mercoledì 14 settembre 2011

A parere dell’avvocato generale Bot i periodi di soggiorno compiuti da un cittadino dell’Unione nel territorio di uno Stato membro ospitante, sulla sola base del diritto nazionale, devono essere computati nel calcolo della durata del soggiorno ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente in tale territorio

Conclusioni dell’avvocato generale nelle cause riunite C-424/10 Ziolkowski e C-425/10 Szeja e a.
A parere dell’avvocato generale Bot i periodi di soggiorno compiuti da un cittadino dell’Unione nel territorio di uno Stato membro ospitante, sulla sola base del diritto nazionale, devono essere computati nel calcolo della durata del soggiorno ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente in tale territorio
Anche periodi di soggiorno compiuti anteriormente all’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino devono essere presi in considerazione
La direttiva sulla libera circolazione delle persone 1 stabilisce come e a quali condizioni i cittadini europei possono esercitare il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri.
Essa attua un sistema su tre livelli, a seconda della durata del soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante. Prevede innanzitutto che un cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi, senza dover rispettare alcuna particolare condizione. Inoltre, l’acquisizione di un diritto di soggiorno di più di tre mesi è subordinata al rispetto di determinate condizioni: il cittadino dell’Unione deve essere un lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante o disporre, per sé e per i suoi familiari, di risorse sufficienti (in modo tale da non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale di tale Stato) e di un’assicurazione nel medesimo Stato che copra tutti i rischi. La direttiva istituisce infine un diritto di soggiorno permanente − non soggetto alle condizioni di cui sopra − per i cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.
Il sig. Ziolkowski e la sig.ra Szeja, cittadini polacchi, si sono trasferiti in Germania prima dell’adesione della Polonia all’Unione, rispettivamente nel 1988 e nel 1989. In base al diritto tedesco hanno ottenuto un diritto di soggiorno per ragioni umanitarie, regolarmente prorogato per le stesse ragioni. Dopo l’adesione della Polonia all’Unione, essi hanno chiesto alle autorità tedesche il diritto di soggiorno permanente. A seguito del rifiuto che è stato loro opposto, con la motivazione che non erano lavoratori né erano in grado di dimostrare di disporre di risorse proprie sufficienti, essi hanno proposto ricorso dinanzi ai competenti giudici tedeschi.
Il Bundesverwaltungsgsgericht (Corte federale amministrativa, Germania), investito della controversia, chiede in sostanza alla Corte di giustizia se periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale, ivi compreso il periodo antecedente all’adesione della Polonia all’Unione, possano essere considerati periodi di soggiorno legale ai sensi del diritto dell’Unione ed essere pertanto computati nel calcolo della durata del soggiorno del cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente.
L’avvocato generale Yves Bot ricorda innanzitutto che le disposizioni della direttiva sulla libera circolazione delle persone non pregiudicano le disposizioni nazionali più favorevoli. Ciò vale in particolare per il diritto di soggiorno concesso per ragioni umanitarie, senza che sia preso in considerazione il livello di risorse della persona interessata. Sembra pertanto che, specificando ciò, senza precisare che tali disposizioni nazionali più favorevoli sarebbero escluse dal meccanismo di acquisizione del diritto di soggiorno permanente, in realtà la direttiva, forse implicitamente, ma necessariamente, le abbia convalidate ai fini di tale meccanismo.
L’avvocato generale considera poi che le disposizioni della direttiva non possono essere interpretate in modo restrittivo e non devono in nessun caso essere private del loro effetto utile. La volontà del legislatore dell’Unione è di giungere, per i cittadini dell’Unione che presentino i requisiti per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, ad una completa uguaglianza con i cittadini nazionali. Il legislatore muove dal presupposto che, dopo un periodo sufficientemente lungo di residenza nello Stato membro ospitante, il cittadino dell’Unione abbia sviluppato stretti legami con tale Stato e sia divenuto parte integrante della sua società. Non si può contestare che ciò avvenga nel caso in cui i legami tra l’individuo e lo Stato membro ospitante si creino nell’ambito di relazioni di solidarietà umana, come nel caso di specie.
L’avvocato generale precisa altresì che il grado di integrazione del cittadino dell’Unione non dipende dal fatto che il suo diritto di soggiorno derivi dal diritto dell’Unione o dal diritto nazionale. Esso non dipende nemmeno dalla sua situazione materiale, allorché essa è stata presa in considerazione e gestita dallo Stato membro ospitante per un periodo superiore a quello stabilito dalla direttiva (vale a dire 5 anni), fatto che ha per l'appunto costituito una manifestazione della sua integrazione.
L’avvocato generale Bot considera infine che la direttiva sulla libera circolazione delle persone contiene norme che si impongono agli Stati membri e che, una volta rispettate, faranno sì che essi non possano più opporsi al riconoscimento del diritto di soggiorno permanente. Allo stesso tempo, e tenuto conto del suo scopo, tale direttiva non impedisce agli Stati di prevedere norme proprie più favorevoli che possano accelerare il processo di integrazione e di coesione sociale.
Di conseguenza, l’avvocato generale propone alla Corte di interpretare la direttiva nel senso che i periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale debbano essere computati nel calcolo della durata del soggiorno di un cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente in tale territorio.
Da ultimo, egli invita la Corte a dichiarare che anche periodi di soggiorno compiuti da un cittadino europeo anteriormente all’adesione del suo Stato d’origine all’Unione devono essere computati ai fini del calcolo per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.
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1 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).