giovedì 10 marzo 2011

Secondo l’avvocato generale Yves Bot, le cellule totipotenti che hanno l’intrinseca capacità di evolversi in un essere umano completo devono essere qualificate da un punto di vista giuridico come embrioni umani e, pertanto, deve esserne esclusa la brevettabilità

Secondo l’avvocato generale Yves Bot, le cellule totipotenti che hanno l’intrinseca capacità di evolversi in un essere umano completo devono essere qualificate da un punto di vista giuridico come embrioni umani e, pertanto, deve esserne esclusa la brevettabilità
Nemmeno un procedimento che utilizza cellule staminali embrionali di diverso tipo, dette cellule pluripotenti, può essere brevettato ove richieda, preventivamente, la distruzione o l’alterazione dell’embrione
Il sig. Oliver Brüstle è titolare di un brevetto, depositato il 19 dicembre 1997, relativo a cellule progenitrici 1 neurali 2 isolate e depurate, prodotte a partire da cellule staminali embrionali umane utilizzate per curare le malattie neurologiche. Secondo le indicazioni fornite dal sig. Brüstle, esistono già prime applicazioni cliniche, segnatamente su pazienti affetti dal morbo di Parkinson.
A seguito della domanda presentata da Greenpeace eV, il Bundespatentgericht (Tribunale federale in materia di brevetti, Germania) ha dichiarato la nullità del brevetto del sig. Brüstle, nella parte in cui verte su procedimenti che consentono di ottenere cellule progenitrici a partire da cellule staminali di embrioni umani.
Il Bundesgerichtshof (Corte federale di cassazione, Germania), adito in appello dal sig. Brüstle, ha deciso di sospendere il giudizio e di chiedere che la Corte di giustizia si pronunzi sull’interpretazione, in particolare, della nozione di «embrione umano», non definita dalla direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche 3. Si tratta di sapere se l'esclusione della brevettabilità dell'embrione umano riguardi tutti gli stadi della vita a partire dalla fecondazione dell'ovulo o se debbano essere soddisfatte altre condizioni, ad esempio che sia raggiunto un determinato stadio di sviluppo.
In via preliminare, l’avvocato generale Yves Bot sottolinea che la Corte è chiamata a pronunciarsi, per la prima volta, sulla nozione di «utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali» prevista dalla direttiva 98/44. Dopo aver spiegato inizialmente che è consapevole dell’estrema delicatezza che riveste tale questione e dell’importanza delle sfide filosofiche, morali, umane, economiche e finanziarie, l’avvocato generale inizia la sua analisi giuridica sottolineando che si deve dare una definizione autonoma dell’embrione, propria del diritto dell’Unione, dal momento che la direttiva persegue scopi di armonizzazione, al fine di introdurre una protezione efficace e armonizzata delle invenzioni biotecnologiche. Questa analisi è d’altronde suffragata dalle prime interpretazioni giurisprudenziali della Corte relative alla normativa in parola.
Dopo aver rilevato le significative differenze esistenti tra le normative degli Stati membri e l’impossibilità - allo stato attuale delle conoscenze scientifiche - di utilizzare un siffatto criterio che possa essere ammesso da tutti gli Stati membri, l’avvocato generale fa riferimento al disposto della direttiva che (al suo art. 5, n. 1) tutela il «corpo umano, ai diversi stadi della sua costituzione e del suo sviluppo».
Egli osserva quindi che la caratteristica essenziale delle cellule totipotenti, che compaiono sin dalla fusione dei gameti e che sussistono in tale forma solo nei primi giorni dello sviluppo, consiste nel fatto che ciascuna di esse ha la capacità di evolversi in un essere umano completo. Quindi, dal momento che tali cellule costituiscono il primo stadio del corpo umano che diverranno, le stesse devono essere giuridicamente qualificate come embrioni, la cui brevettabilità dovrà essere esclusa. Rientrano pertanto in tale definizione gli ovuli non fecondati in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula matura e gli ovuli non fecondati stimolati a separarsi attraverso la partenogenesi, qualora con queste modalità vengano ottenute cellule totipotenti.
Parimenti, deve essere attribuita la qualifica di embrione alla blastocisti – stadio successivo dello sviluppo embrionale considerato in un determinato momento, ossia circa cinque giorni dopo la fecondazione – in quanto, secondo l’avvocato generale, il principio della dignità umana, cui fa riferimento la direttiva 4, si applica non soltanto alla persona umana esistente, al bambino che è nato, ma anche al corpo umano a partire dal primo stadio del suo sviluppo, ossia da quello della fecondazione.
Per contro, le cellule staminali embrionali pluripotenti, prese isolatamente, non rientrano nella nozione di embrione poiché non sono individualmente più in grado di svilupparsi per divenire un individuo completo. Esse possono «soltanto» differenziarsi in vari organi, elementi del corpo umano. Sono queste le cellule interessate dall’invenzione su cui verte il brevetto del sig. Brüstle, considerato che il loro prelievo dall’embrione viene effettuato allo stadio della blastocisti.
Tuttavia, non si può evitare di prendere in considerazione l’origine di siffatta cellula pluripotente. Che essa provenga da un qualsivoglia stadio dell’evoluzione del corpo umano non è di per sé un problema, alla sola condizione che il suo prelievo non comporti la distruzione di tale corpo umano nella fase della sua evoluzione in cui il prelievo è effettuato. Secondo l’avvocato generale, si deve quindi concordare sul fatto che le invenzioni riguardanti le cellule pluripotenti possono essere brevettabili solo se possono essere ottenute senza provocare un danno per un embrione, che si tratti della sua distruzione o della sua alterazione.
Dare un’applicazione industriale ad un’invenzione che utilizza cellule staminali embrionali significherebbe utilizzare gli embrioni umani come un banale materiale di partenza, il che sarebbe contrario all’etica e all’ordine pubblico.
In conclusione, l’avvocato generale reputa che un’invenzione non possa essere brevettabile quando l’attuazione del procedimento richiede, preventivamente, sia la distruzione di embrioni umani, sia la loro utilizzazione come materiale di partenza, anche qualora, al momento della domanda di brevetto, la descrizione del detto procedimento non contenga alcun riferimento all’utilizzo di embrioni umani.
L’avvocato generale rammenta tuttavia che la brevettabilità delle utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali non è vietata, in forza della direttiva, soltanto ove riguardi le invenzioni aventi un fine terapeutico o diagnostico che si applicano e che sono utili all’embrione umano – ad esempio per correggere una malformazione e migliorare le sue possibilità di vita.