domenica 27 novembre 2011

(C-430/10) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - DIRETTIVA 2004/38/CE - DIVIETO DI LASCIARE IL TERRITORIO NAZIONALE A CAUSA DI CONDANNA PENALE IN UN ALTRO PAESE - TRAFFICO DI STUPEFACENTI - MISURA GIUSTIFICABILE DA MOTIVI DI ORDINE PUBBLICO

(C-430/10) SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA - DIRETTIVA 2004/38/CE - DIVIETO DI LASCIARE IL TERRITORIO NAZIONALE A CAUSA DI CONDANNA PENALE IN UN ALTRO PAESE - TRAFFICO DI STUPEFACENTI - MISURA GIUSTIFICABILE DA MOTIVI DI ORDINE PUBBLICO
La Corte di Giustizia - sollecitata da una domanda pregiudiziale proposta nell’ambito di una controversia tra un cittadino bulgaro e il direttore della direzione generale «Polizia di sicurezza» del Ministero degli Interni bulgaro, in merito ad una misura di divieto di uscita dal territorio e di rilascio di passaporto o di altro documento analogo adottata dal direttore della polizia nei confronti del predetto cittadino - ha stabilito che gli artt. 21 TFUE e 27 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non ostano ad una normativa nazionale che consenta restrizioni al diritto di un cittadino di uno Stato membro di spostarsi sul territorio di un altro Stato membro a causa, in particolare, di una condanna penale subita dal medesimo in altro Stato per il delitto di traffico di stupefacenti, subordinatamente alle seguenti condizioni: a) in primo luogo, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società; b) in secondo luogo, che la misura restrittiva prevista sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto sia necessario al suo conseguimento; c) in terzo luogo, che la misura medesima possa costituire oggetto di sindacato giurisdizionale effettivo in modo da verificarne la legittimità, in fatto e in diritto, con riguardo alle esigenze del diritto dell’Unione. Nella motivazione, in particolare, la Corte di Giustizia ha osservato che la presenza di una sola precedente condanna penale dell’interessato non è sufficiente per ritenere, in modo automatico, che questi rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, di per sé idonea a giustificare una restrizione ai diritti attribuitigli dal diritto dell’Unione. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio procedere ai rilievi necessari al riguardo, sulla base degli elementi di fatto e di diritto che, nella causa principale, hanno motivato la misura adottata dal direttore della polizia.

Testo Completo:

La Corte di Giustizia - sollecitata da una domanda pregiudiziale proposta nell’ambito di una controversia tra un cittadino bulgaro e il direttore della direzione generale «Polizia di sicurezza» del Ministero degli Interni bulgaro, in merito ad una misura di divieto di uscita dal territorio e di rilascio di passaporto o di altro documento analogo adottata dal direttore della polizia nei confronti del predetto cittadino - ha stabilito che gli artt. 21 TFUE e 27 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non ostano ad una normativa nazionale che consenta restrizioni al diritto di un cittadino di uno Stato membro di spostarsi sul territorio di un altro Stato membro a causa, in particolare, di una condanna penale subita dal medesimo in altro Stato per il delitto di traffico di stupefacenti, subordinatamente alle seguenti condizioni: a) in primo luogo, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società; b) in secondo luogo, che la misura restrittiva prevista sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto sia necessario al suo conseguimento; c) in terzo luogo, che la misura medesima possa costituire oggetto di sindacato giurisdizionale effettivo in modo da verificarne la legittimità, in fatto e in diritto, con riguardo alle esigenze del diritto dell’Unione. Nella motivazione, in particolare, la Corte di Giustizia ha osservato che la presenza di una sola precedente condanna penale dell’interessato non è sufficiente per ritenere, in modo automatico, che questi rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, di per sé idonea a giustificare una restrizione ai diritti attribuitigli dal diritto dell’Unione. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio procedere ai rilievi necessari al riguardo, sulla base degli elementi di fatto e di diritto che, nella causa principale, hanno motivato la misura adottata dal direttore della polizia.

Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 17 novembre 2011

Nel procedimento C‑430/10,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dall’Administrativen sad Sofia-grad (Bulgaria), con ordinanza 11 agosto 2010, pervenuta in cancelleria il 2 settembre 2010, nella causa

Hristo Gaydarov

contro

Direktor na Glavna direktsia «Ohranitelna politsia» pri Ministerstvo na vatreshnite raboti,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. J.‑C. Bonichot (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra A. Prechal, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Commissione europea, dalla sig.ra D. Maidani e dal sig. V. Savov, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione, in primo luogo, dell’art. 27, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), in secondo luogo, del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 15 marzo 2006, n. 562, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU L 105, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 562/2006»), e, in terzo luogo, della Convenzione d’applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 (in prosieguo: la «CAAS»).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Gaydarov, cittadino bulgaro, ed il direktor na Glavna direktsia «Ohranitelna politsia» pri Ministerstvo na vatreshnite raboti (direttore della direzione generale «Polizia di sicurezza» del Ministero degli Interni bulgaro; in prosieguo: il «direttore della polizia»), in merito ad una misura di divieto di uscita dal territorio e di rilascio di passaporto o di altro documento analogo adottato dal direttore della polizia nei confronti del sig. Gaydarov.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

La direttiva 2004/38

3 La direttiva 2004/38 si applica, a norma del suo articolo 3, n. 2, a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari.

4 L’art. 4, nn. 1 e 3, di detta direttiva così recita:

«1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.

(...)

3. Gli Stati membri rilasciano o rinnovano ai loro cittadini, ai sensi della legislazione nazionale, una carta d’identità o un passaporto dai quali risulti la loro cittadinanza».

5 Il successivo art. 27, nn. 1‑3, così dispone:

«1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

3. Al fine di verificare se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, in occasione del rilascio dell’attestato d’iscrizione o, in mancanza di un sistema di iscrizione, entro tre mesi dalla data di arrivo dell’interessato nel suo territorio o dal momento in cui ha dichiarato la sua presenza nel territorio in conformità dell’articolo 5, paragrafo 5, ovvero al momento del rilascio della carta di soggiorno, lo Stato membro ospitante può, qualora lo giudichi indispensabile, chiedere allo Stato membro di origine, ed eventualmente agli altri Stati membri, informazioni sui precedenti penali del cittadino dell’Unione o di un suo familiare. Tale consultazione non può avere carattere sistematico. Lo Stato membro consultato fa pervenire la propria risposta entro un termine di due mesi».

Il regolamento n. 562/2006

6 Ai sensi del quinto ‘considerando’ del regolamento n. 562/2006:

«La definizione di un regime comune in materia di attraversamento delle frontiere da parte delle persone non mette in discussione né pregiudica i diritti in materia di libera circolazione di cui godono i cittadini dell’Unione e i loro familiari nonché i cittadini dei paesi terzi e i loro familiari che, in virtù di accordi conclusi tra la Comunità e i suoi Stati membri, da un lato, e detti paesi terzi, dall’altro, beneficiano di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione».

7 A termini del ventesimo ‘considerando’ del regolamento medesimo:

«Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Dovrebbe essere attuato nel rispetto degli obblighi degli Stati membri in materia di protezione internazionale e di non respingimento».

8 L’art. 3 del regolamento medesimo così dispone:

«Il presente regolamento si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio:

a) dei diritti dei beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione;

(...)».

9 Il successivo art. 7, n. 6, così recita:

«Le verifiche sui beneficiari del diritto comunitario alla libera circolazione sono effettuate a norma della direttiva 2004/38/CE».

La CAAS

10 A termini dell’art. 71 della CAAS:

«1. Le Parti contraenti si impegnano, relativamente alla cessione diretta o indiretta di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, nonché alla detenzione di detti prodotti e sostanze allo scopo di cederli o di esportarli, ad adottare, conformemente alle vigenti convenzioni delle Nazioni Unite (...), tutte le misure necessarie a prevenire ed a reprimere il traffico illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope.

2. Le Parti contraenti si impegnano a prevenire ed a reprimere, mediante provvedimenti amministrativi e penali, l’esportazione illecita di stupefacenti e di sostanze psicotrope, compresa la cannabis, nonché la cessione, la fornitura e la consegna di detti prodotti e sostanze (...).

(...)

5. Per quanto riguarda la lotta contro la domanda illecita di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, le Parti contraenti si adopereranno con ogni mezzo per prevenire e lottare contro gli effetti negativi della domanda illecita. Ciascuna Parte contraente è responsabile delle misure adottate a tal fine».

La normativa nazionale

La Costituzione bulgara

11 Ai sensi dell’art. 35, n. 1, della Costituzione bulgara:

«Ciascuno ha il diritto di scegliere liberamente la propria residenza, di circolare nel territorio del paese e di uscire dai suoi confini. Questo diritto può essere limitato solo ex lege ai fini della tutela della sicurezza nazionale, della salute pubblica, nonché dei diritti e delle libertà di altri cittadini».

La legge sui documenti personali bulgari

12 L’art. 23, nn. 2 e 3, della legge sui documenti personali bulgari (Zakon za balgarskite litschni dokumenti, DV, 11 agosto 1998, n. 93), come modificata nel 2006 (DV n. 105; in prosieguo: la «ZBLD»), così dispone:

«2. Ogni cittadino bulgaro ha il diritto di lasciare il Paese, anche con una carta d’identità, attraverso le frontiere della Repubblica di Bulgaria con gli Stati membri dell’Unione europea nonché nei casi previsti dai trattati internazionali, e di farvi ritorno.

3. Il diritto di cui al n. 2 può subire solo le limitazioni previste dalla legge che abbiano lo scopo di tutelare la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la salute dei cittadini o i diritti e le libertà di altri cittadini».

13 A termini del successivo art. 76 della ZBLD:

«È possibile vietare alle persone di seguito indicate di lasciare il Paese e non rilasciare loro passaporti ovvero documenti sostitutivi:

(...)

5. coloro che, nel corso del loro soggiorno in un altro Stato, abbiano commesso violazioni delle sue leggi, per un periodo di due anni a decorrere dal ricevimento della comunicazione ufficiale del Ministero degli Esteri ovvero di documenti delle autorità competenti dello Stato interessato concernenti il riaccompagnamento o l’espulsione, nei quali sia precisata la violazione commessa».

14 La ZBLD è stata modificata con legge pubblicata sulla gazzetta ufficiale bulgara N. 82/2009, entrata in vigore il 1º gennaio 2010. Tale legge ha abrogato l’art. 76, n. 5, disponendo, secondo quanto riferito dal giudice del rinvio, che le misure adottate in precedenza sulla base di tale disposizione avrebbero perso la loro validità decorsi tre mesi dall’entrata in vigore della legge stessa.

Causa principale e questioni pregiudiziali

15 Il sig. Gaydarov, cittadino bulgaro, veniva condannato in Serbia, il 2 ottobre 2008, ad una pena detentiva di nove mesi per trasporto illegale di stupefacenti.

16 Il 6 novembre 2008, le autorità bulgare ricevevano, per via diplomatica, una nota menzionante tale condanna.

17 Sulla base di tale informazione, conformemente all’art. 76, n. 5, della ZBLD, il direttore della polizia adottava, in data 13 novembre 2008, un provvedimento di divieto di uscita dal territorio e di rilascio di passaporto o di altro documento analogo nei confronti del sig. Gaydarov.

18 Tale decisione veniva notificata all’interessato il 16 settembre 2009, data alla quale aveva già scontato la pena detentiva in Serbia ed aveva fatto quindi ritorno in Bulgaria.

19 Il sig. Gaydarov contestava tale decisione dinanzi al giudice del rinvio deducendo, secondo quanto riferito dal giudice medesimo, di essere stato già condannato in un altro paese e sostenendo l’inapplicabilità della legge bulgara nei suoi confronti. Il direttore della polizia affermava, dal canto suo, di essersi attenuto alle disposizioni dell’art. 76, n. 5, della ZBLD.

20 A parere del giudice del rinvio, l’autorità amministrativa competente esercita tale facoltà con discrezionalità. Il controllo giurisdizionale di tale decisione si limita alla verifica della sussistenza della comunicazione o dei documenti ufficiali menzionati in tale articolo. La suprema Corte amministrativa avrebbe recentemente confermato tale giurisprudenza con riguardo ad un ricorso proposto avverso analoga decisione adottata nei confronti di un cittadino bulgaro condannato in Spagna (sentenza 16 aprile 2010 n. 5013).

21 Il giudice del rinvio dubita della compatibilità della disposizione di cui trattasi della ZBLD con il diritto dell’Unione il quale, a norma degli artt. 20 TFUE e 21 TFUE, nonché dell’art. 45, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della direttiva 2004/38, sancisce il diritto dei cittadini dell’Unione – status di cui beneficia il sig. Gaydarov – di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Il giudice medesimo rilevava tuttavia che, a norma dell’art. 27 di tale direttiva, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione per motivi di ordine pubblico o di salute pubblica. Il giudice del rinvio rileva peraltro che un provvedimento di divieto di uscita dal territorio, come quello oggetto nella causa principale, si fonda sull’obbligo, imposto agli Stati membri dall’art. 71 della CAAS, di adottare misure di controllo alle frontiere esterne per lottare contro il trasposto e l’uso illecito di stupefacenti. Infine, il giudice medesimo si interroga sull’applicabilità dei criteri indicati all’art. 27 della direttiva 2004/38 ad un cittadino bulgaro, tenuto conto che tale direttiva è stata trasposta in Bulgaria solo per quanto attiene al rilascio dei documenti d’identità, ma non nella parte riguardante la libertà, per i cittadini bulgari, di spostarsi in un altro Stato membro.

22 Ciò premesso, l’Administrativen sad Sofia-grad decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 27, nn. 1 e 2, della direttiva 2004/38/CE debba essere interpretato, nelle circostanze della causa principale, nel senso che esso sia applicabile nel caso in cui venga vietato ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il territorio del proprio Stato, per aver commesso in uno Stato terzo un reato avente ad oggetto stupefacenti, in presenza delle seguenti circostanze:

– le menzionate disposizioni della direttiva non sono state espressamente trasposte dallo Stato membro per i propri cittadini;

– i motivi previsti dal legislatore nazionale per l’individuazione delle finalità legittime che giustificano una limitazione della libertà di circolazione di cittadini bulgari si fondano sul regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 15 marzo 2006, n. 562, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen); e

– i provvedimenti amministrativi sono applicati in base all’art. 71 della [CAAS], alla luce del quinto e del ventesimo ‘considerando’ del regolamento n 562/2006.

2) Se, dalle limitazioni previste per l’esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, nonché dai provvedimenti adottati per la loro attuazione conformemente con il diritto dell’Unione, tra cui l’art. 71, nn. 1, 2 e 5 della [CAAS], nel combinato disposto con il quinto ed il ventesimo ‘considerando’ del regolamento n. 562/2006, risulti, nelle circostanze della causa principale, ammissibile una normativa nazionale che consenta ad uno Stato membro di applicare il provvedimento amministrativo coercitivo di «non lasciare il Paese» ad un proprio cittadino per aver commesso un reato avente ad oggetto sostanze stupefacenti, laddove il cittadino de quo sia stato condannato da un giudice di uno Stato terzo in ragione di tale fatto.

3) Se le limitazioni e le condizioni previste per l’esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, nonché i provvedimenti adottati per la loro attuazione conformemente al diritto dell’Unione, tra cui l’art. 71, nn. 1, 2 e 5 della [CAAS], nel combinato disposto con il quinto ed il ventesimo ‘considerando’ del regolamento n. 562/2006, nelle circostanze della causa principale, debbano essere interpretate nel senso che, con la condanna di un cittadino di uno Stato membro da parte di un giudice di uno Stato terzo per un atto avente ad oggetto stupefacenti qualificato, in base al diritto dello Stato membro medesimo, quale reato grave, venga previsto, per motivi di prevenzione generale e speciale, inclusa la garanzia di un più alto livello di tutela della salute altrui in base al principio di precauzione, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società e, in particolare, per un periodo precisamente determinato per legge e non collegato con la durata dell’espiazione della pena inflitta, ma rientrante nell’ambito del termine di riabilitazione».

Sulle questioni pregiudiziali

23 Con le questioni pregiudiziali, che appare opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il diritto dell’Unione osti ad una decisione amministrativa con cui uno Stato membro vieti ad un proprio cittadino di lasciare il proprio territorio sulla base del rilievo che il cittadino medesimo sia stato oggetto di condanna penale disposta dal giudice di un paese terzo per il traffico di stupefacenti.

24 Si deve rilevare, in primo luogo, che, quale cittadino bulgaro, il sig. Gaydarov gode, per effetto dell’art. 20 TFUE, dello status di cittadino dell’Unione e può quindi invocare, anche nei confronti del proprio Stato membro di origine, i diritti inerenti a tale status, in particolare il diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, quale riconosciuto dall’art. 21 TFUE (v., in particolare, sentenze 10 luglio 2008, causa C‑33/07, Jipa, Racc. pag. I‑5157, punto 17, e 5 maggio 2011, causa C‑434/09, McCarthy, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 48).

25 Si deve precisare, in secondo luogo, che il diritto alla libera circolazione comprende sia il diritto per i cittadini dell’Unione europea di entrare in uno Stato membro diverso da quello di cui sono originari, sia il diritto di lasciare quest’ultimo. Infatti, come la Corte ha già avuto occasione di sottolineare, le libertà fondamentali garantite dal Trattato sarebbero vanificate se lo Stato membro di origine, senza una valida giustificazione, potesse vietare ai suoi cittadini di lasciare il suo territorio per entrare nel territorio di un altro Stato membro (v. sentenza Jipa, cit., punto 18).

26 L’art. 4, n. 1, della direttiva 2004/38 dispone peraltro espressamente che ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità ha il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro.

27 Ne consegue che una fattispecie, come quella riguardante il sig. Gaydarov, quale descritta supra ai punti 15‑18, ricade nella sfera del diritto di libera circolazione e di libero soggiorno dei cittadini dell’Unione negli Stati membri e, pertanto, nella sfera di applicazione della direttiva 2004/38.

28 A tal riguardo si deve rilevare, come ha fatto la Commissione europea, che il regolamento n. 562/2006, come emerge dal suo quinto ‘considerando’ e dal suo art. 3, lett. a), non ha per oggetto e non può avere ad effetto di restringere la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione, quale prevista dal Trattato FUE. L’art. 7, n. 6, di tale regolamento dispone, inoltre, che le verifiche sui beneficiari del diritto alla libera circolazione sancito dal diritto dell’Unione vengono effettuate a norma della direttiva 2004/38.

29 In terzo luogo, si deve rammentare che il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione non è incondizionato, ma può essere subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato nonché dalle relative disposizioni di attuazione (v., segnatamente, sentenza Jipa, cit., punto 21 nonché la giurisprudenza ivi citata).

30 Per quanto attiene alla causa principale, tali limitazioni e condizioni risultano, in particolare, dall’art. 27, n. 1, della direttiva 2004/38. Tuttavia, tale disposizione non consente agli Stati membri di restringere la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari se non per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica.

31 Secondo il giudice del rinvio, la legge nazionale recante trasposizione della direttiva non si applica ai cittadini della Repubblica di Bulgaria. Tuttavia, tale circostanza non può produrre l’effetto di impedire al giudice nazionale di garantire la piena efficacia delle norme del diritto dell’Unione, con eventuale disapplicazione di una disposizione di diritto nazionale contraria a quest’ultimo, e, in particolare, all’art. 27 della direttiva 2004/38 (v. in tal senso, segnatamente, sentenza 5 ottobre 2010, causa C‑173/09, Elchinov, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31, e la giurisprudenza ivi citata), fermo restando che le disposizioni di tale articolo, incondizionate e sufficientemente precise, possono essere invocate da un singolo nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino (v., per analogia, sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn, Racc. pag. 1337, punti 9‑15).

32 Infine, secondo consolidata giurisprudenza, se è vero che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali – che possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra – le esigenze di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, resta il fatto che, nel contesto dell’Unione, specie laddove autorizzino una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, tali esigenze devono essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione (v., segnatamente, sentenza Jipa, cit., punto 23).

33 In tal senso la Corte ha precisato che la nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (v., segnatamente, sentenza Jipa, cit., punto 23, e la giurisprudenza ivi citata).

34 In tale contesto le deroghe alla libera circolazione delle persone che possono essere invocate da uno Stato membro implicano, in particolare, come emerge dall’art. 27, n. 2, della direttiva 2004/38, che i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere fondati, per poter essere giustificati, esclusivamente sul comportamento personale del soggetto nei riguardi del quale vengono applicati, mentre giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non possono essere prese in considerazione (sentenza Jipa, cit., punto 24). Inoltre, a termini della stessa disposizione, l’esistenza di condanne penali antecedenti non può di per sé motivare misure automatiche che limitino l’esercizio del diritto alla libera circolazione.

35 A tal riguardo, se è pur vero che l’art. 71 della CAAS obbliga gli Stati aderenti a lottare contro il traffico di stupefacenti, tale convenzione non ha né per oggetto né per effetto di derogare alle norme sancite dal Trattato e dalla direttiva 2004/38 in materia di libera circolazione dei cittadini dell’Unione. L’art. 134 della CAAS precisa d’altronde che le sue disposizioni sono applicabili solo nella misura in cui siano compatibili con il diritto dell’Unione. Tale norma è stata riprodotta dal protocollo di Schengen il quale, al terzo punto del preambolo, conferma che le disposizioni dell’acquis di Schengen sono applicabili solo se e nella misura in cui esse siano compatibili con il diritto dell’Unione (sentenza 31 gennaio 2006, causa C‑503/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑1097, punto 34).

36 Nel caso in esame, si deve necessariamente rilevare che la fattispecie sottesa alla causa principale, quale esposta dal giudice del rinvio, non sembra rispondere ai requisiti fissati dall’art. 27, n. 2, della direttiva 2004/38.

37 In particolare, dagli atti trasmessi alla Corte dal giudice del rinvio emerge che la decisione controversa adottata nei confronti del ricorrente sembra fondarsi esclusivamente sulla condanna penale da questi subita in Serbia, ad esclusione di qualsiasi valutazione specifica del comportamento personale dell’interessato.

38 Sotto quest’ultimo profilo e al fine di rispondere in termini esaustivi alla terza questione posta dal giudice del rinvio, si deve precisare che, come emerge dalle considerazioni esposte supra, la sola precedente condanna penale dell’interessato non è sufficiente per ritenere, in modo automatico, che questi rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, di per sé idonea a giustificare una restrizione ai diritti attribuitigli dal diritto dell’Unione.

39 Tuttavia, spetta al giudice del rinvio procedere ai rilievi necessari a tal riguardo, sulla base degli elementi di fatto e di diritto che, nella causa principale, hanno motivato la misura adottata dal direttore della polizia.

40 Nell’ambito di tale valutazione, il giudice a quo dovrà parimenti accertare se tale limitazione al diritto di uscita sia atto a garantire la realizzazione dell’obiettivo da essa perseguito e non vada al di là di quanto necessario per il suo raggiungimento. Infatti, dall’art. 27, n. 2, della direttiva 2004/38, nonché dalla costante giurisprudenza della Corte, emerge che una misura restrittiva del diritto alla libera circolazione può essere giustificata solamente qualora rispetti il principio di proporzionalità (v. in tal senso, segnatamente, sentenza Jipa, cit., punto 29, nonché la giurisprudenza ivi citata).

41 Infine, atteso che, secondo quanto esposto dal giudice del rinvio in ordine alla normativa nazionale all’epoca applicabile e, segnatamente, alla giurisprudenza secondo cui l’autorità amministrativa dispone di un potere discrezionale nell’adozione di tale genere di misure senza controllo giurisdizionale sulla scelta così operata, si deve precisare che la persona oggetto di tale misura deve disporre di rimedi giurisdizionali effettivi (v., in particolare, sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punti 18 e 19; 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14, e 25 luglio 2002, causa C‑50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I‑6677, punto 39). Tali rimedi devono consentire la verifica in fatto e in diritto della legittimità della decisione di cui trattasi con riguardo al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 luglio 2011, causa C‑69/10, Samba Diouf, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57). L’efficacia di tali rimedi giurisdizionali presuppone che l’interessato possa conoscere la motivazione della decisione adottata nei suoi confronti, vuoi in base alla lettura della decisione stessa vuoi a seguito di comunicazione della motivazione effettuata su sua richiesta, fermo restando il potere del giudice competente di richiedere all’amministrazione di cui trattasi la comunicazione della motivazione medesima (v. in tal senso, segnatamente, sentenze Heylens, cit., punto 15, e 17 marzo 2011, cause riunite C‑372/09 e C‑373/09, Peñarroja Fa, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 63).

42 Le questioni pregiudiziali devono essere quindi risolte nel senso che gli artt. 21 TFUE e 27 della direttiva 2004/38 non ostano ad una normativa nazionale che consenta restrizioni al diritto di un cittadino di uno Stato membro di spostarsi sul territorio di un altro Stato membro a causa, in particolare, di una condanna penale subita dal cittadino medesimo in un altro Stato per traffico di stupefacenti, subordinatamente alla condizione, in primo luogo, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società, in secondo luogo, che la misura restrittiva prevista sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto sia necessario al suo conseguimento, e, in terzo luogo, che la misura medesima possa costituire oggetto di sindacato giurisdizionale effettivo che consenta di verificarne la legittimità, in fatto e in diritto, con riguardo alle esigenze del diritto dell’Unione.

Sulle spese

43 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

Gli artt. 21 TFUE e 27 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE non ostano ad una normativa nazionale che consenta restrizioni al diritto di un cittadino di uno Stato membro di spostarsi sul territorio di un altro Stato membro a causa, in particolare, di una condanna penale subita dal cittadino medesimo in un altro Stato per traffico di stupefacenti, subordinatamente alla condizione, in primo luogo, che il comportamento personale di tale cittadino costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società, in secondo luogo, che la misura restrittiva prevista sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto sia necessario al suo conseguimento, e, in terzo luogo, che la misura medesima possa costituire oggetto di sindacato giurisdizionale effettivo che consenta di verificarne la legittimità, in fatto e in diritto, con riguardo alle esigenze del diritto dell’Unione.