domenica 22 gennaio 2012

Sentenza nella causa C-347/10 - I lavoratori occupati su piattaforme gassifere situate sul mare, sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro, sono in via di principio soggetti al diritto dell’Unione

Sentenza nella causa C-347/10
A. Salemink / Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen
I lavoratori occupati su piattaforme gassifere situate sul mare, sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro, sono in via di principio soggetti al diritto dell’Unione
Infatti, un lavoro svolto su piattaforme di trivellazione, nell’ambito di attività di esplorazione e/o di sfruttamento delle risorse naturali, dev’essere considerato, ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione, come svolto sul territorio di detto Stato
Il sig. Salemink, cittadino olandese, ha lavorato, a partire dal 1996, come infermiere e radiologo, su una piattaforma gassifera della Società Nederlandse Aardolie Maatschappij. Tale piattaforma si situa al di fuori dalle acque territoriali olandesi, sulla piattaforma continentale adiacente ai Paesi Bassi, a una distanza di circa 80 chilometri dalla costa olandese.
Mentre risiedeva nei Paesi Bassi, il sig. Salemink ha trasferito la sua residenza in Spagna, il 10 settembre 2004. Prima della sua partenza per la Spagna, il sig. Salemink era assicurato a titolo obbligatorio ai sensi della normativa olandese in materia di previdenza sociale, secondo cui la persona che svolge il suo impiego fuori dei Paesi Bassi non viene considerata come lavoratore subordinato, a meno che non risieda nei Paesi Bassi e anche il suo datore di lavoro risieda o abbia sede nel detto Stato. A causa del suo trasferimento in Spagna, il sig. Salemink non soddisfaceva più tale condizione di residenza e, di conseguenza, è stato escluso dall’assicurazione obbligatoria, in particolare da quella contro l’invalidità.
Dopo aver comunicato la sua malattia, il 24 ottobre 2006, il sig. Salemink ha chiesto, l’11 settembre 2007, un sussidio d’invalidità ai sensi della legge olandese sul lavoro e sul reddito in base alla capacità lavorativa, a decorrere dal 24 ottobre 2008.
Tale domanda non veniva accolta dall’Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen (Istituto di gestione delle assicurazioni per i lavoratori subordinati) in quanto il sig. Salemink, a partire dal suo trasferimento in Spagna, non era più assicurato a titolo obbligatorio (a partire dal 10 settembre 2004) e non poteva avere diritto ad un sussidio d’invalidità.
In tali circostanze, il Rechtbank Amsterdam (Tribunale di primo grado di Amsterdam, Paesi Bassi) chiede alla Corte di giustizia se il diritto dell’Unione osti a che un lavoratore, che lavori su un’installazione fissa situata sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro, non sia assicurato a titolo obbligatorio in detto Stato membro in forza della normativa nazionale solo perché risiede non in questo Stato ma in un altro Stato membro.
La Corte esamina anzitutto se il diritto dell’Unione si applichi alla situazione del sig. Salemink. A questo proposito essa ricorda come dal diritto internazionale del mare 1 risulti che lo Stato costiero esercita diritti sovrani sulla piattaforma continentale ai fini dell’esplorazione e dello sfruttamento delle sue risorse naturali. Tali diritti sono esclusivi nel senso che, se lo Stato costiero non esplora la piattaforma continentale o non ne sfrutta le risorse naturali, nessuno può effettuare tali attività senza il suo espresso consenso. Quanto alle isole artificiali, alle installazioni e alle strutture situate sulla piattaforma continentale, lo Stato costiero gode del diritto esclusivo di procedere alla loro costruzione nonché di autorizzare e disciplinare la loro costruzione, il loro sfruttamento e la loro utilizzazione. Lo Stato costiero ha quindi giurisdizione esclusiva su tali isole artificiali, installazioni e strutture.
Poiché la piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro rientra nella sua sovranità, benché funzionale e limitata, l’attività svolta su installazioni fisse o galleggianti situate su detta piattaforma continentale, nell’ambito dell’attività di esplorazione e/o dello sfruttamento delle sue risorse naturali, deve essere considerata, ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione, come un’attività svolta sul territorio di tale Stato.
Stabilita l’applicabilità del diritto dell’Unione, la Corte esamina inoltre se il diritto dell’Unione osti a che una persona, nella situazione del sig. Salemink, sia esclusa dal regime di assicurazione obbligatoria a seguito del trasferimento della sua residenza in Spagna.
A questo proposito, la Corte sottolinea come spetti alla normativa di ciascuno Stato membro determinare le condizioni dell’esistenza del diritto o dell’obbligo di iscriversi ad un regime previdenziale oppure ad un ramo particolare dello stesso. Se gli Stati membri conservano la loro competenza a disciplinare i presupposti d’iscrizione ai loro sistemi di previdenza sociale, nell’esercizio di tale competenza essi devono tuttavia rispettare il diritto dell’Unione. Da un lato, tali condizioni non possono produrre l’effetto di escludere dalla sfera di applicazione di una normativa nazionale le persone cui, in forza del diritto dell’Unione, tale normativa è applicabile. D’altro lato, i regimi d’iscrizione alle assicurazioni obbligatorie devono essere compatibili con le disposizioni concernenti la libera circolazione dei lavoratori.
Orbene, il diritto dell’Unione 2 stabilisce espressamente che la persona che esercita un’attività subordinata sul territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato «anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro». Tale diritto non sarebbe rispettato se il requisito della residenza imposto dalla normativa dello Stato membro nel territorio del quale l’attività subordinata è svolta, onde poter fruire del regime assicurativo obbligatorio da essa previsto, potesse essere opposto alle persone che lavorano sul territorio di detto Stato membro ma risiedono in un altro Stato membro. Per quanto concerne tali persone, il diritto dell’Unione fa sì che il requisito della residenza venga sostituito dalla condizione che si riferisce allo svolgimento dell’attività subordinata nel territorio dello Stato membro di cui trattasi.
Pertanto, una normativa nazionale che si basi sul criterio di residenza per determinare se un lavoratore, che svolge la sua attività su una piattaforma gassifera situata sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro, potrà o meno beneficiare di un’assicurazione obbligatoria nello stesso Stato risulta incompatibile con il diritto dell’Unione.
Inoltre, è giocoforza constatare che siffatta legislazione nazionale pone i lavoratori non residenti, come il sig. Salemink, in una situazione meno favorevole dei lavoratori residenti per quanto riguarda la loro copertura previdenziale nei Paesi Bassi e pregiudica in tal modo il principio di libera circolazione garantito dal diritto dell’Unione.
Pertanto la Corte risponde che il diritto dell’Unione osta a che un lavoratore che svolge le sue attività lavorative su un’installazione fissa situata sulla piattaforma continentale adiacente ad uno Stato membro non sia assicurato a titolo obbligatorio in detto Stato membro in forza della normativa nazionale di assicurazioni sociali solo perché egli risiede non in questo ma in un altro Stato membro.
_________________
1 La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a Montego Bay (Giamaica) il 10 dicembre 1982, entrata in vigore il 16 novembre 1984, notificata dal Regno dei Paesi Bassi il 28 giugno 1996 e approvata a nome della Comunità europea con decisione 98/392/CE del Consiglio, del 23 marzo 1998 (GU L 179, pag. 1).
2 Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento (CE) n. 118/97 del Consiglio, del 2 dicembre 1996, (GU 1997, L 28, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 1606/98 del Consiglio, del 29 giugno 1998 (GU L 209, pag. 1).

sabato 14 gennaio 2012

(C-411/10 E C-493/10) DIRITTO DELL'UNIONE - DIVIETO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI - SISTEMA EUROPEO COMUNE DI ASILO

(C-411/10 E C-493/10) DIRITTO DELL'UNIONE - DIVIETO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI - SISTEMA EUROPEO COMUNE DI ASILO
NOZIONE DI "PAESI SICURI" - TRASFERIMENTO DI UN RICHIEDENTE ASILO VERSO LO STATO MEMBRO COMPETENTE - OB BLIGO - PRESUNZIONE RELATIVA DI RISPETTO, DA PARTE DI TALE STATO MEMBRO, DEI DIRITTI FONDAMENTALI
La Corte di Giustizia – sollecitata in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E. dalla Corte d’Appello del Regno Unito e dall’Alta Corte dell’Irlanda - si è pronunciata sull’interpretazione del Regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che individua i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo, stabilendo che una persona richiedente asilo non può essere trasferita verso un altro Stato membro in cui rischia di subire trattamenti inumani e che il diritto dell’Unione non ammette una presunzione assoluta secondo la quale gli Stati membri rispettano i diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Gli Stati membri, pertanto, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro designato come competente quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo costituiscono motivi seri e comprovati per ritenere che l’istante corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A tale riguardo, secondo la Corte, gli Stati membri dispongono di strumenti adeguati per valutare il rispetto dei diritti fondamentali e i rischi realmente corsi da un richiedente asilo nel caso in cui venga trasferito verso lo Stato competente. Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del su citato Regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro dell’Unione europea che risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di tale Regolamento, impone allo Stato membro che doveva effettuare il trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente ad esaminare la domanda di asilo. È necessario, tuttavia, che lo Stato membro nel quale si trova il richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali del richiedente con una procedura di determinazione dello Stato membro competente che abbia una durata irragionevole. All’occorrenza, il predetto Stato è tenuto ad esaminare esso stesso la domanda, conformemente alle modalità previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 21 dicembre 2011

Nei procedimenti riuniti C‑411/10 e C‑493/10,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) e dalla High Court (Irlanda) con decisioni 12 luglio e 11 ottobre 2010, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 18 agosto e il 15 ottobre 2010, nei procedimenti

N. S. (causa C‑411/10)

contro

Secretary of State for the Home Department

e

M. E. (causa C‑493/10),

A. S. M.,

M. T.,

K. P.,

E. H.

contro

Refugee Applications Commissioner,

Minister for Justice, Equality and Law Reform,

con l’intervento di:

Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (UK) (causa C‑411/10),

United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) (UK) (causa C‑411/10),

Equality and Human Rights Commission (EHRC) (causa C‑411/10),

Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (IRL) (causa C‑493/10),

United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) (IRL) (causa C‑493/10),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J. N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot, J. Malenovský e U. Lõhmus, presidenti di sezione, dai sigg. A. Rosas (relatore), M. Ilešič, T. von Danwitz, A. Arabadjiev, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. J.‑J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 giugno 2011,

considerate le osservazioni presentate:

– per N. S., dalla sig.ra D. Rose, QC, dal sig. M. Henderson e dalla sig.ra A. Pickup, barristers, nonché dalla sig.ra S. York, Legal Officer;

– per M. E. e a., dai sigg. C. Power, BL, F. McDonagh, SC, e G. Searson, solicitor;

– per Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (UK) (causa C‑411/10), dai sigg. S. Cox e S. Taghavi, barristers, nonché dal sig. J. Tomkin, BL;

– per Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (IRL) (causa C‑493/10), dai sigg. B. Shipsey, SC, J. Tomkin, BL, e C. Ó Briain, solicitor;

– per l’Equality and Human Rights Commission (EHRC), dal sig. G. Robertson, QC, nonché dal sig. J. Cooper e dalla sig.ra C. Collier, solicitors;

– per l’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) (UK), dai sigg. R. Husain, QC, e R. Davies, solicitor, nonché dalle sig.re S. Knights e M. Demetriou, barristers;

– per l’Irlanda, dal sig. D. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra S. Moorhead, SC, e dal sig. D. Conlan Smyth, BL;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra C. Murrell, in qualità di agente, assistita dal sig. D. Beard, barrister;

– per il governo belga, dalla sig.ra C. Pochet e dal sig. T. Materne, in qualità di agenti;

– per il governo ceco, dai sigg. M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

– per il governo tedesco, dai sigg. T. Henze e N. Graf Vitzthum, in qualità di agenti;

– per il governo ellenico, dalle sig.re A. Samoni‑Rantou, M. Michelogiannaki, T. Papadopoulou, F. Dedousi e M. Germani, in qualità di agenti;

– per il governo francese, dal sig. G. de Bergues nonché dalle sig.re E. Belliard e B. Beaupère‑Manokha, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. M. Wissels e M. Noort, in qualità di agenti;

– per il governo austriaco, dal sig. G. Hesse, in qualità di agente;

– per il governo polacco, dai sigg. M. Arciszewski, B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti;

– per il governo sloveno, dalle sig.re N. Aleš Verdir e V. Klemenc, in qualità di agenti;

– per il governo finlandese, dal sig. J. Heliskoski, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dalla sig.ra M. Condou‑Durande nonché dai sigg. M. Wilderspin e H. Kraemer, in qualità di agenti;

– per la Confederazione svizzera, dal sig. O. Kjelsen, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Le due domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione, in primo luogo, dell’art. 3, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1); in secondo luogo, dei diritti fondamentali dell’Unione europea, compresi i diritti enunciati agli artt. 1, 4, 18, 19, n. 2, e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), e, in terzo luogo, del Protocollo (n. 30) sull’applicazione della Carta alla Polonia e al Regno Unito [(GU 2010, C 83, pag. 313); in prosieguo: il «Protocollo (n. 30)»].

2 Dette domande sono state sollevate nell’ambito di una serie di controversie tra richiedenti asilo da rinviare in Grecia in applicazione del regolamento n. 343/2003 e le autorità, rispettivamente, del Regno Unito e irlandesi.

Contesto normativo

Il diritto internazionale

3 La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954 ed è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967 (in prosieguo: il «Protocollo del 1967»), entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

4 Tutti gli Stati membri sono parti contraenti della Convenzione di Ginevra e del Protocollo del 1967, così come la Repubblica d’Islanda, il Regno di Norvegia, la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein. L’Unione non è parte contraente della Convenzione di Ginevra e neppure del Protocollo del 1967, ma l’art. 78 TFUE e l’art. 18 della Carta prevedono che il diritto di asilo sia garantito, in particolare, nel rispetto di detta convenzione e di detto protocollo.

5 L’art. 33 della Convenzione di Ginevra, rubricato «Divieto di espulsione e di rinvio al confine», stabilisce, al suo n. 1, quanto segue:

«Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

Il sistema europeo comune di asilo

6 Al fine di realizzare l’obiettivo, fissato dal Consiglio europeo di Strasburgo dell’8 e 9 dicembre 1989, di un’armonizzazione delle loro politiche di asilo, gli Stati membri hanno firmato a Dublino, il 15 giugno 1990, la Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee (GU 1997, C 254, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Dublino»). Detta convenzione è entrata in vigore il 1° settembre 1997 per i dodici Stati firmatari iniziali, il 1° ottobre 1997 per la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia e il 1° gennaio 1998 per la Repubblica di Finlandia.

7 Le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 prevedevano, in particolare, l’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra, in modo da garantire che nessuno sarebbe stato rinviato in luogo in cui rischiava di essere nuovamente perseguitato, in ottemperanza al principio di non respingimento.

8 Il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 ha introdotto l’art. 63 nel Trattato CE, che dava competenza alla Comunità europea per adottare le misure raccomandate dal Consiglio europeo di Tampere. Questo trattato ha altresì accluso al Trattato CE il Protocollo (n. 24) sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea (GU 2010, C 83, pag. 305), a termini del quale tali Stati si considerano reciprocamente paesi di origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo.

9 L’adozione dell’art. 63 CE ha permesso, in particolare, di sostituire, tra gli Stati membri eccetto il Regno di Danimarca, la Convenzione di Dublino con il regolamento n. 343/2003, il quale è entrato in vigore il 17 marzo 2003. Su questo fondamento giuridico sono state adottate altresì le direttive applicabili ai procedimenti principali, finalizzate all’istituzione del regime europeo comune in materia di asilo previsto dalle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere.

10 In seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona le disposizioni pertinenti in materia di asilo sono gli artt. 78 TFUE, che prevede l’istituzione di un sistema europeo comune di asilo, e 80 TFUE, che ricorda il principio di solidarietà e di ripartizione equa delle responsabilità tra gli Stati membri.

11 La normativa dell’Unione rilevante per i procedimenti principali comprende:

– il regolamento n. 343/2003;

– la direttiva del Consiglio 27 gennaio 2003, 2003/9/CE, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18);

– la direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; rettifica in GU 2005, L 204, pag. 24);

– la direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13; rettifica in GU 2006, L 236, pag. 36).

12 Occorre menzionare, inoltre, la direttiva del Consiglio 20 luglio 2001, 2001/55/CE, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (GU L 212, pag. 12). Come risulta dal suo ventesimo ‘considerando’, uno degli obiettivi di detta direttiva è prevedere un sistema di solidarietà inteso a promuovere l’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi in caso di afflusso massiccio.

13 La registrazione dei dati relativi alle impronte digitali degli stranieri che attraversano illegalmente una frontiera esterna dell’Unione permette di determinare lo Stato membro competente per una domanda di asilo. Tale registrazione è stata introdotta con il regolamento (CE) del Consiglio 11 dicembre 2000, n. 2725, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della Convenzione di Dublino (GU L 316, pag. 1).

14 Il regolamento n. 343/2003 e le direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 fanno riferimento, rispettivamente al primo ‘considerando’, al fatto che una politica comune nel settore dell’asilo, che preveda un regime europeo comune in materia di asilo, costituisce un elemento fondamentale dell’obiettivo dell’Unione di istituire progressivamente uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nella Comunità. Essi fanno altresì riferimento, rispettivamente al secondo ‘considerando’, alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere.

15 Ciascuno di tali testi indica di rispettare i diritti fondamentali e di osservare i principi che sono riconosciuti, segnatamente, dalla Carta. In particolare, il quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 343/2003 precisa che esso mira ad assicurare la piena osservanza del diritto di asilo garantito all’art. 18 della Carta; il quinto ‘considerando’ della direttiva 2003/9 enuncia che, in particolare, questa direttiva mira a garantire il pieno rispetto della dignità umana e a favorire l’applicazione degli artt. 1 e 18 della Carta, e il decimo ‘considerando’ della direttiva 2004/83 precisa che essa mira segnatamente ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana e il diritto di asilo dei richiedenti asilo nonché dei familiari al loro seguito.

16 A termini del suo art. 1, il regolamento n. 343/2003 stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.

17 L’art. 3, nn. 1 e 2, di detto regolamento prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri esaminano la domanda di asilo di un cittadino di un paese terzo presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2. In deroga al paragrafo 1, ciascuno Stato membro può esaminare una domanda d’asilo presentata da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento. In tale ipotesi, detto Stato membro diventa lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Eventualmente, esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente asilo».

18 Al fine di permettere di determinare lo «Stato membro competente» ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003, il capo III di quest’ultimo enuncia una serie di criteri obiettivi, elencati in ordine gerarchico, relativi ai minori non accompagnati, al nucleo familiare, al rilascio di un permesso di soggiorno o di un visto, all’ingresso illegale o al soggiorno illegale in uno Stato membro, all’ingresso legale in uno Stato membro e alle domande presentate in un’area di transito internazionale di un aeroporto.

19 L’art. 13 del medesimo regolamento dispone che, ove nessuno Stato membro possa essere designato sulla base della gerarchia dei criteri, competente a esaminare la domanda di asilo è, per difetto, il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata.

20 Conformemente all’art. 17 del regolamento n. 343/2003, lo Stato membro che ha ricevuto una domanda d’asilo e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può interpellare tale Stato membro affinché prenda in carico il richiedente asilo nel più breve termine possibile.

21 L’art. 18, n. 7, di detto regolamento stabilisce che la mancata risposta, da parte dello Stato membro richiesto, entro il termine di due mesi, o di un mese se è invocata l’urgenza, equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo, per tale Stato membro, di prendere in carico la persona interessata, comprese le disposizioni appropriate all’arrivo della stessa.

22 L’art. 19 del regolamento n. 343/2003 così recita:

«1. Quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere in carico il richiedente asilo, lo Stato membro nel quale la domanda d’asilo è stata presentata notifica al richiedente asilo la decisione di non esaminare la domanda e l’obbligo del trasferimento del richiedente verso lo Stato membro competente.

2. La decisione menzionata al paragrafo 1 è motivata. Essa è corredata dei termini relativi all’esecuzione del trasferimento e contiene, se necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui il richiedente deve presentarsi, nel caso si rechi nello Stato membro competente con i propri mezzi. La decisione può formare oggetto di ricorso o revisione. Il ricorso o la revisione della decisione non ha effetto sospensivo ai fini dell’esecuzione del trasferimento eccetto quando il giudice o l’organo giurisdizionale competente decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente.

(…)

4. Se il trasferimento non avviene entro sei mesi, la competenza ricade sullo Stato membro nel quale è stata presentata la domanda d’asilo. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione del richiedente asilo, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora il richiedente asilo si sia reso irreperibile.

(…)».

23 Il Regno Unito partecipa all’applicazione dei regolamenti e di ciascuna delle quattro direttive menzionate ai punti 11‑13 della presente sentenza. L’Irlanda, al contrario, partecipa all’applicazione dei regolamenti e delle direttive 2004/83, 2005/85 e 2001/55, ma non della direttiva 2003/9.

24 Il Regno di Danimarca è vincolato dall’accordo che ha concluso con la Comunità europea il quale estende alla Danimarca le disposizioni del regolamento n. 343/2003 e del regolamento n. 2725/2000, approvato con la decisione del Consiglio 21 febbraio 2006, 2006/188/CE (GU L 66, pag. 37). Non è vincolato dalle direttive citate al punto 11 della presente sentenza.

25 La Comunità ha concluso altresì un accordo con la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia sui criteri e i meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno Stato membro, in Islanda o in Norvegia, approvato con la decisione del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/258/CE (GU L 93, pag. 38).

26 La Comunità ha del pari concluso un accordo con la Confederazione svizzera relativo ai criteri e ai meccanismi che permettono di determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo introdotta in uno degli Stati membri o in Svizzera, approvato con la decisione del Consiglio 28 gennaio 2008, 2008/147/CE (GU L 53, pag. 3), nonché il Protocollo, con la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein, all’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera relativo ai criteri e ai meccanismi che permettono di determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo introdotta in uno degli Stati membri o in Svizzera, approvato con la decisione del Consiglio 24 ottobre 2008, 2009/487/CE (GU 2009, L 161, pag. 6).

27 La direttiva 2003/9 stabilisce norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Dette norme concernono, in particolare, gli obblighi relativi alle informazioni da fornire ai richiedenti asilo nonché alla documentazione che deve essere loro rimessa, le decisioni che possono essere adottate dagli Stati membri in merito al soggiorno e alla circolazione dei richiedenti asilo sul loro territorio, i nuclei familiari, gli esami medici, la scolarizzazione e l’istruzione dei minori, il lavoro dei richiedenti asilo e il loro accesso alla formazione professionale, le disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all’assistenza sanitaria dei richiedenti, le modalità relative alle condizioni di accoglienza e l’assistenza sanitaria che devono essere accordate ai richiedenti asilo.

28 Detta direttiva introduce altresì l’obbligo di controllare il livello delle condizioni di accoglienza nonché la possibilità di esercitare un ricorso in ordine alle materie e alle decisioni rientranti nella direttiva medesima. Essa contiene, inoltre, regole sulla formazione delle autorità e sulle risorse necessarie per l’applicazione delle disposizioni nazionali adottate in sua attuazione.

29 La direttiva 2004/83 stabilisce norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o ad apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. Il suo capo II contiene diverse disposizioni che indicano come valutare le domande. Il capo III elenca i requisiti per essere considerato rifugiato. Il capo IV è relativo allo status di rifugiato. I capi V e VI trattano dei requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria e dello status da essa conferito. Il capo VII comprende diverse disposizioni che definiscono il contenuto della protezione internazionale. A termini dell’art. 20, n. 1, di detta direttiva, le disposizioni di quest’ultimo capo non pregiudicano i diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra.

30 La direttiva 2005/85 precisa i diritti dei richiedenti asilo e le procedure di esame delle domande.

31 L’art. 36 della direttiva 2005/85, rubricato «Concetto di paesi terzi europei sicuri», enuncia al suo n. 1 quanto segue:

«Gli Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di asilo e della sicurezza del richiedente stesso relativamente alle sue condizioni specifiche, secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base agli elementi disponibili, che il richiedente asilo sta cercando di entrare o è entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del paragrafo 2».

32 Le condizioni previste in detto paragrafo 2 riguardano, in particolare:

– la ratifica della Convenzione di Ginevra e il rispetto delle sue disposizioni;

– l’esistenza di una procedura di asilo prescritta per legge;

– la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), e l’osservanza delle sue disposizioni, comprese le norme riguardanti i rimedi effettivi.

33 L’art. 39 della direttiva 2005/85 indica in quali casi vi è il diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi ai giudici degli Stati membri. Il suo n. 1, lett. a), iii), menziona le decisioni di non procedere ad un esame a norma dell’art. 36 della medesima direttiva.

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

La causa C‑411/10

34 N.S., ricorrente nel procedimento principale, è un cittadino afgano giunto nel Regno Unito transitando, in particolare, per la Grecia. In tale ultimo Stato egli è stato oggetto di una misura di arresto il 24 settembre 2008, ma non ha presentato domanda di asilo.

35 A suo dire, le autorità greche lo avevano messo in detenzione per quattro giorni e, al momento del rilascio, gli avevano notificato un ordine di lasciare il territorio greco entro 30 giorni. Mentre cercava di lasciare la Grecia, egli sarebbe stato arrestato dalla polizia e respinto in Turchia, dove sarebbe stato detenuto, per due mesi, in condizioni penose. Sarebbe indi evaso dal suo luogo di detenzione in Turchia e, a partire da tale Stato, sarebbe arrivato nel Regno Unito, il 12 gennaio 2009, presentandovi il giorno stesso domanda di asilo.

36 Il 1º aprile 2009 il Secretary of State for the Home Department (in prosieguo: il «Secretary of State») chiedeva alla Repubblica ellenica, in base a quanto previsto dall’art. 17 del regolamento n. 343/2003, di prendere in carico il ricorrente nel procedimento principale per l’esame della sua domanda di asilo. La Repubblica ellenica non rispondeva alla richiesta entro il termine fissato all’art. 18, n. 7, di detto regolamento, cosicché, ai sensi di questa stessa disposizione, il suo silenzio veniva equiparato al riconoscimento da parte sua, il 18 giugno 2009, della propria competenza per l’esame della domanda del ricorrente.

37 Il 30 luglio 2009 il Secretary of State informava il ricorrente nel procedimento principale che erano state impartite istruzioni circa il suo trasferimento in Grecia il 6 agosto 2009.

38 Il 31 luglio 2009 il Secretary of State comunicava al ricorrente nel procedimento principale una decisione nella quale si attestava che, conformemente all’allegato 3, Parte 2, punto 5, n. 4, della legge del 2004 sull’asilo e l’immigrazione (trattamento dei richiedenti e altri aspetti) [Asylum and Immigration (Treatment of Claimants, ecc.) Act 2004; in prosieguo: la «legge del 2004 sull’asilo»], la sua denuncia secondo la quale il suo trasferimento in Grecia avrebbe comportato una violazione dei diritti garantitigli dalla CEDU era manifestamente infondata, essendo la Repubblica ellenica iscritta nell’«elenco dei paesi sicuri» di cui alla Parte 2 dell’allegato 3 alla legge del 2004 sull’asilo.

39 Tale decisione di attestazione aveva come conseguenza, ai sensi del punto 5, n. 4, della Parte 2 dell’allegato 3 alla legge del 2004 sull’asilo, che il ricorrente nel procedimento principale non aveva la possibilità di proporre nel Regno Unito un ricorso in materia di immigrazione («immigration appeal»), con effetto sospensivo, contro la decisione del suo trasferimento in Grecia, possibilità che gli sarebbe spettata in assenza di tale decisione di attestazione.

40 Il 31 luglio 2009 il ricorrente nel procedimento principale chiedeva al Secretary of State di assumere la competenza per l’esame della sua domanda d’asilo ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, con l’argomento che un suo rinvio in Grecia rischiava di compromettere i suoi diritti fondamentali garantiti dal diritto dell’Unione, dalla CEDU e/o dalla Convenzione di Ginevra. Con lettera del 4 agosto 2009 il Secretary of State confermava sia la decisione di trasferimento in Grecia del ricorrente nel procedimento principale sia la decisione con cui la sua denuncia basata sulla CEDU era stata ritenuta manifestamente infondata.

41 Il 6 agosto 2009 il ricorrente nel procedimento principale chiedeva di essere ammesso a presentare ricorso giurisdizionale («judicial review») contro le decisioni del Secretary of State. Quest’ultimo annullava, di conseguenza, le disposizioni impartite per il suo trasferimento. Il 14 ottobre 2009 il ricorrente veniva ammesso a proporre detto ricorso.

42 Il ricorso veniva esaminato dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court), dal 24 al 26 febbraio 2010. Con sentenza 31 marzo 2010 il giudice Cranston lo respingeva, ma autorizzava il ricorrente nel procedimento principale a interporre appello dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division).

43 Il ricorrente nel procedimento principale proponeva impugnazione dinanzi a quest’ultimo organo giurisdizionale il 21 aprile 2010.

44 Risulta dalla decisione di rinvio, nella quale detto giudice fa riferimento alla sentenza della High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court), che:

– le procedure di asilo in Grecia presenterebbero gravi carenze: i richiedenti incontrerebbero numerose difficoltà per adempiere le formalità necessarie, non riceverebbero informazioni e assistenza sufficienti e le loro domande non sarebbero esaminate con attenzione;

– i casi di concessione di asilo in Grecia sarebbero rarissimi;

– i mezzi di ricorso giurisdizionale sarebbero ivi insufficienti e di difficilissimo accesso;

– le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo sarebbero ivi inappropriate: o i richiedenti sarebbero detenuti in condizioni inadeguate o vivrebbero in miseria all’addiaccio, senza tetto e senza cibo.

45 La High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) ha considerato che i rischi di respingimento dalla Grecia verso l’Afghanistan e la Turchia non sono dimostrati per quanto riguarda le persone rinviate ai sensi del regolamento n. 343/2003, ma il ricorrente nel procedimento principale ha contestato tale valutazione dinanzi al giudice a quo.

46 Dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) il Secretary of State ha ammesso che «i diritti fondamentali enunciati nella Carta po[tevano] essere invocati contro il Regno Unito e (...) che l’Administrative Court ha commesso un errore dichiarando il contrario». La Carta semplicemente riaffermerebbe diritti che già costituiscono parte integrante del diritto dell’Unione e non creerebbe diritti nuovi. Tuttavia, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) avrebbe a torto statuito che il Secretary of State aveva l’obbligo di prendere in considerazione i diritti fondamentali dell’Unione allorché esercita potere discrezionale che gli attribuisce l’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003. Secondo il Secretary of State, tale potere discrezionale non rientrerebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

47 In subordine, il Secretary of State ha sostenuto che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali dell’Unione non esige che esso prenda in considerazione gli elementi volti a provare che, in caso di rinvio in Grecia, il ricorrente rischierebbe seriamente di subire una violazione dei diritti fondamentali garantitigli dall’Unione. Ciò perché l’economia del regolamento n. 343/2003 gli conferirebbe la facoltà di muovere dalla presunzione assoluta che la Grecia (o qualunque altro Stato membro) adempierà gli obblighi ad essa imposti dal diritto dell’Unione.

48 Infine, il ricorrente nel procedimento principale ha asserito, dinanzi al giudice del rinvio, che la tutela conferita dalla Carta era superiore e più ampia, in particolare, di quella garantita dall’art. 3 della CEDU, ciò che potrebbe condurre ad un diverso esito della presente controversia.

49 Nell’udienza del 12 luglio 2010 il giudice del rinvio ha statuito che, per poter decidere sull’appello, era necessario prendere posizione su talune questioni di diritto dell’Unione.

50 La Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha perciò deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la decisione adottata da uno Stato membro ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento (...) n. 343/2003 di esaminare o meno una domanda di asilo benché tale esame non gli competa in base ai criteri stabiliti nel capo III del regolamento rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea ai fini dell’art. 6 [TUE] e/o dell’art. 51 della [Carta].

In caso di soluzione positiva della prima questione:

2) Se l’obbligo di uno Stato membro di osservare i diritti fondamentali dell’Unione europea (inclusi i diritti stabiliti agli artt. 1, 4, 18, 19, n. 2, e 47 della Carta) sia assolto allorché tale Stato invii il richiedente asilo nello Stato membro che l’art. 3, n. 1, [del regolamento n. 343/2003] designa come lo Stato competente conformemente ai criteri stabiliti nel capo III del [medesimo] regolamento, indipendentemente dalla situazione in tale Stato competente.

3) In particolare, se l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali dell’Unione osti all’applicazione di una presunzione assoluta nel senso che lo Stato competente osserverà (i) i diritti fondamentali del richiedente asilo ai sensi del diritto dell’Unione e/o (ii) le norme minime imposte dalle direttive 2003/9 (...), 2004/83 (...) e/o 2005/85 (...).

4) In subordine, se uno Stato membro sia obbligato dal diritto dell’Unione e, in caso di soluzione affermativa, in quali circostanze, ad esercitare la facoltà prevista all’art. 3, n. 2, del regolamento [n. 343/2003] assumendo la competenza per l’esame di una domanda di asilo, allorché il trasferimento allo Stato responsabile esporrebbe il richiedente asilo ad un rischio di violazione dei suoi diritti fondamentali, in particolare dei diritti stabiliti agli artt. 1, 4, 18, 19, n. 2, e/o 47 della Carta, e/o al rischio che non gli siano applicate le norme minime stabilite nelle direttive [2003/9, 2004/83 e 2005/85].

5) Se l’ambito della protezione attribuita, ad una persona alla quale è applicabile il regolamento [n. 343/2003], dai principi generali del diritto dell’Unione e, in particolare, dai diritti stabiliti agli artt. 1, 18 e 47 della Carta sia più ampio della protezione attribuita dall’art. 3 della [CEDU].

6) Se sia compatibile con i diritti stabiliti all’art. 47 della Carta che una disposizione di diritto nazionale imponga ad un organo giurisdizionale, al fine di determinare se una persona possa essere legalmente espulsa verso un altro Stato membro in conformità del regolamento [n. 343/2003], di considerare detto Stato membro come uno Stato dal quale la persona non sarà inviata in un altro Stato in violazione dei suoi diritti scaturenti dalla CEDU o dalla Convenzione [di Ginevra] e dal Protocollo del 1967 (...).

7) Per la parte in cui le precedenti questioni concernono obblighi del Regno Unito, se le soluzioni delle questioni seconda‑sesta debbano comunque tener conto del Protocollo (n. 30) (...)».

La causa C‑493/10

51 Il procedimento principale concerne cinque ricorrenti, senza legami reciproci, originari dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Algeria. Ciascuno di loro è transitato per il territorio greco e vi è stato arrestato per ingresso illegale. Essi si sono successivamente recati in Irlanda, dove hanno chiesto asilo. Tre di loro hanno presentato tale domanda senza rivelare la loro previa presenza sul territorio greco, mentre i restanti due hanno ammesso la loro precedente presenza in Grecia. Il sistema Eurodac ha confermato che tutti i cinque ricorrenti erano precedentemente entrati nel territorio greco, ma che nessuno di loro vi aveva presentato domanda di asilo.

52 Nessuno dei ricorrenti nel procedimento principale intende ritornare in Grecia. Come risulta dalla decisione di rinvio, non è stato invocato il fatto che il loro trasferimento in Grecia ai sensi del regolamento n. 343/2003 violerebbe l’art. 3 della CEDU a causa di un potenziale respingimento, di respingimenti a catena, di maltrattamenti o di domande di asilo interrotte. Non è stato nemmeno allegato che tale trasferimento violerebbe altri articoli della CEDU. I ricorrenti nel procedimento principale hanno asserito che in Grecia le procedure e le condizioni per i richiedenti asilo sono inadeguate e che, pertanto, l’Irlanda sarebbe tenuta a esercitare la facoltà conferitale dall’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 di accettare la competenza a esaminare e di pronunciarsi in merito alle loro domande di asilo.

53 La High Court ha perciò deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se lo Stato membro che provvede al trasferimento ai sensi del regolamento (...) n. 343/2003 sia tenuto ad accertare il rispetto, da parte dello Stato ricevente, dell’art. 18 della [Carta], delle direttive 2003/9 (...), 2004/83 (...) e 2005/85 (...) nonché del regolamento (...) n. 343/2003.

2) In caso di soluzione affermativa, ove lo Stato membro ricevente risulti non attenersi a una o più di tali disposizioni, se lo Stato membro che provvede al trasferimento sia obbligato ad accettare la competenza ad esaminare la domanda di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento (...) n. 343/2003».

54 Con ordinanza del presidente della Corte 16 maggio 2011, le cause C‑411/10 e C‑493/10 sono state riunite ai fini della fase orale e della sentenza.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione nella causa C‑411/10

55 Con la prima questione nella causa C‑411/10 la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) chiede, in sostanza, se la decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 di esaminare o meno una domanda di asilo rispetto alla quale non è competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ai fini dell’art. 6 TUE e/o dell’art. 51 della Carta.

Osservazioni presentate alla Corte

56 N. S., l’Equality and Human Rights Commission (EHRC), Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (UK), lo United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), i governi francese, olandese, austriaco e finlandese nonché la Commissione europea sono dell’avviso che una decisione adottata sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

57 N. S. sottolinea, al riguardo, che l’esercizio della facoltà prevista da detta disposizione non sarà necessariamente più favorevole al richiedente, il che spiega perché, nella sua relazione del 6 giugno 2007 sulla valutazione del sistema di Dublino [COM(2007) 299 def.], la Commissione abbia proposto che il ricorso alla facoltà conferita dall’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 sia subordinato all’accordo del richiedente asilo.

58 Secondo Amnesty International Ltd and the AIRE Centre (Advice on Individual Rights in Europe) (UK) e il governo francese, in particolare, la possibilità prevista all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 è giustificata dal fatto che questo regolamento ha l’obiettivo di tutelare i diritti fondamentali e che potrebbe rivelarsi necessario esercitare la facoltà conferita da detta disposizione.

59 Il governo finlandese ricorda che il regolamento n. 343/2003 fa parte di un insieme di norme che istituiscono un sistema.

60 Secondo la Commissione, quando un regolamento conferisce un potere discrezionale ad uno Stato membro, quest’ultimo deve esercitare tale potere nel rispetto del diritto dell’Unione (sentenze 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, Racc. pag. 2609; 4 marzo 2010, causa C‑578/08, Chakroun, Racc. pag. I‑1839, e 5 ottobre 2010, causa C‑400/10 PPU, McB., non ancora pubblicata nella Raccolta). Essa sottolinea che una decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 comporta conseguenze per tale Stato, il quale sarà vincolato agli obblighi procedurali dell’Unione e alle direttive.

61 L’Irlanda, il Regno Unito, il governo belga e il governo italiano ritengono, per contro, che una tale decisione non rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Gli argomenti invocati sono la chiarezza del testo, a termini del quale si tratta di una facoltà, il riferimento a una clausola «di sovranità» ovvero a una «clausola discrezionale» nei documenti della Commissione, la ragion d’essere di una tale clausola, ossia i motivi umanitari, nonché, infine, la logica del sistema istituito dal regolamento n. 343/2003.

62 Il Regno Unito sottolinea che una clausola di sovranità non costituisce una deroga nel senso della sentenza 18 giugno 1991, causa C‑260/89, ERT (Racc. pag. I‑2925, punto 43). Esso indica altresì che il fatto che il ricorso a tale clausola non costituisca un’attuazione del diritto dell’Unione non vuol dire che gli Stati membri ignorino i diritti fondamentali, poiché essi sono tenuti al rispetto della Convenzione di Ginevra e della CEDU. Il governo belga rimarca, tuttavia, che l’esecuzione della decisione di trasferire il richiedente asilo comporta l’attuazione del regolamento n. 343/2003 e, pertanto, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 6 TUE e della Carta.

63 Per il governo ceco, la decisione di uno Stato membro rientra nel diritto dell’Unione quando tale Stato esercita la clausola di sovranità, ma non quando esso non si avvale di detta facoltà.

Risposta della Corte

64 A termini dell’art. 51, n. 1, della Carta, le disposizioni della medesima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

65 L’esame dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 mostra che esso riconosce agli Stati membri un potere discrezionale che fa parte integrante del sistema europeo comune di asilo previsto dal Trattato FUE ed elaborato dal legislatore dell’Unione.

66 Come ha ricordato la Commissione, questo potere discrezionale deve essere esercitato dagli Stati membri nel rispetto delle altre disposizioni di detto regolamento.

67 Inoltre, l’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 indica che la deroga al principio enunciato al n. 1 del medesimo articolo comporta conseguenze precise previste da tale regolamento. Lo Stato membro che prende la decisione di esaminare esso stesso una domanda di asilo diventa, infatti, lo Stato membro competente ai sensi del regolamento n. 343/2003 e deve, all’occorrenza, informare l’altro o gli altri Stati membri interessati dalla domanda di asilo.

68 Tali elementi corroborano l’interpretazione secondo la quale il potere discrezionale conferito agli Stati membri dall’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 fa parte dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente a trattare una domanda di asilo previsti da detto regolamento e, di conseguenza, costituisce solo un elemento del sistema europeo comune di asilo. Pertanto, uno Stato membro che esercita tale potere discrezionale deve essere ritenuto attuare il diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51, n. 1, della Carta.

69 La prima questione nella causa C‑411/10 deve, quindi, essere risolta dichiarando che la decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 di esaminare o meno una domanda di asilo rispetto alla quale esso non è competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento dà attuazione al diritto dell’Unione ai fini dell’art. 6 TUE e/o dell’art. 51 della Carta.

Sulle questioni da seconda a quarta e sesta nella causa C‑411/10 e sulle due questioni nella causa C‑493/10

70 Con la seconda questione nella causa C‑411/10 e con la prima nella causa C‑493/10 i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se lo Stato membro che deve effettuare il trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente sia tenuto a verificare il rispetto, da parte di quest’ultimo Stato membro, dei diritti fondamentali dell’Unione, delle direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 nonché del regolamento n. 343/2003.

71 Con la terza questione nella causa C‑411/10 la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) chiede, in sostanza, se l’obbligo, per lo Stato membro che deve effettuare il trasferimento del richiedente asilo, di rispettare i diritti fondamentali osti all’applicazione di una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato competente rispetta i diritti fondamentali che il diritto dell’Unione conferisce al richiedente e/o le norme minime risultanti dalle direttive summenzionate.

72 Con la quarta questione nella causa C‑411/10 e con la seconda nella causa C‑493/10 i giudici del rinvio chiedono, in sostanza, se, quando è constatato che lo Stato membro competente non rispetta i diritti fondamentali, lo Stato membro che deve effettuare il trasferimento del richiedente asilo sia tenuto ad accettare la competenza ad esaminare esso medesimo la domanda di asilo ai sensi dell’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

73 Infine, con la sesta questione nella causa C‑411/10, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) chiede, in sostanza, se una disposizione di diritto nazionale che obbliga gli organi giurisdizionali, allorché devono stabilire se una persona possa essere legalmente espulsa verso un altro Stato membro ai sensi del regolamento n. 343/2003, a considerare tale Stato membro come uno «Stato sicuro» sia conforme ai diritti enunciati all’art. 47 della Carta.

74 Occorre esaminare queste questioni congiuntamente.

75 Il sistema europeo comune di asilo è fondato sull’applicazione in ogni sua componente della Convenzione di Ginevra e sulla garanzia che nessuno sarà rispedito in luogo in cui rischia di essere nuovamente perseguitato. Il rispetto della Convenzione di Ginevra e del Protocollo del 1967 è previsto all’art. 18 della Carta e all’art. 78 TFUE (v. sentenze 2 marzo 2010, cause riunite C‑175/08, causa C‑176/08, causa C‑178/08 e C‑179/08, Salahadin Abdulla e a., Racc. pag. I‑1493, punto 53, nonché 17 giugno 2010, causa C‑31/09, Bolbol, Racc. pag. I‑5539, punto 38).

76 Come è stato rilevato al punto 15 della presente sentenza, i diversi regolamenti e direttive pertinenti ai fini dei procedimenti principali prevedono di osservare i diritti fondamentali e i principi che sono riconosciuti dalla Carta.

77 Occorre rilevare altresì che, secondo una giurisprudenza costante, gli Stati membri sono tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale conformemente al diritto dell’Unione, ma anche a fare in modo di non basarsi su un’interpretazione di norme di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione o con gli altri principi generali del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze 6 novembre 2003, causa C‑101/01, Lindqvist, Racc. pag. I‑12971, punto 87, e 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., Racc. pag. I‑5305, punto 28).

78 Risulta dall’esame dei testi che istituiscono il sistema europeo comune di asilo che quest’ultimo è stato concepito in un contesto che permette di supporre che l’insieme degli Stati partecipanti, siano essi Stati membri o paesi terzi, rispetti i diritti fondamentali, compresi i diritti che trovano fondamento nella Convenzione di Ginevra e nel Protocollo del 1967, nonché nella CEDU, e che gli Stati membri possono fidarsi reciprocamente a tale riguardo.

79 È proprio in ragione di tale principio di reciproca fiducia che il legislatore dell’Unione ha adottato il regolamento n. 343/2003 e le convenzioni menzionate ai punti 24‑26 della presente sentenza, al fine di razionalizzare il trattamento delle domande di asilo e di evitare la saturazione del sistema con l’obbligo, per le autorità nazionali, di trattare domande multiple introdotte da uno stesso richiedente, di accrescere la certezza del diritto quanto alla determinazione dello Stato competente a trattare la domanda di asilo e, così facendo, di evitare il forum shopping; tutto ciò con l’obiettivo principale di accelerare il trattamento delle domande nell’interesse tanto dei richiedenti asilo quanto degli Stati partecipanti.

80 In tali circostanze si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti asilo in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU.

81 Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente asilo sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali.

82 Non per questo, però, se ne può concludere che qualunque violazione di un diritto fondamentale da parte dello Stato membro competente si riverberi sugli obblighi degli altri Stati membri di rispettare le disposizioni del regolamento n. 343/2003.

83 Ne va, infatti, della ragion d’essere dell’Unione e della realizzazione dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia e, più in particolare, del sistema europeo comune di asilo, fondato sulla fiducia reciproca e su una presunzione di osservanza, da parte degli altri Stati membri, del diritto dell’Unione, segnatamente dei diritti fondamentali.

84 Inoltre, non sarebbe compatibile con gli obiettivi e con il sistema del regolamento n. 343/2003 che la minima violazione delle direttive 2003/9, 2004/83 o 2005/85 sia sufficiente per impedire qualunque trasferimento di un richiedente asilo verso lo Stato membro di regola competente. Infatti, il regolamento n. 343/2003, presumendo che i diritti fondamentali del richiedente asilo saranno rispettati nello Stato membro di regola competente a conoscere della sua domanda, intende instaurare, come risulta in particolare dai paragrafi 124 e 125 delle conclusioni nella causa C‑411/10, un metodo chiaro e operativo che permetta di determinare rapidamente lo Stato membro competente a conoscere di una domanda di asilo. A tal fine il regolamento n. 343/2003 prevede che un unico Stato membro, designato sulla base di criteri oggettivi, sia competente a conoscere di una domanda di asilo introdotta in uno dei paesi dell’Unione.

85 Ora, se ogni violazione delle singole disposizioni delle direttive 2003/9, 2004/83 o 2005/85 da parte dello Stato membro competente dovesse avere la conseguenza che lo Stato membro in cui è stata presentata una domanda di asilo non possa trasferire il richiedente in tale primo Stato, ciò avrebbe l’effetto di aggiungere ai criteri di determinazione dello Stato membro competente enunciati nel capo III del regolamento n. 343/2003 un criterio supplementare di esclusione in base al quale violazioni minime delle regole delle direttive summenzionate commesse in un determinato Stato membro potrebbero avere l’effetto di esonerare quest’ultimo dagli obblighi che derivano da detto regolamento. Una tale conseguenza svuoterebbe detti obblighi del loro contenuto e comprometterebbe la realizzazione dell’obiettivo di designare rapidamente lo Stato membro competente a conoscere di una domanda di asilo presentata nell’Unione.

86 Per contro, nell’ipotesi in cui si abbia motivo di temere seriamente che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente, che implichino un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’art. 4 della Carta, dei richiedenti asilo trasferiti nel territorio di questo Stato membro, tale trasferimento sarebbe incompatibile con detta disposizione.

87 Quanto alla situazione della Grecia, è pacifico tra le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte che detto Stato membro era, nel 2010, il punto di ingresso nell’Unione del 90% circa dei migranti clandestini, di modo che l’onere sopportato da detto Stato membro in ragione di tale afflusso è sproporzionato rispetto a quello sopportato dagli altri Stati membri e che le autorità greche sono materialmente incapaci di farvi fronte. La Repubblica ellenica ha fatto presente che gli Stati membri non avevano accettato la proposta della Commissione di sospendere l’applicazione del regolamento n. 343/2003 e di modificarlo attenuando il criterio del primo ingresso.

88 In una situazione analoga a quelle oggetto dei procedimenti principali, ossia il trasferimento, nel giugno 2009, di un richiedente asilo verso la Grecia, Stato membro competente ai sensi del regolamento n. 343/2003, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, in particolare, che il Regno del Belgio aveva violato l’art. 3 della CEDU esponendo il richiedente asilo, da un lato, ai rischi risultanti dalle carenze della procedura di asilo in Grecia, atteso che le autorità belghe sapevano o dovevano sapere che non vi era alcuna garanzia che la sua domanda di asilo sarebbe stata esaminata seriamente dalle autorità greche, e, dall’altro lato, e con piena cognizione di causa, a condizioni detentive ed esistenziali costitutive di trattamenti degradanti (Corte eur. D. U., sentenza M. S. S. c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 358, 360 e 367).

89 Il livello di lesione dei diritti fondamentali descritto in tale sentenza attesta che sussisteva in Grecia, all’epoca del trasferimento del richiedente M. S. S., una carenza sistemica nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo.

90 Per giudicare che i rischi corsi dal richiedente erano sufficientemente fondati, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso in considerazione i rapporti regolari e concordanti di organizzazioni non governative internazionali che davano atto delle difficoltà pratiche poste dall’applicazione del sistema europeo comune di asilo in Grecia, la corrispondenza inviata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) al ministro belga competente, ma anche le relazioni della Commissione sulla valutazione del sistema di Dublino e le proposte di rifusione del regolamento n. 343/2003 volte a rafforzare l’efficacia di tale sistema e la tutela effettiva dei diritti fondamentali (sentenza M. S. S. c. Belgio e Grecia, cit., §§ 347‑350).

91 Infatti, e contrariamente a quanto sostengono i governi belga, italiano e polacco, secondo i quali gli Stati membri non dispongono degli strumenti adeguati per valutare il rispetto dei diritti fondamentali da parte dello Stato membro competente e, pertanto, i rischi realmente corsi da un richiedente asilo nel caso in cui venga trasferito verso tale Stato membro, informazioni come quelle citate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono idonee a permettere agli Stati membri di valutare il funzionamento del sistema di asilo nello Stato membro competente, che renderà possibile la stima di tali rischi.

92 Occorre sottolineare la pertinenza delle relazioni e delle proposte di modifica del regolamento n. 343/2003 provenienti dalla Commissione, delle quali lo Stato membro che deve procedere al trasferimento non può ignorare l’esistenza, visto che ha partecipato ai lavori del Consiglio dell’Unione europea, il quale è uno dei destinatari di tali documenti.

93 Peraltro, l’art. 80 TFUE prevede che la politica dell’asilo e la sua attuazione siano regolate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. La direttiva 2001/55 costituisce un esempio di tale solidarietà ma, come è stato indicato in udienza, i meccanismi di solidarietà che essa contiene sarebbero limitati a situazioni del tutto eccezionali rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva, ossia l’afflusso massiccio di sfollati.

94 Discende da quanto sopra che, in situazioni come quelle oggetto dei procedimenti principali, al fine di permettere all’Unione e ai suoi Stati membri di rispettare i loro obblighi di tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003 quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta.

95 Riguardo alla questione se lo Stato membro che non può effettuare il trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro identificato come «competente» conformemente al regolamento n. 343/2003 sia tenuto ad esaminare esso stesso la domanda, occorre ricordare che il capo III di tale regolamento enuncia un certo numero di criteri e che, ai sensi dell’art. 5, n. 1, di detto regolamento, tali criteri si applicano nell’ordine in cui sono esposti in detto capo.

96 Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso la Grecia, quando tale Stato risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento, impone allo Stato membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente all’esame della domanda di asilo.

97 Conformemente all’art. 13 del regolamento n. 343/2003, quando lo Stato membro competente per l’esame della domanda d’asilo non può essere designato sulla base dei criteri enumerati in detto regolamento, è competente a tale esame il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

98 È necessario, tuttavia, che lo Stato membro in cui si trova il richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali di tale richiedente con una procedura di determinazione dello Stato membro competente che abbia durata irragionevole. All’occorrenza, detto Stato è tenuto a esaminare esso stesso la domanda conformemente alle modalità previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

99 Risulta dall’insieme delle considerazioni precedenti, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 131 delle sue conclusioni nella causa C‑411/10, che un’applicazione del regolamento n. 343/2003 sulla base di una presunzione assoluta che i diritti fondamentali del richiedente asilo saranno rispettati nello Stato membro di regola competente a conoscere della sua domanda è incompatibile con l’obbligo degli Stati membri di interpretare e di applicare il regolamento n. 343/2003 in conformità ai diritti fondamentali.

100 Inoltre, come ha sottolineato N. S., se il regolamento n. 343/2003 imponesse una presunzione assoluta di rispetto dei diritti fondamentali, esso stesso potrebbe essere considerato rimettere in causa le garanzie di tutela e di rispetto dei diritti fondamentali da parte dell’Unione e dei suoi Stati membri.

101 È quanto avverrebbe, in particolare, nel caso di una disposizione che prevedesse che taluni Stati sono «Stati sicuri» quanto al rispetto dei diritti fondamentali, se siffatta disposizione dovesse essere interpretata nel senso di costituire una presunzione assoluta, che non ammette prova contraria.

102 Al riguardo si deve rilevare che l’art. 36 della direttiva 2005/85, relativo al concetto di paese terzo europeo sicuro, dispone, al n. 2, lett. a) e c), che un paese terzo può essere considerato «paese terzo sicuro» solo se, oltre ad aver ratificato la Convenzione di Ginevra e la CEDU, ne rispetta le disposizioni.

103 Una tale formulazione indica che la mera ratifica delle convenzioni da parte di uno Stato non può comportare l’applicazione di una presunzione assoluta che esso rispetti tali convenzioni. Il medesimo principio è applicabile tanto agli Stati membri quanto agli Stati terzi.

104 Pertanto, la presunzione, di cui al punto 80 della presente sentenza, sottesa alla normativa in materia, che i richiedenti asilo saranno trattati in maniera conforme ai diritti dell’uomo deve essere considerata relativa.

105 Tutto ciò considerato, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione.

106 L’art. 4 della Carta deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003 quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione.

107 Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro dell’Unione che risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento impone allo Stato membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente a esaminare la domanda di asilo.

108 È necessario, tuttavia, che lo Stato membro in cui si trova il richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali di tale richiedente con una procedura di determinazione dello Stato membro competente che abbia durata irragionevole. All’occorrenza, detto Stato è tenuto a esaminare esso stesso la domanda conformemente alle modalità previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

Sulla quinta questione nella causa C‑411/10

109 Con la quinta questione nella causa C‑411/10 la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) chiede, in sostanza, se la portata della tutela attribuita ad una persona cui si applica il regolamento n. 343/2003 dai principi generali del diritto dell’Unione, in particolare dagli artt. 1, relativo alla dignità umana, 18, sul diritto di asilo, e 47, relativo al diritto a un ricorso effettivo, della Carta, sia più ampia di quella della tutela conferita dall’art. 3 della CEDU.

110 Secondo la Commissione, la risposta a tale questione deve permettere di identificare le disposizioni della Carta la cui violazione da parte dello Stato membro competente implicherà una responsabilità sussidiaria in capo allo Stato membro che deve decidere del trasferimento.

111 Infatti, anche se la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) non ha espressamente spiegato, nella decisione di rinvio, perché la risposta a tale questione le fosse necessaria per emettere sentenza, la lettura di detta decisione lascia nondimeno pensare che la questione si giustifichi alla luce della decisione del 2 dicembre 2008, K. R. S. c. Regno Unito, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato irricevibile la denuncia per violazione degli artt. 3 e 13 della CEDU in caso di trasferimento del ricorrente dal Regno Unito in Grecia. Dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) talune parti hanno fatto valere che la tutela dei diritti fondamentali risultante dalla Carta era più ampia di quella risultante dalla CEDU e che l’applicazione della Carta doveva comportare l’accoglimento della loro richiesta di non trasferire il ricorrente nel procedimento principale verso la Grecia.

112 Dopo la pronuncia della decisione di rinvio la Corte europea dei diritti dell’uomo è ritornata sulla sua posizione alla luce di nuovi elementi probatori e ha statuito, nella succitata sentenza M. S. S. c. Belgio e Grecia, non solo che la Repubblica ellenica aveva violato l’art. 3 della CEDU a causa delle condizioni detentive ed esistenziali del ricorrente sul suo territorio, nonché l’art. 13 della CEDU, in combinato disposto con detto art. 3, in ragione delle carenze nella procedura di asilo seguita per il ricorrente, ma pure che il Regno del Belgio aveva violato l’art. 3 della CEDU esponendo il ricorrente a rischi connessi alle carenze della procedura di asilo in Grecia e a condizioni detentive ed esistenziali in Grecia contrarie a detto articolo.

113 Come risulta dal punto 106 della presente sentenza, uno Stato membro violerebbe l’art. 4 della Carta se trasferisse un richiedente asilo verso lo Stato membro competente ai sensi del regolamento n. 343/2003 in circostanze come quelle descritte al precedente punto 94.

114 Non risulta che gli artt. 1, 18 e 47 della Carta possano comportare una risposta differente da quella data alle questioni da seconda a quarta e sesta nella causa C‑411/10 nonché alle due questioni nella causa C‑493/10.

115 Di conseguenza, si deve risolvere la quinta questione sollevata nella causa C‑411/10 dichiarando che gli artt. 1, 18 e 47 della Carta non comportano una risposta differente da quella data alle questioni da seconda a quarta e sesta nella causa C‑411/10 nonché alle due questioni nella causa C‑493/10.

Sulla settima questione nella causa C‑411/10

116 Con la settima questione nella causa C‑411/10 la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) chiede, in sostanza, se, nella misura in cui le questioni precedenti concernono obblighi incombenti al Regno Unito, prendere in considerazione il Protocollo (n. 30) abbia una qualche incidenza sulle risposte apportate alle questioni da seconda a sesta.

117 Come ha ricordato l’EHRC, tale questione trae origine dalla posizione del Secretary of State dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court), secondo la quale le disposizioni della Carta non sono applicabili nel Regno Unito.

118 Anche se il Secretary of State non ha più sostenuto questa posizione dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division), si deve ricordare che il Protocollo (n. 30) enuncia, all’art. 1, n. 1, che la Carta non estende la competenza della Corte di giustizia o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le disposizioni, le pratiche o l’azione amministrativa della Polonia o del Regno Unito non siano conformi ai diritti, alle libertà e ai principi fondamentali che essa riafferma.

119 Risulta dalla formulazione di tale disposizione che, come ha osservato l’avvocato generale in particolare ai paragrafi 169 e 170 delle conclusioni nella causa C‑411/10, il Protocollo (n. 30) non rimette in questione l’applicabilità della Carta al Regno Unito o alla Polonia; lo conferma il suo stesso preambolo. Infatti, ai sensi del terzo ‘considerando’ del Protocollo (n. 30), l’art. 6 TUE dispone che la Carta deve essere applicata e interpretata dagli organi giurisdizionali della Polonia e del Regno Unito rigorosamente in conformità con le spiegazioni di cui a detto articolo. Peraltro, secondo il sesto ‘considerando’ del medesimo Protocollo, la Carta ribadisce i diritti, le libertà e i principi riconosciuti nell’Unione e li rende più visibili, ma non crea nuovi diritti o principi.

120 Ciò considerato, l’art. 1, n. 1, del Protocollo (n. 30) esplicita l’art. 51 della Carta, relativo all’ambito di applicazione di quest’ultima, e non ha per oggetto di esonerare la Repubblica di Polonia e il Regno Unito dall’obbligo di rispettare le disposizioni della Carta, né di impedire ad un giudice di uno di questi Stati membri di vigilare sull’osservanza di tali disposizioni.

121 Poiché i diritti in discussione nei procedimenti principali non fanno parte del titolo IV della Carta, non vi è motivo di pronunciarsi sull’interpretazione dell’art. 1, n. 2, del Protocollo (n. 30).

122 La settima questione nella causa C‑411/10 deve, pertanto, essere risolta dichiarando che, nella misura in cui le questioni che precedono concernono obblighi incombenti al Regno Unito, prendere in considerazione il Protocollo (n. 30) non ha incidenza sulle risposte apportate alle questioni da seconda a sesta deferite nella causa C‑411/10.

Sulle spese

123 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi ai giudici nazionali, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) La decisione adottata da uno Stato membro sul fondamento dell’art. 3, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, di esaminare o meno una domanda di asilo rispetto alla quale esso non è competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento dà attuazione al diritto dell’Unione ai fini dell’art. 6 TUE e/o dell’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2) Il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea.

L’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003 quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi di tale disposizione.

Ferma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro dell’Unione europea che risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento impone allo Stato membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente a esaminare la domanda di asilo.

È necessario, tuttavia, che lo Stato membro nel quale si trova il richiedente asilo badi a non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali di tale richiedente con una procedura di determinazione dello Stato membro competente che abbia durata irragionevole. All’occorrenza, detto Stato è tenuto a esaminare esso stesso la domanda conformemente alle modalità previste all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003.

3) Gli artt. 1, 18 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non comportano una risposta differente.

4) Nella misura in cui le questioni che precedono concernono obblighi incombenti al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, prendere in considerazione il Protocollo (n. 30) sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito non ha incidenza sulle risposte apportate alle questioni da seconda a sesta deferite nella causa C‑411/10.




(C-27/09) POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE - MISURE RESTRITTIVE CONTRO DETERMINATE PERSONE ED ENTITA', DESTINATE A COMBATTERE IL TERRORISMO

(C-27/09) POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE - MISURE RESTRITTIVE CONTRO DETERMINATE PERSONE ED ENTITA', DESTINATE A COMBATTERE IL TERRORISMO
CONGELAMENTO DEI CAPITALI APPLICABILE AD UN GRUPPO INSERITO IN UN ELENCO REDATTO, RIESAMINATO E MODIFICATO DAL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA - DIRITTI DELLA DIFESA
La Corte ha respinto l'impugnazione proposta dalla Francia contro la sentenza del Tribunale di primo grado del 4 dicembre 2008 (causa T-284/08) secondo cui la People's Mojahedin Organization of Iran (PMOI) doveva essere radiata dall’elenco europeo delle organizzazioni terroriste. Secondo la Corte, con l’impugnata pronuncia il Tribunale correttamente ha deciso che il Consiglio aveva violato i diritti della difesa della PMOI, non avendole comunicato la motivazione del suo inserimento nell'elenco prima dell'adozione della decisione. Nel dicembre 2008, in particolare, il Tribunale aveva annullato per la terza volta una decisione del Consiglio che includeva la predetta organizzazione nell’elenco europeo delle organizzazioni terroriste di cui dovevano essere congelati i capitali e le altre attività finanziarie (v. le precedenti sentenze del 12 dicembre 2006, causa T-228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d'Iran/Consiglio e del 23 ottobre 2008, causa T-256/07, People's Mojahedin Organization of Iran/Consiglio). In data 15 luglio 2008, infatti, il Consiglio aveva adottato una nuova decisione di aggiornamento dell’elenco europeo (Decisione del Consiglio 15 luglio 2008, 2008/583/CE, che attua l’articolo 2, par. 3, del Regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo), con la quale aveva mantenuto il nome della PMOI nell’elenco, trasmettendo tale informazione alla predetta organizzazione il giorno stesso dell'adozione della decisione. Nella motivazione, la Corte ha rammentato che nel caso di una decisione iniziale di congelamento dei capitali il Consiglio non è tenuto a comunicare previamente alla persona o all’entità interessata la motivazione del suo inserimento nell’elenco. Infatti, per evitare che l’efficacia di una misura del genere risulti compromessa, essa, per sua stessa natura, deve essere idonea a dispiegare un effetto sorpresa e ad applicarsi immediatamente. In un’ipotesi del genere, in linea di principio, è sufficiente che l’istituzione comunichi la motivazione alla persona o all’entità interessata e le riconosca il diritto ad essere sentita in concomitanza con l’adozione della decisione, o immediatamente dopo. Al contrario, nell’ipotesi di una decisione successiva di congelamento dei capitali, che mantiene l’interessato nell’elenco, tale effetto sorpresa non è più necessario, cosicché l’adozione di una decisione del genere deve essere preceduta dalla comunicazione degli elementi a carico del destinatario, nonché dall’opportunità offerta alla persona o all’entità interessata di essere sentita.

Testo Completo: Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 21 dicembre 2011

Nel procedimento C‑27/09 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta il 19 gennaio 2009,

Repubblica francese, rappresentata dalla sig.ra E. Belliard nonché dai sigg. G. de Bergues e A. Adam, in qualità di agenti,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

People’s Mojahedin Organization of Iran, con sede in Auvers-sur-Oise (Francia), rappresentata dagli avv.ti J.‑P. Spitzer, avocat, M.D. Vaughan, QC, e dalla sig.ra M.‑E. Demetriou, barrister,

ricorrente in primo grado,

Consiglio dell’Unione europea,

convenuto in primo grado,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra S. Boelaert e dal sig. P. Aalto, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues (relatore), K. Lenaerts e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, A. Arabadjiev e dalla sig.ra C. Toader, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 settembre 2010,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 luglio 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il presente ricorso di impugnazione, la Repubblica francese chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 4 dicembre 2008, causa T‑284/08, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑3487; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha accolto il ricorso della People’s Mojahedin Organization of Iran (in prosieguo: la «PMOI») diretto all’annullamento della decisione del Consiglio 15 luglio 2008, 2008/583/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga la decisione 2007/868/CE (GU L 188, pag. 21; in prosieguo: la «decisione controversa»), nella parte in cui riguarda la PMOI.

Contesto normativo

La risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite

2 Il 28 settembre 2001 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie dirette alla lotta con tutti i mezzi contro il terrorismo e, in particolare, contro il suo finanziamento. Il punto 1, lett. c), di tale risoluzione dispone, segnatamente, che gli Stati congelino senza indugio i capitali e gli altri strumenti finanziari o risorse economiche delle persone che commettono o tentano di commettere atti di terrorismo, li agevolano o vi partecipano, delle entità appartenenti a tali persone o da esse controllate, e delle persone ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone o entità.

3 Tale risoluzione non prevede un elenco di persone cui devono essere applicate queste misure restrittive.

La posizione comune 2001/931/PESC

4 Il 27 dicembre 2001, ritenendo che fosse necessaria un’azione della Comunità europea al fine di attuare la risoluzione 1373 (2001), il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, tra l’altro, la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU L 344, pag. 93).

5 L’art. 1, n. 1, di tale posizione comune così recita:

«La presente posizione comune si applica, in conformità delle disposizioni dei seguenti articoli, alle persone, gruppi ed entità, elencati nell’allegato, coinvolti in atti terroristici».

6 I nn. 2 e 3 dell’art. 1 della posizione comune 2001/931 definiscono, rispettivamente, cosa si intenda per «persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici» e per «atto terroristico».

7 L’art. 1, nn. 4 e 6, di detta posizione comune è formulato nei seguenti termini:

«4. L’elenco è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Nell’elenco possono essere inclusi persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni.

Ai fini dell’applicazione del presente paragrafo, per “autorità competente” s’intende un’autorità giudiziaria o, se le autorità giudiziarie non hanno competenza nel settore di cui al presente paragrafo, un’equivalente autorità competente nel settore.

(...)

6. I nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato».

8 La PMOI è stata aggiunta all’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 dalla posizione comune del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931 (GU L 116, pag. 75).

9 La PMOI è stata mantenuta nell’elenco allegato alla posizione comune 2001/931 da una serie di decisioni adottate in successione dal Consiglio a norma dell’art. 1, n. 6, di tale posizione comune.

Il regolamento (CE) n. 2580/2001

10 Il 27 dicembre 2001 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2580, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU L 344, pag. 70 e, rettifica, GU L 52, pag. 58).

11 Il quinto ‘considerando’ del regolamento n. 2580/2001 è redatto nei seguenti termini:

«È necessaria l’azione della Comunità per attuare gli aspetti della [politica estera e di sicurezza comune] della posizione comune 2001/931/PESC».

12 A norma dell’art. 2 di tale regolamento:

«1. Fatte salve le disposizioni degli articoli 5 e 6:

a) tutti i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, [un] gruppo o [un’]entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3 detenga la proprietà o il possesso sono congelati;

b) è vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, [di un] gruppo o [di un’]entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3, capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche.

2. Fatti salvi gli articoli 5 e 6, è vietata la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche, [ai] gruppi o [alle] entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3.

3. Il Consiglio, deliberando all’unanimità, elabora, riesamina e modifica l’elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il presente regolamento in conformità delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune 2001/931/PESC (...)».

13 La PMOI è stata inserita nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 dalla decisione del Consiglio 2 maggio 2002, 2002/334/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580 e che abroga la decisione 2001/927/CE (GU L 116, pag. 33).

14 In seguito, la PMOI è stata mantenuta nel citato elenco da successive decisioni del Consiglio, tra cui la decisione controversa, adottate a norma dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

15 La PMOI è stata cancellata da tale elenco dalla decisione del Consiglio 26 gennaio 2009, 2009/62/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga la decisione 2008/583/CE (GU L 23, pag. 25).

16 Il quinto ‘considerando’ della decisione 2009/62 così recita:

«In virtù della sentenza [impugnata], un gruppo non è stato incluso nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applica il regolamento (CE) n. 2580/2001».

17 È pacifico che il gruppo oggetto di questo ‘considerando’ è la PMOI.

Fatti

18 Per un’esposizione degli antefatti della presente controversia, il punto 1 della sentenza impugnata rinvia alle sentenze del Tribunale 12 dicembre 2006, causa T‑228/02, Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑4665, punti 1‑26), e 23 ottobre 2008, causa T‑256/07, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio (Racc. pag. II‑3019, punti 1‑37).

19 Ai punti 1, 2, 12 e 16 della citata sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, si rileva quanto segue:

«1 Risulta dal fascicolo che la [PMOI] è stata fondata nel 1965 e si è fissata l’obiettivo di sostituire il regime dello Scià di Persia, poi quello dei mullah, con un regime democratico. Nel 1981 essa ha partecipato [alla fondazione del] Consiglio nazionale della resistenza iraniana (NCRI), organo che si definisce come il “parlamento in esilio della resistenza” iraniana. All’epoca dei fatti all’origine della controversia in esame, essa sarebbe stata composta da cinque organizzazioni separate, nonché da una sezione indipendente che costituiva un braccio armato operante in Iran. Secondo quanto [essa] afferma, tuttavia, la [PMOI] e tutti i suoi aderenti hanno espressamente rinunciato a qualsiasi attività militare dal giugno 2001 ed essa non ha più, attualmente, alcuna struttura armata.

2 Con ordinanza 28 marzo 2001, il Secretary of State for the Home Department (Ministro dell’Interno del Regno Unito; in prosieguo: lo «Home Secretary») ha incluso la [PMOI] nell’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del Terrorism Act 2000 (legge del 2000 sul terrorismo). La [PMOI] ha proposto due ricorsi paralleli contro tale ordinanza, uno in appello (appeal) dinanzi alla Proscribed Organisations Appeal Commission (Commissione d’appello relativa alle organizzazioni vietate, POAC), l’altro per cassazione (judicial review) dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles) divisione della reale magistratura (formazione amministrativa) (...)].

(...)

12 Con sentenza 17 aprile 2002, [detto giudice] ha respinto il ricorso per cassazione proposto dalla [PMOI] avverso l’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 (…), considerando, in sostanza, che la POAC era il foro adeguato per ascoltare gli argomenti della [PMOI], compresi quelli attinenti alla violazione del diritto di essere sentiti.

(...)

16 Con sentenza 15 novembre 2002, la POAC ha respinto il ricorso proposto dalla [PMOI] avverso l’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 (…), ritenendo, segnatamente, che nulla le imponesse di sentire previamente la [PMOI], dato che una simile udienza era anche impraticabile o non auspicabile nell’ambito di una normativa diretta contro organizzazioni terroristiche. Secondo la stessa decisione, il regime legale del Terrorism Act 2000 prevede una leale possibilità di sentire il punto di vista della [PMOI] dinanzi alla POAC».

20 I fatti di causa più recenti sono riassunti come segue ai punti 2‑10 della sentenza impugnata:

«2 Con sentenza 7 maggio 2008 la Court of Appeal (England & Wales) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles), Regno Unito; in prosieguo: la «Court of Appeal»] ha respinto la domanda con cui lo [Home Secretary] chiedeva di essere autorizzato a proporre impugnazione dinanzi a detto giudice avverso la decisione della [POAC] del 30 novembre 2007, con cui tale giudice aveva accolto un ricorso proposto contro la decisione dello Home Secretary del 1° settembre 2006 che rifiutava di revocare la proscrizione della [PMOI] quale organizzazione implicata nel terrorismo e aveva ingiunto al citato Home Secretary di sottoporre al Parlamento del Regno Unito un progetto di ordinanza (Order) per la cancellazione della [PMOI] dall’elenco delle organizzazioni vietate ai sensi del Terrorism Act 2000 (...).

3 Con tale decisione, la POAC aveva segnatamente qualificato come ingiusta (perverse) la conclusione dello Home Secretary, contenuta nella sua decisione 1° settembre 2006 che rifiutava di revocare la proscrizione della [PMOI], secondo la quale quest’ultima era, all’epoca, ancora un’organizzazione “implicata nel terrorismo” (concerned in terrorism) ai sensi del Terrorism Act 2000 (...).

(...)

5 Con la citata sentenza la Court of Appeal ha confermato le valutazioni della POAC. Essa ha inoltre rilevato che gli elementi di informazione riservati prodotti dallo Home Secretary rafforzavano la sua conclusione secondo cui quest’ultimo non avrebbe potuto ragionevolmente ritenere che la PMOI intendesse compiere in futuro nuovi atti di terrorismo.

6 Con ordinanza 23 giugno 2008, entrata in vigore il 24 giugno, lo Home Secretary ha quindi radiato il nome della PMOI dall’elenco delle organizzazioni proscritte a titolo del Terrorism Act 2000. Tale radiazione è stata approvata dalle due camere del Parlamento del Regno Unito.

7 Con la [decisione controversa], il Consiglio ha tuttavia mantenuto il nome della [PMOI], insieme ad altri, nell’elenco figurante in allegato al [regolamento n. 2580/2001] (...).

8 Il [punto 5] della decisione impugnata, che indubbiamente riguarda la PMOI, enuncia:

“Per un gruppo, il Consiglio ha tenuto conto del fatto che la decisione di un’autorità competente che giustificava l’inclusione di questo gruppo nell’elenco non è più in vigore dal 24 giugno 2008. Tuttavia, sono stati portati all’attenzione del Consiglio nuovi elementi relativi al gruppo in questione. Secondo il Consiglio, questi nuovi elementi giustificano l’inclusione di tale gruppo nell’elenco”.

9 La decisione [controversa] è stata notificata alla [PMOI] sotto forma di lettera del Consiglio 15 luglio 2008 (…). In tale lettera, il Consiglio ha rilevato in particolare quanto segue:

“Il Consiglio ha nuovamente deciso di includere [la PMOI] nell’elenco (…). Il Consiglio ha preso nota del fatto che la decisione dell’autorità competente che giustificava l’inclusione della [PMOI] nell’elenco non è più in vigore dal 24 giugno. Tuttavia, il Consiglio ha ricevuto nuove informazioni pertinenti ai fini di tale inclusione. Dopo aver esaminato tali informazioni, il Consiglio ha deciso che [la PMOI] doveva essere ancora inclusa nel suddetto elenco. Pertanto, il Consiglio ha modificato l’esposizione dei motivi”.

10 Nell’esposizione dei motivi allegata alla lettera di notifica (…), il Consiglio ha indicato quanto segue:

“La [PMOI] è un gruppo fondato nel 1965, inizialmente con lo scopo di rovesciare il regime imperiale. I suoi membri hanno infatti preso parte all’eliminazione di alcune migliaia di ‘agenti’ del precedente regime e sono stati tra i responsabili del sequestro di ostaggi nell’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran. Mentre era inizialmente tra gli attori più radicali della rivoluzione islamica, la PMOI, dopo il suo divieto, è entrata in clandestinità e ha condotto molte azioni contro il regime al potere a Teheran. L’organizzazione è stata infatti all’origine di attentati terroristici (…). Inoltre, alcuni membri di tale organizzazione, stabilita in vari Stati membri dell’Unione europea, sono attualmente oggetto di procedimenti penali per attività criminose dirette al finanziamento delle loro operazioni. Tali atti ricadono nell’ambito di applicazione delle disposizioni dell’art. 1, n. 3, lett. a), c), d), f), g), h) e i), della posizione comune 2001/931 e sono stati commessi per le finalità di cui all’art. 1, n. 3, i) e iii) della stessa.

La [PMOI] rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

Nell’aprile 2001 la procura antiterrorismo [del tribunal de grande instance de Paris] ha avviato un’indagine preliminare su presunti reati di ‘associazione per delinquere finalizzata alla preparazione di atti di terrorismo’ alle condizioni previste nel diritto francese dalla legge 22 luglio 1996, n. 96/647. Le investigazioni condotte nell’ambito di tale indagine preliminare hanno portato all’individuazione della responsabilità di presunti membri della [PMOI] per una serie di reati, tutti relativi, in via principale o per connessione, a un’attività collettiva diretta a turbare gravemente l’ordine pubblico con l’intimidazione o il terrore. Oltre all’incriminazione di cui sopra, tale indagine riguarda anche il ‘finanziamento di un gruppo terroristico’ alle condizioni previste nel diritto francese dalla legge 15 novembre 2001, n. 2001/1062, in materia di sicurezza.

Il 19 marzo 2007 e il 13 novembre 2007 la procura antiterrorismo di Parigi ha [posto talune imputazioni supplementari a carico di] presunti membri della [PMOI]. Tali indagini sono state motivate con l’esigenza di investigare su nuovi elementi emersi dalle indagini effettuate tra il 2001 e il 2007. Esse riguardano in particolare i reati di ‘riciclaggio dei proventi diretti o indiretti di truffe a danno di soggetti particolarmente vulnerabili e di truffa in banda organizzata’ in relazione ad attività terroristiche alle condizioni previste in diritto francese dalla legge 2 agosto 2003, n. 2003/706.

L’autorità competente ha quindi adottato nei confronti della [PMOI] una decisione ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931.

Il Consiglio rileva che tali procedimenti sono ancora in corso e sono stati ampliati nel 2007 nell’ambito della lotta contro le operazioni di finanziamento condotte da gruppi terroristici. Il Consiglio ritiene che rimangano validi i motivi per cui [la PMOI] è stata inclusa nell’elenco delle persone ed entità sottoposte alle misure di cui all’art. 2, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2580/2001.

In base a tali elementi, il Consiglio ha deciso che [la PMOI] deve restare soggetta alle misure previste a norma dell’art. 2, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2580/2001”».

Il ricorso dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

21 Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 luglio 2008, la PMOI ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa e ha chiesto al Tribunale di:

– annullare la decisione controversa, per la parte in cui essa la riguarda, e

– condannare il Consiglio alle spese.

22 La Repubblica francese e la Commissione europea sono state ammesse ad intervenire dinanzi al Tribunale a sostegno del Consiglio.

23 La PMOI solleva, in sostanza, cinque motivi. Il primo riguarda un errore manifesto di valutazione. Il secondo, la violazione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 e delle norme in materia di onere della prova. Il terzo concerne una violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Il quarto verte su una violazione dei diritti della difesa e dell’obbligo di motivazione, mentre il quinto è tratto da un abuso o uno sviamento di potere o di procedura.

24 Per quanto riguarda il quarto motivo, relativo alla violazione dei diritti della difesa, al punto 36 della sentenza impugnata il Tribunale ha osservato che era pacifico che il Consiglio avesse adottato la decisione controversa senza avere previamente comunicato alla PMOI le nuove informazioni o i nuovi elementi del fascicolo che, a suo parere, ne giustificavano il mantenimento nell’elenco ex art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, ossia quelli relativi all’indagine preliminare avviata dalla procura antiterrorismo del tribunal de grande instance de Paris nell’aprile 2001 e alle due imputazioni supplementari di marzo e novembre 2007. Il Tribunale ha aggiunto che, a fortiori, il Consiglio non ha dato alla PMOI la possibilità di far valere il suo punto di vista al riguardo prima dell’adozione della decisione controversa.

25 Il Tribunale ne ha dedotto, al punto 37 della sentenza impugnata, che occorreva dichiarare che la decisione controversa era stata adottata in violazione dei principi enunciati, in particolare, ai punti 120, 126 e 131 della citata sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, per quanto riguarda il rispetto dei diritti della difesa.

26 Ai punti 39‑44 della sentenza impugnata il Tribunale ha esaminato, in primo luogo, l’argomento del Consiglio secondo cui quest’ultimo era autorizzato ad agire in tal modo a causa della situazione particolare in cui si trovava nella fattispecie, soprattutto alla luce dell’urgenza con cui doveva essere adottata la decisione controversa.

27 In proposito, al punto 40 della sentenza impugnata il Tribunale ha considerato che l’urgenza invocata non era affatto dimostrata.

28 Il Tribunale ha rilevato che, tra il 7 maggio 2008, data di pronuncia della sentenza della Court of Appeal che faceva venire definitivamente meno la possibilità per il Consiglio di basarsi ancora sull’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001, e il 15 luglio 2008, data di adozione della decisione controversa, erano passati più di due mesi. Orbene, il Consiglio non avrebbe spiegato perché non poteva avviare subito dopo il 7 maggio 2008 la procedura finalizzata alla cancellazione della PMOI dall’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 o al suo mantenimento in detto elenco sulla base di nuovi elementi.

29 Al punto 41 della sentenza impugnata il Tribunale ha poi rimarcato che, anche ammettendo che i nuovi elementi siano stati comunicati al Consiglio solo nel giugno 2008, ciò non spiega perché tali elementi nuovi non potessero essere comunicati subito alla PMOI, se il Consiglio intendeva assumerli come elementi a carico di quest’ultima.

30 Esso ha aggiunto che, nonostante nelle osservazioni nella causa che ha dato origine alla citata sentenza 23 ottobre 2008, People’s Mojahedin Organization of Iran/Consiglio, il Consiglio abbia espressamente manifestato l’intenzione di prendere urgentemente posizione su «nuovi elementi» sottoposti al suo esame, tale istituzione si è astenuta dal comunicare tali nuovi elementi alla PMOI, senza invocare una qualsiasi impossibilità materiale o giuridica di farlo, e ciò sebbene il Tribunale avesse annullato, con la citata sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio, una delle sue precedenti decisioni proprio perché non era stata oggetto di tale previa comunicazione.

31 Al punto 42 della sentenza impugnata, il Tribunale ha osservato che né la sentenza della Court of Appeal 7 maggio 2008 né l’ordinanza dello Home Secretary 23 giugno 2008 hanno prodotto un effetto automatico e immediato sulla decisione del Consiglio 20 dicembre 2007, 2007/868/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 e abroga la decisione 2007/445/CE (GU L 340, pag. 100), vigente all’epoca, e che tale decisione rimaneva in vigore, con forza di legge, in virtù della presunzione di validità degli atti dell’Unione, fino a quando non fosse stata revocata o annullata nell’ambito di un ricorso d’annullamento oppure dichiarata invalida a seguito di un rinvio pregiudiziale o di un’eccezione di illegittimità.

32 In secondo luogo, il Tribunale ha respinto l’argomento del Consiglio che affermava che la motivazione notificata alla PMOI rispettava i diritti della difesa di quest’ultima.

33 A questo proposito, al punto 46 della sentenza impugnata il Tribunale ha dichiarato che tale argomento deriva da una confusione tra la garanzia dei diritti della difesa nell’ambito del procedimento amministrativo e quella risultante dal diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo contro l’atto lesivo adottato al termine di tale procedimento.

34 Al punto 47 della sentenza impugnata il Tribunale ne ha dedotto che, dato che il quarto motivo era fondato, occorreva annullare la decisione controversa nella parte in cui riguarda la PMOI.

35 Al punto 48 della sentenza impugnata il Tribunale ha spiegato che, sebbene, date le circostanze, non ritenesse necessario pronunciarsi sugli altri motivi del ricorso, avrebbe nondimeno esaminato il secondo e il terzo motivo, in considerazione della loro importanza sotto il profilo del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva.

36 Per quanto attiene a questi motivi, al punto 78 della sentenza impugnata il Tribunale ha tratto la conclusione, da un lato, che non era stato debitamente dimostrato che la decisione impugnata fosse stata adottata in conformità dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e dell’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 e, dall’altro, che le circostanze stesse della sua adozione ledevano il diritto fondamentale della PMOI ad un controllo giurisdizionale effettivo.

37 Pertanto, al punto 79 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che il secondo e il terzo motivo erano fondati.

Conclusioni delle parti del ricorso d’impugnazione

38 Con la presente impugnazione, la Repubblica francese chiede alla Corte di:

– annullare la sentenza impugnata, e

– statuire lei stessa in via definitiva sulla controversia respingendo il ricorso della PMOI, o rinviare la causa al Tribunale.

39 La PMOI chiede che la Corte voglia:

– dichiarare il ricorso d’impugnazione irricevibile;

– in subordine, dichiarare che non occorre statuire su tale ricorso di impugnazione;

– in ulteriore subordine, respingere il ricorso d’impugnazione, e

– in ogni caso, condannare la ricorrente alle spese sostenute dalla convenuta.

Sull’impugnazione

40 La Repubblica francese solleva tre motivi, vertenti su errori di diritto commessi dal Tribunale nella valutazione, rispettivamente, dei principi relativi ai diritti della difesa, dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, e dei principi inerenti al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.

Sulla ricevibilità dell’impugnazione

Argomenti delle parti

41 La PMOI, ricordando che la decisione controversa è stata abrogata e sostituita dalla decisione 2009/62, la quale non la include più nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, afferma che la Repubblica francese non ha alcun interesse a mantenere il presente ricorso di impugnazione e che, pertanto, quest’ultimo è irricevibile. In subordine, essa sostiene che la Corte dovrebbe rifiutarsi di statuire su questa impugnazione in quanto essa è priva di oggetto.

42 La Repubblica francese considera l’impugnazione ricevibile e asserisce, al riguardo, che in forza dell’art. 56, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea essa non è tenuta a giustificare il proprio interesse ad agire.

Giudizio della Corte

43 Per costante giurisprudenza, la sussistenza dell’interesse ad agire del ricorrente presuppone che il ricorso possa, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto (v., in particolare, sentenza 3 settembre 2009, causa C‑535/06 P, Moser Baer India/Consiglio, Racc. pag. I‑7051, punto 24 e giurisprudenza citata).

44 Tuttavia, dato che la Repubblica francese è intervenuta nel procedimento dinanzi al Tribunale, dal secondo comma dell’art. 56 dello Statuto della Corte risulta che detto Stato membro può proporre un ricorso d’impugnazione sebbene la decisione del Tribunale non incida direttamente nei suoi confronti.

45 Dal terzo comma del medesimo articolo si evince inoltre che gli Stati membri, che siano o no stati parti nella controversia di primo grado, non devono dimostrare alcun interesse per poter proporre ricorso contro una sentenza del Tribunale (sentenza 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 171).

46 Peraltro, contrariamente a quanto sostiene la PMOI, la presente impugnazione non è divenuta priva di oggetto in seguito al fatto che la decisione controversa, che includeva la PMOI nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, è stata abrogata e sostituita dalla decisione 2009/62, la quale, sulla scorta della sentenza impugnata, non la annovera più nella versione aggiornata di tale elenco.

47 Infatti, da un lato, se la Corte dovesse accogliere il ricorso d’impugnazione e respingere nel merito il ricorso di annullamento della PMOI contro la decisione controversa ne conseguirebbe, come giustamente sostenuto dalla Repubblica francese, che tale decisione verrebbe ripristinata all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione per quanto riguarda il periodo compreso tra il 16 luglio 2008, data di entrata in vigore della decisione controversa, ed il 27 gennaio 2009, data di entrata in vigore della decisione 2009/62, che ha abrogato irretroattivamente la decisione controversa e soppresso il nome della PMOI dall’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

48 D’altro lato, non risulta neppure che l’adozione della decisione 2009/62 abbia prodotto la conseguenza di porre fine alla controversia tra le parti, e pertanto che il ricorso d’impugnazione sia divenuto privo d’oggetto per questo motivo (v. per analogia, in particolare, ordinanza 1° dicembre 2004, causa C‑498/01 P, UAMI/Zapf Creation, Racc. pag. I‑11349, punto 12).

49 La Repubblica francese, infatti, insiste nel sostenere che l’inserimento della PMOI mediante la decisione controversa nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 era giustificato e ha inoltre dichiarato dinanzi alla Corte che essa conserva l’interesse che gli errori commessi dal Tribunale nella sentenza impugnata siano riconosciuti dalla Corte, onde poter chiedere al Consiglio di iscrivere nuovamente la PMOI in tale elenco.

50 Di conseguenza, posto che il ricorso d’impugnazione non ha perduto il suo oggetto, la Corte è competente a statuire su di esso.

Nel merito

Sul primo motivo, attinente ad un errore di diritto commesso nella valutazione dei principi relativi ai diritti della difesa

– Argomenti delle parti

51 La Repubblica francese addebita al Tribunale di aver statuito, al punto 37 della sentenza impugnata, che la decisione controversa è stata adottata in violazione dei principi relativi ai diritti della difesa, poiché il Consiglio ha emanato questa decisione senza comunicare previamente alla PMOI le nuove informazioni o i nuovi elementi del fascicolo che, a suo dire, giustificavano il suo mantenimento nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

52 Dalla giurisprudenza della Corte risulterebbe che la necessità della previa notifica di una misura di congelamento di capitali è suscettibile di eccezioni, in particolare in caso di una decisione iniziale di congelamento, quando siffatta notifica nuocerebbe all’efficacia di dette misure restrittive (sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6351, punti 339‑341).

53 La Repubblica francese sostiene che, al momento dell’adozione della decisione controversa, esisteva manifestamente una minaccia di interruzione della misura di congelamento di capitali applicabile alla PMOI e, pertanto, un rischio di nuocere all’efficacia di una siffatta misura.

54 Dopo che, con ordinanza 23 giugno 2008, entrata in vigore il giorno successivo, lo Home Secretary aveva radiato il nome della PMOI dall’elenco delle organizzazioni proscritte in forza del Terrorism Act 2000, l’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001, decisione dell’autorità competente che era a fondamento della decisione 2007/868, non avrebbe più potuto fungere da base per l’inserimento della PMOI nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, a pena di violazione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931.

55 La Repubblica francese aggiunge che, anche se detta ordinanza 23 giugno 2008 non produceva un effetto automatico ed immediato nei confronti della decisione 2007/868, resta il fatto che il Consiglio non poteva lasciare che perdurasse una situazione in cui detta decisione era priva di fondamento giuridico, ma doveva trarne senza indugio le debite conseguenze.

56 Posto che il 9 giugno 2008 il Consiglio aveva ricevuto dalle autorità francesi nuovi elementi – ossia aveva avuto notizia dell’indagine preliminare avviata il 9 aprile 2001 contro 17 presunti membri della PMOI e della sottoposizione ad indagine di 24 persone – che a detta di tali autorità giustificavano la loro domanda di inserimento della PMOI nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, il Consiglio, per garantire l’efficacia delle sanzioni, avrebbe dovuto evitare qualsiasi interruzione del congelamento dei capitali e, quindi, adottare con la massima celerità una nuova decisione che includesse la PMOI in tale elenco.

57 La Repubblica francese ricorda inoltre che, ai sensi dell’art. 1, n. 6, della posizione comune 2001/931, alla fine di giugno 2008 il Consiglio era tenuto a riesaminare, nei più brevi termini, detto elenco, così come stabilito dalla decisione 2007/868.

58 La PMOI sostiene che nella sentenza impugnata il Tribunale ha a buon diritto respinto questo argomento, addotto dal Consiglio e ripreso nel ricorso d’impugnazione in esame, giudicando, in particolare, che nelle circostanze della fattispecie il Consiglio non era autorizzato ad astenersi dal notificargli previamente i nuovi elementi in virtù del fatto che, altrimenti, si sarebbe verificato un rischio di interruzione del congelamento dei capitali della PMOI. La valutazione del Tribunale sarebbe inoltre fondata su elementi di fatto, che non potrebbero essere oggetto di contestazione nell’ambito di un’impugnazione.

– Giudizio della Corte

59 Ai punti 36 e 37 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che il Consiglio, adottando la decisione controversa senza comunicare previamente alla PMOI le nuove informazioni o i nuovi elementi del caso che, a sua detta, giustificavano il mantenimento di quest’ultima nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 e, a maggior ragione, non avendo messo la PMOI in condizione di far valere proficuamente il suo punto di vista al riguardo prima dell’adozione di tale decisione, ha violato i principi relativi al rispetto dei diritti della difesa sanciti, in particolare, ai punti 120, 126 e 131 della citata sentenza Organisation des Modjahedines du peuple d’Iran/Consiglio.

60 I principi cui ha fatto in tal modo riferimento il Tribunale, che non sono contestati dalla Repubblica francese, si evincono altresì dalla giurisprudenza della Corte [v., nel contesto del regolamento (CE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) del Consiglio n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU L 139, pag. 9), sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cit., punti 338‑ 341].

61 In proposito, occorre ricordare che nel caso della decisione iniziale di congelamento di capitali il Consiglio non è tenuto a comunicare previamente alla persona o all’entità interessata i motivi su cui tale istituzione intende fondare l’inserimento del nome di tale persona o entità nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001. Affinché l’efficacia di una misura di questo genere non sia compromessa, tale misura deve, per la sua stessa natura, poter dispiegare un effetto sorpresa e potersi applicare immediatamente. In un’ipotesi del genere, in linea di principio è sufficiente che l’istituzione proceda a comunicare la motivazione alla persona o all’entità interessata e le riconosca il diritto ad essere sentita in concomitanza con l’adozione della decisione o immediatamente dopo tale adozione.

62 Al contrario, nel caso di una decisione successiva di congelamento di capitali, in forza della quale il nome di una persona o di un’entità già figurante nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001 venga ivi mantenuto, tale effetto sorpresa non è più necessario per garantire l’efficacia della misura, cosicché l’adozione di una decisione di questo genere, in linea di principio, deve essere preceduta dalla comunicazione degli elementi a carico del destinatario nonché dall’opportunità conferita alla persona o all’entità interessata di essere sentita.

63 Nella sentenza impugnata il Tribunale ha applicato tali principi alla fattispecie concludendone, correttamente, che il Consiglio non era autorizzato a comunicare, come ha fatto nella fattispecie, i nuovi elementi a carico della PMOI in concomitanza con l’adozione della decisione controversa, poiché con tale decisione il nome della PMOI è stato mantenuto nell’elenco, di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001, in cui già figurava fin dalla sua iscrizione iniziale il 3 maggio 2002 in forza della decisione 2002/334. Il Consiglio avrebbe obbligatoriamente dovuto garantire il rispetto dei diritti della difesa della PMOI, ossia provvedere alla comunicazione degli elementi a suo carico e riconoscerle il diritto ad essere sentita, prima dell’adozione di tale decisione.

64 In proposito, occorre sottolineare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 103 delle conclusioni, che l’elemento di tutela garantito dall’obbligo di comunicazione degli elementi a carico e dal diritto di presentare osservazioni prima dell’adozione di un provvedimento che, come la decisione controversa, fa scattare l’applicazione di misure restrittive, è fondamentale ed essenziale per i diritti della difesa. Ciò vale a maggior ragione considerato che tali misure incidono in modo significativo sui diritti e sulle libertà delle persone e dei gruppi che ne sono destinatari.

65 Infatti, la regola secondo cui il destinatario di una decisione che gli arreca pregiudizio deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata persegue lo scopo di mettere l’autorità coinvolta in grado di tener conto in modo proficuo di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva di detto destinatario, la suddetta regola è intesa a consentirgli di correggere un errore o di far valere elementi relativi alla sua situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro (v., in questo senso, sentenza 18 dicembre 2008, causa C‑349/07, Sopropé, Racc. pag. I‑10369, punto 49).

66 Tale diritto fondamentale al rispetto dei diritti della difesa nel corso del procedimento che precede l’adozione di una misura restrittiva come la decisione controversa è peraltro espressamente sancito all’art. 41, n. 2, lett. a), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cui l’art. 6, n. 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati.

67 Il fatto che, come ricordato al punto 61 della presente sentenza, sia ammessa un’eccezione a detto dritto fondamentale per quanto riguarda le decisioni iniziali di congelamento di capitali, è giustificato dalla necessità di garantire l’efficacia dei provvedimenti di congelamento di capitali e, in definitiva, da considerazioni prioritarie attinenti alla sicurezza o allo svolgimento delle relazioni internazionali dell’Unione e dei suoi Stati membri (v., in questo senso, sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cit., punto 342).

68 Ai punti 39‑44 della sentenza impugnata, il Tribunale ha comunque esaminato l’argomento del Consiglio secondo cui tale istituzione, a causa della particolare situazione in cui si trovava nella fattispecie, e segnatamente dell’urgenza con cui andava adottata la decisione controversa, era autorizzata, nonostante non si trattasse di una decisione iniziale di congelamento di capitali, a comunicare i nuovi elementi a carico della PMOI in concomitanza con l’adozione della decisione controversa e non prima di essa.

69 Questo argomento è ripreso in sostanza dalla Repubblica francese nel contesto del presente ricorso d’impugnazione.

70 Orbene, il Tribunale ha ritenuto, da un lato, che a partire dal 7 maggio 2008, data in cui è stata pronunciata la sentenza della Court of Appeal, fosse venuta definitivamente meno la possibilità per il Consiglio di basarsi ancora sull’ordinanza dello Home Secretary 28 marzo 2001 quale decisione di un’autorità competente ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931, per mantenere l’iscrizione della PMOI nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001. Inoltre, con ordinanza 23 giugno 2008, entrata in vigore il giorno successivo, lo Home Secretary ha ottemperato a tale sentenza radiando la PMOI dall’elenco delle organizzazioni proscritte in forza del Terrorism Act 2000.

71 Dall’altro, è pacifico che il 9 giugno 2008 il Consiglio ha ricevuto dalla Repubblica francese nuovi elementi relativi a procedimenti giudiziari avviati in Francia contro presunti membri della PMOI, che tale Stato membro considerava potenzialmente idonei a giustificare il mantenimento di tale organizzazione nell’elenco di cui all’art. 2, n. 3, del regolamento n. 2580/2001.

72 A questo riguardo, occorre rilevare che il Consiglio era quindi tenuto, in tempi ristretti, ad esaminare questi nuovi elementi onde decidere se essi potessero costituire una decisione di un’autorità competente ai sensi dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 atta a giustificare il mantenimento della PMOI in detto elenco, oppure che tale gruppo doveva essere immediatamente ritirato dal medesimo elenco.

73 È vero che, come asserisce la Repubblica francese, almeno a partire dal 24 giugno 2008 il Consiglio non poteva lasciare che perdurasse una situazione in cui la decisione 2007/868 era priva di fondamento giuridico, ma doveva trarne senza indugio le debite conseguenze. Resta tuttavia il fatto che, come peraltro ammette tale Stato membro e come ha giustamente rilevato il Tribunale al punto 42 della sentenza impugnata, né la sentenza della Court of Appeal 7 maggio 2008 né l’ordinanza dello Home Secretary 23 giugno 2008 hanno prodotto un effetto automatico e immediato sulla decisione 2007/868 all’epoca applicabile.

74 Infatti, quest’ultima decisione rimaneva in vigore in virtù della presunzione di validità degli atti dell’Unione che, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, implica che essi producano effetti giuridici finché non siano stati revocati o annullati nel contesto di un ricorso per annullamento ovvero dichiarati invalidi a seguito di un rinvio pregiudiziale o di un’eccezione di illegittimità (v., in particolare, sentenza 12 febbraio 2008, causa C‑199/06, CELF e Ministre de la Culture et de la Communication, Racc. pag. I‑469, punto 60 e giurisprudenza citata).

75 Pertanto, tenuto conto anche dell’importanza fondamentale che, come ricordato ai punti 64 e 65 di questa sentenza, deve essere riconosciuta al rispetto dei diritti della difesa nel procedimento che precede l’adozione di una decisione come la decisione controversa, il Tribunale non è incorso in un errore di diritto statuendo, ai punti 39 e 43 della sentenza impugnata, che il Consiglio non aveva dimostrato che la decisione controversa doveva essere adottata con un’urgenza tale che a detta istituzione risultava impossibile comunicare alla PMOI i nuovi elementi a suo carico e consentire l’audizione di quest’ultima prima dell’emanazione della decisione controversa.

76 Dall’insieme di queste considerazioni risulta che il primo motivo è infondato.

Sul secondo e sul terzo motivo

77 Il secondo e il terzo motivo, attinenti, rispettivamente, ad una violazione dell’art. 1, n. 4, della posizione comune 2001/931 e ad un errore di diritto commesso nella valutazione dei principi relativi al diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, sono diretti contro la seconda parte della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha esaminato e giudicato fondati tali motivi, sollevati dinanzi ad esso dalla PMOI.

78 A questo proposito occorre dichiarare che, dopo aver statuito, al punto 47 della sentenza impugnata, che la decisione controversa doveva essere annullata a causa della violazione dei diritti della difesa della PMOI, al punto 48 di tale sentenza il Tribunale ha ritenuto che, sebbene in tali circostanze non fosse necessario pronunciarsi sugli altri motivi del ricorso, esso avrebbe comunque esaminato il secondo e il terzo motivo dedotti in considerazione della loro importanza riguardo al diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva.

79 Orbene, secondo una giurisprudenza costante, la Corte respinge di primo acchito le censure mosse contro una motivazione di una sentenza del Tribunale formulata ad abundantiam, poiché siffatte censure non possono comportare l’annullamento di tale sentenza e sono quindi inconferenti (v., in particolare, sentenze 2 settembre 2010, causa C‑399/08 P, Commissione/Deutsche Post, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 75, e 29 marzo 2011, causa C‑96/09 P, Anheuser-Busch/Budějovický Budvar, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 211 nonché la giurisprudenza citata).

80 Pertanto, occorre dichiarare che il secondo e il terzo motivo sono inconferenti.

81 Dato che nessuno dei motivi sollevati dalla Repubblica francese è stato accolto, occorre respingere il ricorso di impugnazione.

Sulle spese

82 A tenore dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 dello stesso, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la PMOI ne ha fatto domanda, la Repubblica francese, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1) L’impugnazione è respinta.

2) La Repubblica francese è condannata alle spese.