mercoledì 9 marzo 2011

Secondo l’avvocato generale Ján Mazák il rifiuto assoluto, da parte della società di prodotti cosmetici Pierre-Fabre, di consentire ai propri distributori francesi di vendere i propri prodotti su Internet è sproporzionato

Secondo l’avvocato generale Ján Mazák il rifiuto assoluto, da parte della società di prodotti cosmetici Pierre-Fabre, di consentire ai propri distributori francesi di vendere i propri prodotti su Internet è sproporzionato
A tale divieto non può essere applicata l’esenzione per categoria, ma esso potrebbe – a determinate condizioni – beneficiare dell’esenzione individuale ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE
L’art. 81 CE (divenuto art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea) vieta gli accordi che hanno per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza. L’art. 81, n. 3, CE stabilisce, a determinate condizioni, un’esenzione per gli accordi che migliorano la distribuzione dei beni o promuovono il progresso economico. Inoltre, una serie di regolamenti dispone che taluni tipi di accordi possono usufruire di un’esenzione per categoria. Uno di tali regolamenti, il Regolamento di esenzione per categoria degli accordi verticali 1 prevede un’esenzione per categoria applicabile agli accordi di distribuzione che soddisfano determinati criteri. Questo regolamento contiene peraltro un elenco di cosiddette «restrizioni gravi», che non possono beneficiare dell’esenzione per categoria.
La Pierre Fabre Dermo-Cosmétique («PFDC»), produce un’ampia gamma di prodotti cosmetici e per l’igiene personale. I contratti di distribuzione della PFDC in Francia relativi ai marchi Avène, Klorane, Galénic e Ducray comprendono una clausola in forza della quale tutte le vendite devono essere effettuate in uno spazio fisico e in presenza di un laureato in farmacia, restringendo così di fatto tutte le forme di vendita via Internet.
Nell’ottobre 2008, a seguito di un’indagine, il Conseil de la concurrence (Consiglio francese per la Concorrenza), ora Autorité de la Concurrence (Autorità francese per la Concorrenza), ha dichiarato che gli accordi di distribuzione della PFDC, vietando di fatto tutte le vendite su Internet, costituivano accordi anticoncorrenziali che violavano il Codice del Commercio francese, nonché il diritto della concorrenza dell’UE. Il Consiglio per la concorrenza ha affermato che la PFDC limitava la libertà commerciale dei suoi distributori e restringeva la scelta dei consumatori, concludendo che tale comportamento equivaleva ad un divieto di vendite attive o passive. Il Consiglio per la concorrenza ha pertanto dichiarato che il divieto di vendite su Internet aveva necessariamente per oggetto la limitazione della concorrenza e integrava una restrizione grave alla quale non poteva essere applicata l’esenzione per categoria. Il Consiglio per la concorrenza ha inoltre affermato che agli accordi di distribuzione non poteva essere applicata un’esenzione individuale ai sensi dell'art. 81, n. 3, CE, poiché la PFDC non aveva dimostrato il progresso economico né che la restrizione della concorrenza fosse indispensabile.
La PFDC ha impugnato questa decisione dinanzi alla Cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), la quale ha chiesto alla Corte di giustizia se il divieto generale ed assoluto di vendite su Internet costituisca una restrizione «grave» della concorrenza per oggetto, se tale accordo possa beneficiare di un’esenzione per categoria e se gli si possa applicare un’esenzione individuale a norma dell’art. 81, n. 3, CE. Nelle sue conclusioni in data odierna, l’avvocato generale Ján Mazák giunge in primo luogo alla conclusione che un divieto generale e assoluto di vendere su Internet nel contesto di una rete di distribuzione selettiva, che ecceda quanto obiettivamente necessario per distribuire prodotti in maniera adeguata tenendo conto delle loro caratteristiche materiali, della loro aura e della loro immagine, ha un oggetto restrittivo della concorrenza e rientra nell’art. 81, n. 1, CE.
A questo proposito, l'avvocato generale ritiene oggettivamente infondata l’affermazione della PFDC secondo cui il divieto sarebbe giustificato da motivi di sanità pubblica, in quanto l’uso corretto dei suoi prodotti richiederebbe il consiglio di un farmacista. Secondo l'avvocato generale, è chiaro che i prodotti in esame non sono prodotti medicinali e che non esistono disposizioni che obblighino a venderli in uno spazio fisico ed esclusivamente in presenza di un laureato in farmacia.
Per quanto riguarda l’obiettivo di preservare l’immagine di lusso dei prodotti di bellezza in questione, l'avvocato generale Mazák osserva che, in passato, la Corte di giustizia ha dichiarato che gli accordi di distribuzione selettiva possono essere giustificati per preservare l’aura e l’immagine dei prodotti in esame. Pur riconoscendo che i prodotti cosmetici e per l’igiene personale, in linea di principio, si prestano ad un accordo di distribuzione selettiva e che la presenza di un farmacista può migliorare l’immagine di tali prodotti, l'avvocato generale ritiene tuttavia che il giudice nazionale debba esaminare se un divieto generale ed assoluto di vendite su Internet sia proporzionato. A suo avviso, dato che il produttore potrebbe imporre condizioni adeguate, ragionevoli e non discriminatorie sulle vendite via Internet, tutelando in tal modo l’immagine dei suoi prodotti, un divieto generale e assoluto di vendite su Internet potrebbe essere proporzionato solo in circostanze realmente eccezionali. L'avvocato generale suggerisce che il giudice nazionale esamini se informazioni e consigli possano essere adeguatamente forniti via Internet. Inoltre, l'avvocato generale rileva che un divieto di vendite su Internet esclude un moderno strumento di distribuzione, che consentirebbe ai clienti che si trovano al di fuori del bacino di riferimento di un punto di vendita fisico di acquistare tali prodotti, il che, insieme alla trasparenza dei prezzi che le vendite su Internet comportano, accresce la concorrenza all’interno del marchio.
L'avvocato generale Mazák afferma poi che, a suo parere, siffatto divieto di vendite su Internet restringe sia le vendite attive sia le vendite passive, impedendo di avvalersi di un moderno strumento di comunicazione e commercializzazione. Pertanto, esso costituisce una restrizione grave ai sensi del Regolamento sull’esenzione per categoria degli accordi verticali e, in quanto tale, non può beneficiare dell’esenzione da esso prevista. A questo riguardo, l'avvocato generale non condivide l’affermazione della PFDC secondo cui le vendite su Internet devono essere considerate vendite a partire da un luogo di stabilimento (virtuale) non autorizzato.
Da ultimo, l'avvocato generale ricorda che qualsiasi accordo anticoncorrenziale che restringa la concorrenza e sia, in linea di principio, vietato dell'art. 81, n. 1, CE, può beneficiare, in linea di massima, dell’esenzione stabilita dell'art. 81, n. 3, CE. Per determinare se tale situazione si verifichi, il giudice del rinvio deve verificare se l’accordo in oggetto soddisfa i quattro criteri contenuti in tale disposizione: in primo luogo, esso deve contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti in oggetto o promuovere il progresso tecnico o economico; in secondo luogo, una congrua parte dell’utile che ne deriva deve essere riservata ai consumatori; in terzo luogo, non deve imporre alle parti dell’accordo restrizioni non indispensabili e, in quarto luogo, non deve fornire la possibilità di eliminare la concorrenza. Tuttavia, dato che dal fascicolo sottoposto alla Corte non risultano elementi sufficienti sul punto, l'avvocato generale Mazák ritiene che la Corte non sia in condizione di fornire al giudice del rinvio indicazioni più specifiche al riguardo.