detta nozione e quali sono i fattori o elementi determinanti per identificare il “centro degli interessi principali”.

2) Se la presunzione prevista dall’art. 3, n. 1, del regolamento (...) secondo cui “per le società si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”, sia superabile sulla base dell’accertamento di un’effettiva attività imprenditoriale nello Stato diverso da quello in cui si trova la sede statutaria della società, oppure, affinché possa ritenersi superata la detta presunzione, sia necessario accertare che la società non abbia svolto alcuna attività imprenditoriale nello Stato ove ha la propria sede statutaria.

3) Se l’esistenza, in uno Stato membro diverso da quello ove si trova la sede statutaria della società, di beni immobili della società, di un contratto di affitto relativo a due complessi alberghieri, stipulato dalla società debitrice con altra società, e di un contratto stipulato dalla società con un Istituto bancario siano elementi o fattori sufficienti a far ritenere superata la presunzione prevista dall’art. 3 del regolamento (...) a favore della “sede statutaria” della società e se tali circostanze siano sufficienti a far ritenere sussistente una “dipendenza” della società, ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento (...).

4) Se, nel caso in cui la statuizione sulla giurisdizione resa dalla Corte [suprema] di Cassazione con la richiamata ordinanza (...) si basi su un’interpretazione dell’art. 3 del regolamento (...) difforme da quella della Corte di giustizia della Comunità Europea, osti all’applicazione della detta disposizione comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia, l’art. 382 del codice di procedura civile italiano in base al quale la Corte [suprema] di Cassazione statuisce sulla giurisdizione in maniera definitiva e vincolante».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla competenza della Corte

18 La Commissione europea manifesta dubbi circa la competenza della Corte a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale. Essa rileva che la domanda stessa è stata proposta con ordinanza 6 luglio 2009, pervenuta alla Corte il 13 ottobre 2009. Ai sensi dell’art. 68, n. 1, CE, in vigore alla data da ultimo citata, solo le giurisdizioni nazionali avverso le cui decisioni non potesse proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno potevano adire la Corte in via pregiudiziale per ottenere un’interpretazione degli atti delle istituzioni della Comunità fondati sul titolo IV del Trattato CE. Orbene, mentre il regolamento è stato adottato sulla base degli artt. 61, lett. c), CE e 67, n. 1, CE, che fanno parte del titolo IV del Trattato, avverso le decisioni del giudice del rinvio, ad avviso della Commissione, può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno.

19 A tal proposito è sufficiente rilevare che l’art. 68 CE è venuto meno sin dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in data 1° dicembre 2009 e che la limitazione del diritto ad adire la Corte in via pregiudiziale, da esso prevista, è scomparsa. In applicazione dell’art. 267 TFUE, le giurisdizioni avverso le cui decisioni possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno dispongono, a partire da tale data, del diritto di adire la Corte in via pregiudiziale qualora si tratti di atti adottati nell’ambito del titolo IV del Trattato (v., in tal senso, sentenza 17 febbraio 2011, causa C‑283/09, Weryński, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 28 e 29).

20 Ai punti 30 e 31 della citata sentenza Weryński la Corte ha stabilito che, considerato l’obiettivo perseguito dall’art. 267 TFUE di cooperazione efficace fra la Corte e i giudici nazionali, nonché il principio dell’economia del procedimento, si deve ritenere che, successivamente al 1° dicembre 2009, essa è competente a conoscere di una domanda di pronuncia pregiudiziale proveniente da una giurisdizione avverso le cui decisioni possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno, e ciò anche qualora la domanda sia stata depositata prima di tale data.

21 La Corte è quindi in ogni caso competente a conoscere della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

Sulla relazione delle questioni pregiudiziali con la causa principale

22 Riprendendo una questione sollevata dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, l’Interedil ha affermato nel corso dell’udienza che, essendo stata cancellata dal registro delle società del Regno Unito nel mese di luglio 2002, essa ha cessato di esistere a tale data. Di conseguenza, la domanda di apertura di una procedura fallimentare proposta nei suoi riguardi nel mese di ottobre 2003 dinanzi al Tribunale di Bari sarebbe priva di oggetto e le questioni pregiudiziali sarebbero irricevibili.

23 Secondo una giurisprudenza costante, la Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo quando, in particolare, risulta manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta dal giudice nazionale non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto della causa principale, quando il problema è di natura teorica o, ancora, quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza 7 dicembre 2010, causa C‑439/08, VEBIC, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42 e giurisprudenza citata).

24 A tal proposito si deve rilevare che il regolamento si limita a uniformare le norme relative alla competenza internazionale, al riconoscimento delle decisioni e al diritto applicabile nell’ambito delle procedure di insolvenza con implicazioni transfrontaliere. La questione della ricevibilità di una domanda di dichiarazione di fallimento nei confronti di un debitore permane disciplinata dal diritto nazionale applicabile.

25 Emerge dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio che questo è stato informato dall’Interedil del fatto che tale società è stata cancellata dal registro delle società del Regno Unito nel mese di luglio 2002. Per contro, non emerge in alcun modo dalla decisione di rinvio che tale circostanza, secondo il diritto nazionale, sia tale da impedire l’avvio di una procedura fallimentare. Non può infatti escludersi che il diritto nazionale preveda la possibilità di aprire una siffatta procedura allo scopo di organizzare il pagamento dei creditori di una società disciolta.

26 Pertanto, non risulta in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta dal giudice nazionale non abbia alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale o che il problema abbia natura teorica.

27 L’eccezione di irricevibilità sollevata dall’Interedil deve pertanto essere respinta.

Sull’oggetto delle questioni pregiudiziali

28 I convenuti nella causa principale sostengono che le questioni sono irricevibili in ragione del loro oggetto. A loro avviso, la prima e la quarta questione non fanno emergere alcuna divergenza tra le disposizioni del diritto dell’Unione e la loro applicazione ad opera dei giudici nazionali, mentre la seconda e la terza questione esortano la Corte ad applicare le norme giuridiche dell’Unione al caso concreto di cui è investito il giudice del rinvio.

29 Nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, la Corte può pronunciarsi sull’interpretazione o sulla validità di una norma dell’Unione sulla base dei fatti che le sono indicati dal giudice nazionale, cui spetta applicare la norma stessa al caso concreto di cui è investito (v., in particolare, sentenza 7 settembre 2006, causa C‑149/05, Price, Racc. pag. I‑7691, punto 52 e giurisprudenza citata).

30 Orbene, le prime tre questioni vertono, in sostanza, sull’interpretazione da dare alla nozione di «centro degli interessi principali» del debitore, ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento. Alla luce del loro oggetto, tali questioni sono pertanto ricevibili.

31 La quarta questione verte sulla possibilità, per il giudice del rinvio, di discostarsi dalle valutazioni svolte da un giudice di grado superiore nell’ipotesi in cui ritenga, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte, che tali valutazioni non siano conformi al diritto dell’Unione. Tale questione, che ha ad oggetto il meccanismo del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, è quindi anch’essa ricevibile.

Sulla presunta assenza di giudizio pendente

32 I convenuti nella causa principale sostengono che la questione della giurisdizione dei giudici italiani quanto all’avvio di una procedura fallimentare è stata risolta dalla Corte suprema di Cassazione mediante una decisione che, a loro avviso, ha acquisito forza di giudicato. Essi ne deducono che non sussiste pertanto alcun «giudizio pendente» davanti al giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 267 TFUE, e che la domanda di pronuncia pregiudiziale è, pertanto, irricevibile.

33 Tale argomento deve essere esaminato unitamente alla quarta questione, con cui il giudice del rinvio intende chiarire in che limiti esso sia vincolato all’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte suprema di Cassazione.

Sulla quarta questione

34 Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale in forza della quale egli deve attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte da tale giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte.

35 La Corte ha già stabilito che l’esistenza di una norma di procedura nazionale non può rimettere in discussione la facoltà, spettante ai giudici nazionali non di ultima istanza, di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora essi nutrano dubbi, come nella causa principale, in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza 5 ottobre 2010, causa C‑173/09, Elchinov, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25).

36 Risulta da una giurisprudenza costante che la sentenza con la quale la Corte si pronuncia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale, per quanto concerne l’interpretazione o la validità degli atti delle istituzioni dell’Unione in questione, per la definizione della lite principale (v., in particolare, sentenza Elchinov, cit., punto 29).

37 Ne consegue che il giudice nazionale, che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’art. 267, secondo comma, TFUE, è vincolato, per la definizione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenza Elchinov, cit., punto 30).

38 Si deve a tal proposito sottolineare che, secondo una giurisprudenza costante, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme del diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contrastante, ossia, nel caso di specie, la norma nazionale di procedura di cui trattasi nella causa principale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in particolare, sentenza Elchinov, cit., punto 31).

39 Alla luce di quanto precede la quarta questione pregiudiziale deve essere risolta affermando che il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli debba attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte.

40 Per le stesse ragioni si deve respingere l’eccezione di irricevibilità formulata dai convenuti nella causa principale sulla base di una presunta assenza di giudizio.

Sulla prima parte della prima questione

41 Con la prima parte della prima questione, il giudice del rinvio chiede se la nozione di «centro degli interessi principali» del debitore, di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento, debba essere interpretata con riferimento al diritto dell’Unione o al diritto nazionale.

42 Secondo una costante giurisprudenza, dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità perseguita dalla normativa in questione (v., in particolare, sentenza 29 ottobre 2009, causa C‑174/08, NCC Construction Danmark, Racc. pag. I‑10567, punto 24 e giurisprudenza citata).

43 Per quanto concerne più precisamente la nozione di «centro degli interessi principali» del debitore di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento, la Corte ha stabilito, al punto 31 della sua citata sentenza Eurofood IFSC, che si tratta di una nozione propria al regolamento la quale, pertanto, presenta un significato autonomo e deve quindi essere interpretata in maniera uniforme e indipendente dalle legislazioni nazionali.

44 La prima parte della prima questione deve essere pertanto risolta affermando che la nozione di «centro degli interessi principali» del debitore, di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento, deve essere interpretata con riferimento al diritto dell’Unione.

Sulla seconda parte della prima questione, sulla seconda questione e sulla prima parte della terza questione

45 Con la seconda parte della prima questione, la seconda questione e la prima parte della terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, come debba essere interpretato l’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento al fine di determinare il centro degli interessi principali di una società debitrice.

46 Tenuto conto del fatto che, stando alle indicazioni contenute nella decisione di rinvio, l’Interedil ha trasferito la propria sede statutaria dall’Italia verso il Regno Unito nel corso del 2001, per poi essere cancellata dal registro delle società di quest’ultimo Stato membro nel corso del 2002, per fornire una risposta completa al giudice del rinvio si dovrà altresì precisare la data rilevante per stabilire il centro degli interessi principali del debitore al fine di individuare il giudice competente ad aprire la procedura di insolvenza principale.

I criteri rilevanti per la determinazione del centro degli interessi principali del debitore

47 Benché il regolamento non fornisca alcuna definizione della nozione di centro degli interessi principali del debitore, la portata di quest’ultima nozione è tuttavia chiarita, come rilevato dalla Corte al punto 32 della citata sentenza Eurofood IFSC, dal tredicesimo ‘considerando’ del regolamento, ai sensi del quale «per “centro degli interessi principali” si dovrebbe intendere il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi».

48 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 69 delle sue conclusioni, alla base della presunzione introdotta in favore della sede statutaria dall’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento e del riferimento effettuato, nel testo del suo tredicesimo ‘considerando’, al luogo della gestione degli interessi vi è la volontà del legislatore dell’Unione di privilegiare il luogo dell’amministrazione principale della società quale criterio di competenza.

49 Con riferimento al medesimo ‘considerando’, la Corte ha peraltro precisato, al punto 33 della citata sentenza Eurofood IFSC, che il centro degli interessi principali del debitore deve essere individuato in base a criteri al tempo stesso obiettivi e riconoscibili dai terzi, per garantire la certezza del diritto e la prevedibilità dell’individuazione del giudice competente ad aprire la procedura di insolvenza principale. Si deve ritenere che tale esigenza di obiettività e tale riconoscibilità risultino soddisfatte qualora gli elementi materiali presi in considerazione per stabilire il luogo in cui la società debitrice gestisce abitualmente i suoi interessi siano stati oggetto di una pubblicità o, quanto meno, siano stati circondati da una trasparenza sufficiente a far sì che i terzi - vale a dire, segnatamente, i creditori della società stessa - ne abbiano potuto avere conoscenza.

50 Ne consegue che, laddove gli organi direttivi e di controllo di una società si trovino presso la sua sede statutaria e le decisioni di gestione di tale società siano assunte, in maniera riconoscibile dai terzi, in detto luogo, trova piena applicazione la presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, secondo cui il centro degli interessi principali della società si trova in tale luogo. In un’ipotesi siffatta, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 69 delle sue conclusioni, è esclusa ogni diversa ubicazione degli interessi principali della società debitrice.

51 Un superamento della presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento è tuttavia possibile quando, dal punto di vista dei terzi, il luogo dell’amministrazione principale di una società non si trova presso la sede statutaria. Come stabilito dalla Corte al punto 34 della citata sentenza Eurofood IFSC, la presunzione semplice prevista dal legislatore dell’Unione a favore della sede statutaria di tale società può essere superata ove elementi obiettivi e riconoscibili da parte dei terzi consentano di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si presume corrispondere alla collocazione presso detta sede statutaria.

52 Tra gli elementi da prendersi in considerazione vi sono, segnatamente, tutti i luoghi in cui la società debitrice esercita un’attività economica e quelli in cui detiene beni, a condizione che tali luoghi siano visibili ai terzi. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle sue conclusioni, la valutazione richiesta in merito a tali elementi dev’essere svolta globalmente, tenendo conto delle circostanze peculiari di ciascuna situazione.

53 In tale contesto, la localizzazione in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria di beni immobili appartenenti alla società debitrice, con riferimento ai quali quest’ultima abbia concluso contratti di affitto, nonché l’esistenza, in questo stesso Stato membro, di un contratto stipulato con un istituto finanziario, circostanze queste richiamate dal giudice del rinvio, possono essere considerate elementi obiettivi e, tenuto conto della pubblicità che esse possono presentare, elementi riconoscibili dai terzi. Rimane il fatto che la presenza di attivi sociali nonché l’esistenza di contratti relativi alla loro gestione finanziaria in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerate elementi sufficienti a superare la presunzione introdotta dal legislatore dell’Unione solo a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di concludere che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in tale altro Stato membro.

La data rilevante ai fini della localizzazione del centro degli interessi principali del debitore

54 Occorre preliminarmente rilevare che il regolamento non contiene disposizioni esplicite riguardanti la peculiare ipotesi di un trasferimento del centro degli interessi del debitore. Dati i termini generali in cui è redatto l’art. 3, n. 1, del regolamento, si deve pertanto ritenere che sia l’ultimo luogo in cui si trova il centro stesso a dover essere considerato rilevante per determinare il giudice competente ad aprire una procedura di insolvenza principale.

55 Questa interpretazione è suffragata dalla giurisprudenza della Corte. Essa ha infatti stabilito che, nell’ipotesi di un trasferimento del centro degli interessi principali del debitore successivamente alla proposizione di una domanda di apertura di una procedura d’insolvenza, ma anteriormente all’apertura della procedura medesima, i giudici dello Stato membro nel cui territorio era situato il centro degli interessi principali al momento della proposizione della domanda restano competenti a statuire sulla medesima (sentenza 17 gennaio 2006, causa C‑1/04, Staubitz-Schreiber, Racc. pag. I‑701, punto 29). Se ne deve dedurre che, in linea di principio, è la localizzazione del centro degli interessi principali del debitore alla data di proposizione della domanda di apertura di una procedura d’insolvenza a rilevare per l’individuazione della giurisdizione competente.

56 Nel caso – come quello di cui alla causa principale – di un trasferimento della sede statutaria prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, è pertanto presso la nuova sede statutaria che, in conformità all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, si presume si trovi il centro degli interessi principali del debitore. Sono, di conseguenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova la nuova sede che, in linea di principio, divengono competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale, a meno che la presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, del regolamento non sia superata dalla prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria.

57 Le stesse regole devono trovare applicazione nell’eventualità in cui, alla data della proposizione della domanda di avvio della procedura di insolvenza, la società debitrice sia stata cancellata dal registro delle società e, come sostiene l’Interedil nelle sue osservazioni, abbia cessato ogni attività.

58 Infatti, come emerge dai punti 47‑51 di questa sentenza, la nozione di centro degli interessi principali riflette l’intento di stabilire un collegamento con il luogo con il quale la società presenta i più stretti rapporti, in termini obiettivi e in maniera visibile dai terzi. È quindi logico privilegiare, in una tale ipotesi, il luogo dell’ultimo centro degli interessi principali al momento della cancellazione della società debitrice e della cessazione di ogni attività da parte della stessa.

59 La seconda parte della prima questione, la seconda questione e la prima parte della terza questione devono pertanto essere risolte affermando che, per individuare il centro degli interessi principali di una società debitrice, l’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento deve essere interpretato nei termini seguenti:

– il centro degli interessi principali di una società debitrice deve essere individuato privilegiando il luogo dell’amministrazione principale di tale società, come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi. Qualora gli organi direttivi e di controllo di una società si trovino presso la sua sede statutaria e qualora le decisioni di gestione di tale società siano assunte, in maniera riconoscibile dai terzi, in tale luogo, la presunzione introdotta da tale disposizione non è superabile. Laddove il luogo dell’amministrazione principale di una società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di attivi sociali nonché l’esistenza di contratti relativi alla loro gestione finanziaria in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerate elementi sufficienti a superare tale presunzione solo a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in tale altro Stato membro;

– nel caso di un trasferimento della sede statutaria di una società debitrice prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, si presume che il centro degli interessi principali di tale società si trovi presso la nuova sede statutaria della medesima.

Sulla seconda parte della terza questione

60 Con la seconda parte della terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, come debba essere interpretata la nozione di «dipendenza» ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento.

61 Si deve rammentare in proposito che l’art. 2, lett. h), del regolamento definisce la nozione di dipendenza come relativa a qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore eserciti in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani e con beni.

62 Il fatto che tale definizione colleghi l’esercizio di un’attività economica alla presenza di risorse umane dimostra che sono necessarie un minimo di organizzazione e una certa stabilità. Ne consegue che, a contrario, la mera presenza di singoli beni o di conti bancari non soddisfa, in linea di principio, i requisiti necessari ai fini della qualificazione come «dipendenza».

63 Dal momento che, in conformità all’art. 3, n. 2, del regolamento, la presenza di una dipendenza nel territorio di uno Stato membro conferisce ai giudici di tale Stato membro la competenza ad aprire una procedura secondaria di insolvenza nei confronti del debitore, occorre ritenere che, per garantire la certezza del diritto e la prevedibilità quanto all’individuazione dei giudici competenti, l’esistenza di una dipendenza deve essere valutata, al pari della localizzazione del centro degli interessi principali, sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi.

64 La seconda parte della terza questione deve essere quindi risolta affermando che la nozione di «dipendenza» ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento deve essere interpretata nel senso che essa richiede la presenza di una struttura implicante un minimo di organizzazione e una certa stabilità ai fini dell’esercizio di un’attività economica. La mera presenza di singoli beni o di conti bancari non corrisponde, in linea di principio, a tale definizione.

Sulle spese

65 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1) Il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli deve attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte.

2) La nozione di «centro degli interessi principali» del debitore, di cui all’art. 3, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure di insolvenza, deve essere interpretata con riferimento al diritto dell’Unione.

3) Per individuare il centro degli interessi principali di una società debitrice, l’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 1346/2000 deve essere interpretato nei termini seguenti:

– il centro degli interessi principali di una società debitrice deve essere individuato privilegiando il luogo dell’amministrazione principale di tale società, come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili dai terzi. Qualora gli organi direttivi e di controllo di una società si trovino presso la sua sede statutaria e qualora le decisioni di gestione di tale società siano assunte, in maniera riconoscibile dai terzi, in tale luogo, la presunzione introdotta da tale disposizione non è superabile. Laddove il luogo dell’amministrazione principale di una società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di attivi sociali nonché l’esistenza di contratti relativi alla loro gestione finanziaria in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerate elementi sufficienti a superare tale presunzione solo a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, è situato in tale altro Stato membro;

– nel caso di un trasferimento della sede statutaria di una società debitrice prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, si presume che il centro degli interessi principali di tale società si trovi presso la nuova sede statutaria della medesima.

4) La nozione di «dipendenza» ai sensi dell’art. 3, n. 2, del medesimo regolamento deve essere interpretata nel senso che essa richiede la presenza di una struttura implicante un minimo di organizzazione e una certa stabilità ai fini dell’esercizio di un’attività economica. La mera presenza di singoli beni o di conti bancari non corrisponde, in linea di principio, a tale definizione.