mercoledì 17 novembre 2010

COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE - MANDATO D'ARRESTO EUROPEO - MOTIVI DI RIFIUTO - PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM - NOZIONE DI "STESSI FATTI"

COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE - MANDATO D'ARRESTO EUROPEO - MOTIVI DI RIFIUTO - PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM - NOZIONE DI "STESSI FATTI"
La Corte di Giustizia si è pronunciata su due questioni pregiudiziali poste alla sua attenzione dalla Corte d’appello regionale di Stoccarda in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI (in forza del quale un mandato d’arresto europeo non deve essere eseguito se la persona ricercata è già stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti e tale sentenza, in caso di condanna, è stata eseguita, è in fase di esecuzione o non può più essere eseguita): a) con la prima di tali questioni si chiedeva di stabilire se la nozione di «stessi fatti» di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro debba essere interpretata nel senso che la stessa fa riferimento al diritto dello Stato membro emittente o a quello dello Stato membro di esecuzione o, ancora, se essa debba costituire oggetto di un’interpretazione autonoma; b) con la seconda questione, la predetta autorità ha chiesto inoltre di verificare se tale nozione si applichi alla fattispecie in cui le autorità inquirenti, al momento della pronuncia della condanna della persona ricercata per un singolo episodio di detenzione di stupefacenti, disponevano già della prova della sua partecipazione ad un traffico più ampio, ma avevano deciso, per motivi legati a scelte strategiche nella conduzione delle indagini, di non promuovere l’azione penale nei suoi confronti con riferimento a tale partecipazione. Nell’ambito del procedimento - che ha tratto origine da un m.a.e. emesso dall’autorità giudiziaria italiana nei confronti di un cittadino italiano residente in Germania, ed accusato di aver partecipato ad un traffico di cocaina organizzato tra la Germania e l’Italia - il presupposto della domanda di pronuncia pregiudiziale poggiava, da un lato, sul fatto che il ricercato era stato condannato da un giudice italiano per il reato di detenzione illecita di cocaina, e, dall’altro, sul fatto che le autorità inquirenti italiane sembravano disporre già, al momento di tale condanna, di informazioni sufficienti per incriminarlo per il reato di partecipazione al traffico di stupefacenti oggetto del mandato d’arresto europeo. La Corte ha stabilito, a tale riguardo: 1) che la nozione di «stessi fatti», di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro sopra citata costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione; 2) che nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria emittente, rispondendo ad una richiesta di informazioni formulata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, abbia espressamente rilevato, in applicazione della propria legge nazionale e nel rispetto delle esigenze derivanti dalla nozione di «stessi fatti» consacrata nell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, che la precedente decisione pronunciata nel proprio ordinamento giuridico non costituisce una sentenza definitiva riguardante gli stessi fatti oggetto del proprio mandato di arresto e non osta quindi al perseguimento dei reati ivi indicati, l’autorità giudiziaria di esecuzione non ha alcun motivo per applicare, in relazione a quella pronuncia, il motivo di non esecuzione obbligatoria previsto dall’art. 3, n. 2, della menzionata decisione quadro. Ad avviso della Corte, in particolare, la natura «definitiva» di una sentenza va stabilita secondo il diritto dello Stato membro in cui tale sentenza è stata pronunciata. Conseguentemente, una decisione che, secondo l’ordinamento dello Stato membro che ha avviato un procedimento penale, non estingue definitivamente l’azione penale a livello nazionale per taluni fatti, non puo’ costituire un ostacolo all’avvio o al proseguimento di un procedimento penale, per gli stessi fatti, in un altro Stato membro dell’Unione

Testo Completo: La Corte di Giustizia si è pronunciata su due questioni pregiudiziali poste alla sua attenzione dalla Corte d’appello regionale di Stoccarda in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI (in forza del quale un mandato d’arresto europeo non deve essere eseguito se la persona ricercata è già stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti e tale sentenza, in caso di condanna, è stata eseguita, è in fase di esecuzione o non può più essere eseguita): a) con la prima di tali questioni si chiedeva di stabilire se la nozione di «stessi fatti» di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro debba essere interpretata nel senso che la stessa fa riferimento al diritto dello Stato membro emittente o a quello dello Stato membro di esecuzione o, ancora, se essa debba costituire oggetto di un’interpretazione autonoma; b) con la seconda questione, la predetta autorità ha chiesto inoltre di verificare se tale nozione si applichi alla fattispecie in cui le autorità inquirenti, al momento della pronuncia della condanna della persona ricercata per un singolo episodio di detenzione di stupefacenti, disponevano già della prova della sua partecipazione ad un traffico più ampio, ma avevano deciso, per motivi legati a scelte strategiche nella conduzione delle indagini, di non promuovere l’azione penale nei suoi confronti con riferimento a tale partecipazione. Nell’ambito del procedimento - che ha tratto origine da un m.a.e. emesso dall’autorità giudiziaria italiana nei confronti di un cittadino italiano residente in Germania, ed accusato di aver partecipato ad un traffico di cocaina organizzato tra la Germania e l’Italia - il presupposto della domanda di pronuncia pregiudiziale poggiava, da un lato, sul fatto che il ricercato era stato condannato da un giudice italiano per il reato di detenzione illecita di cocaina, e, dall’altro, sul fatto che le autorità inquirenti italiane sembravano disporre già, al momento di tale condanna, di informazioni sufficienti per incriminarlo per il reato di partecipazione al traffico di stupefacenti oggetto del mandato d’arresto europeo. La Corte ha stabilito, a tale riguardo: 1) che la nozione di «stessi fatti», di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro sopra citata costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione; 2) che nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria emittente, rispondendo ad una richiesta di informazioni formulata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, abbia espressamente rilevato, in applicazione della propria legge nazionale e nel rispetto delle esigenze derivanti dalla nozione di «stessi fatti» consacrata nell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, che la precedente decisione pronunciata nel proprio ordinamento giuridico non costituisce una sentenza definitiva riguardante gli stessi fatti oggetto del proprio mandato di arresto e non osta quindi al perseguimento dei reati ivi indicati, l’autorità giudiziaria di esecuzione non ha alcun motivo per applicare, in relazione a quella pronuncia, il motivo di non esecuzione obbligatoria previsto dall’art. 3, n. 2, della menzionata decisione quadro. Ad avviso della Corte, in particolare, la natura «definitiva» di una sentenza va stabilita secondo il diritto dello Stato membro in cui tale sentenza è stata pronunciata. Conseguentemente, una decisione che, secondo l’ordinamento dello Stato membro che ha avviato un procedimento penale, non estingue definitivamente l’azione penale a livello nazionale per taluni fatti, non puo’ costituire un ostacolo all’avvio o al proseguimento di un procedimento penale, per gli stessi fatti, in un altro Stato membro dell’Unione

Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 16 novembre 2010

Nel procedimento C‑261/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 35 UE, proposta dall’Oberlandesgericht Stoccarda (Germania), con decisione 29 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 14 luglio 2009, nella causa relativa all‘esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso nei confronti di

Gaetano Mantello,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e J.‑C. Bonichot, presidenti di sezione, dai sigg. M. Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus, E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay Larsen, dalle sig.re C. Toader (relatore) e M. Berger, giudici,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU L 190, pag. 1; in prosieguo: la «decisione quadro») e, in particolare, sul principio del ne bis in idem.

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito dell’esecuzione in Germania di un mandato di arresto europeo relativo a taluni procedimenti penali intentati dalle autorità italiane nei confronti del sig. Mantello e di altre 76 persone sospette di aver organizzato un traffico di cocaina nella regione di Vittoria (Italia).

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3 I ‘considerando’ primo, quinto, ottavo, decimo, nonché dodicesimo della decisione quadro così recitano:

«(1) In base alle conclusioni del Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ed in particolare il punto 35, è opportuno abolire tra gli Stati membri la procedura formale di estradizione per quanto riguarda le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato.

(…)

(5) L’obiettivo dell’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. Inoltre l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. Le classiche relazioni di cooperazione finora esistenti tra Stati membri dovrebbero essere sostituite da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale, sia intervenute in una fase anteriore alla sentenza, sia definitive, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

(…)

«(8) Le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo devono essere sottoposte a un controllo sufficiente, il che implica che l’autorità giudiziaria dello Stato membro in cui la persona ricercata è stata arrestata dovrà prendere la decisione relativa alla sua consegna».

(…)

(10) Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea, constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, dello stesso trattato, e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo.

(…)

(12) La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea e contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (...), segnatamente il capo VI. Nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d’arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.

(...)».

4 L’art. 1 della decisione quadro così dispone:

«1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

5 A termini dell’art. 2, nn. 1 e 2, della decisione quadro:

«1. Il mandato d’arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativ[a] della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi.

2. Danno luogo a consegna in base al mandato d’arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni:

– partecipazione a un’organizzazione criminale,

(…)

– traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope,

(…)»

6 La decisione quadro, all’art. 3, intitolato «Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo», prevede quanto segue:

«L’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione (in prosieguo: “autorità giudiziaria dell’esecuzione”) rifiuta di eseguire il mandato d’arresto europeo nei casi seguenti:

(…)

2) se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna; (...).

(…)».

7 L’art. 15 della decisione quadro, intitolato «Decisione sulla consegna», così dispone:

«1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro.

2. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17.

3. L’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione».

8 L’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «CAAS»), firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 luglio 1990, così recita:

«Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita».

9 Ai termini del successivo art. 57, nn. 1 e 2, della CAAS:

«1. Quando una persona è imputata di un reato in una Parte contraente e le autorità competenti di questa Parte contraente hanno motivo di ritenere che l’imputazione riguarda gli stessi fatti per i quali la persona è già stata giudicata in un’altra Parte contraente con sentenza definitiva, tali autorità, qualora lo ritengano necessario, chiederanno le informazioni rilevanti alle autorità competenti della Parte contraente sul cui territorio la sentenza è stata pronunciata.

2. Le informazioni richieste saranno fornite al più presto possibile e saranno tenute in considerazione nel decidere se il procedimento deve continuare».

10 Dall’informazione relativa alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 1° maggio 1999 (GU L 114, pag. 56), risulta che la Repubblica federale di Germania ha effettuato una dichiarazione ai sensi dell’art. 35, n. 2, UE, con la quale ha accettato la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale secondo le modalità di cui all’art. 35, n. 3, lett. b), UE.

Le normative nazionali

La normativa tedesca

11 L’art. 3, n. 2, della decisione quadro è stato trasposto nel diritto tedesco dall’art. 83, n. 1, della legge 23 dicembre 1982 sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale [Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (IRG)], nel testo risultante dalla legge sul mandato d’arresto europeo 20 luglio 2006 [Europäisches Haftbefehlsgesetz – BGBI. I, pag. 1721 (EuHbG)]. Tale articolo, rubricato «Ulteriori requisiti di ammissibilità», così recita:

«L’estradizione non è ammissibile, qualora

1. la persona ricercata sia stata già giudicata in un altro Stato membro con sentenza definitiva per gli stessi fatti oggetto della domanda di estradizione, a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata già eseguita o sia in fase di esecuzione ovvero non possa più essere eseguita in forza della legge dello Stato membro della condanna (…).

(…)»

La normativa italiana

12 Gli artt. 73 e 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope», prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, così dispongono:

«Articolo 73. Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

1. Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope (…) è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.

(…)

6. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata.

Articolo 74. Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope

1. Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.

2. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.

3. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci (…).

(…)»

13 Ai sensi dell’art. 649 del codice di procedura penale italiano, «[l’]imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze».

14 Secondo le indicazioni del governo italiano, dalla giurisprudenza della Corte suprema di cassazione emerge che la «preclusione di cui all’art. 649 del codice di procedura penale non può essere invocata qualora il fatto, in relazione al quale sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, configuri un’ipotesi di concorso formale di reati, in quanto la condotta, già definitivamente valutata in un precedente giudizio penale, può essere riconsiderata come elemento di fatto e inquadrata, con valutazione diversa o anche alternativa, in una più ampia fattispecie incriminatrice».

I fatti e il procedimento nella causa principale

15 Il 7 novembre 2008, il Tribunale di Catania, Sezione del Giudice per le indagini preliminari, emetteva un mandato d’arresto europeo (in prosieguo: il «mandato di arresto») a carico del sig. Mantello, fondato su un mandato d’arresto nazionale dello stesso Tribunale di Catania, emesso il 5 settembre 2008 nei confronti del medesimo nonché di altri 76 coimputati.

16 Nel mandato d’arresto europeo, il sig. Mantello veniva accusato di due fatti.

17 Da un lato, nel periodo compreso tra il gennaio 2004 ed il novembre 2005, egli avrebbe partecipato, nell’ambito di un’associazione per delinquere formata da almeno altre dieci persone, a un traffico di cocaina organizzato a Vittoria, nonché in altre città italiane e in Germania. Il sig. Mantello non si sarebbe limitato a svolgere il ruolo di corriere e di mediatore, ma sarebbe stato altresì incaricato del procacciamento di cocaina e del relativo commercio. Orbene, a termini dell’art. 74, commi 1 e 3, del DPR n. 309/90, tali fatti sono passibili, nell’ordinamento italiano, di una pena reclusiva della durata minima di 20 anni.

18 Dall’altro, nel medesimo periodo e nelle stesse località, agendo singolarmente o come complice, egli sarebbe entrato illegittimamente in possesso e avrebbe trasportato, venduto o ceduto cocaina a terzi. Per tali fatti, la legge italiana prevede per il reo una pena reclusiva compresa tra 8 e 20 anni, oltre eventuali aggravanti.

19 In tale contesto, nei confronti del sig. Mantello venivano fatte valere circostanze aggravanti, considerato che questi aveva ceduto, tramite la rete di vendita, cocaina ad un minore.

20 Secondo le indicazioni fornite nel mandato d’arresto nazionale, varie autorità italiane, a partire dal mese di gennaio 2004, svolgevano indagini su un traffico illecito di cocaina nella zona di Vittoria. Tali indagini sono consistite, in particolare, in intercettazioni telefoniche su ampia scala che hanno consentito di acclarare l’esistenza di una rete organizzata, comprendente due associazioni criminali, il che implicava l’applicabilità dell’art. 74 del DPR n. 309/90. Peraltro, le intercettazioni delle conversazioni telefoniche del sig. Mantello nel periodo compreso tra il 19 gennaio e il 13 settembre 2005 confermavano la sua partecipazione a tale rete. Egli veniva altresì pedinato dalle autorità inquirenti in occasione di alcuni suoi spostamenti, in particolare tra la Sicilia e Milano il 28 luglio nonché il 12 agosto 2005, e tra la Sicilia, Esslingen (Germania) e Catania il 12 settembre 2005.

21 In occasione di quest’ultimo spostamento, il sig. Mantello acquistava 150 g di cocaina a Esslingen e, al suo ritorno, la sera del 13 settembre 2005, veniva fermato, mentre scendeva dal treno alla stazione di Catania, dalla polizia ferroviaria, che procedeva alla sua perquisizione scoprendo che trasportava due sacchetti contenenti, rispettivamente, 9,5 e 145,96 grammi di cocaina, corrispondenti a 599‑719 dosi individuali.

22 Con sentenza 30 novembre 2005, il Tribunale di Catania condannava il sig. Mantello alla pena reclusiva di anni tre, mesi sei, e giorni venti, nonché alla pena pecuniaria pari a EUR 13 000. Nella sua requisitoria, il pubblico ministero contestava al sig. Mantello di aver posseduto illecitamente, il 13 settembre 2005, 155,46 g di cocaina ai fini dell’ulteriore rivendita. Il Tribunale di Catania riteneva acquisita la prova dell’effettività di tali circostanze. Su richiesta del sig. Mantello, il Tribunale statuiva secondo il rito abbreviato, il che gli consentiva di ottenere una riduzione della pena. Con sentenza 18 aprile 2006, la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale.

23 Successivamente, il Tribunale di Catania riduceva per indulto la pena del sig. Mantello, ragion per cui questi ha effettivamente scontato una pena di soli 10 mesi e 20 giorni di reclusione beneficiando inoltre di una riduzione dell’ammenda.

24 Essendo giunta a conoscenza, il 3 dicembre 2008, del mandato d’arresto europeo in base al sistema informativo previsto dall’Accordo di Schengen (in prosieguo: il «SIS»), la Generalstaatsanwaltschaft Stuttgart (procura generale di Stoccarda) disponeva l’arresto del sig. Mantello presso la sua abitazione il 29 dicembre 2008, traducendolo dinanzi all’Amtsgericht Stuttgart. All’atto della comparizione, il sig. Mantello si opponeva alla sua consegna all’autorità giudiziaria emittente e non rinunciava ad avvalersi della regola della specialità. Su richiesta della detta procura generale, l’Oberlandesgericht Stuttgart chiedeva alle autorità italiane, con decisione 22 gennaio 2009, di verificare se la sentenza pronunciata dal Tribunale di Catania il 30 novembre 2005 non ostasse all’esecuzione del mandato d’arresto.

25 Non avendo ottenuto nessuna informazione dalle dette autorità, l’Oberlandesgericht Stuttgart, con decisione 20 marzo 2009, sospendeva il mandato d’arresto. Tenuto conto delle problematiche, tanto in fatto quanto in diritto, insite nella causa principale, il giudice medesimo assegnava peraltro al sig. Mantello un difensore d’ufficio.

26 Successivamente e in risposta alla richiesta di informazioni effettuata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania rispondeva infine, in data 4 aprile 2009, nella sua qualità di autorità giudiziaria emittente del mandato d’arresto, che la sentenza 30 novembre 2005 non ostava al perseguimento dei reati di cui al mandato d’arresto e che non si trattava, quindi, di una fattispecie che potesse ricadere nell’ambito del principio del «ne bis in idem». La procura generale di Stoccarda chiedeva pertanto al giudice del rinvio l’esecuzione del mandato d’arresto.

27 L’Oberlandesgericht Stuttgart si chiede, tuttavia, se possa opporsi all’esecuzione del mandato d’arresto emesso per i reati di criminalità organizzata tenuto conto del fatto che, a suo parere, al momento dell’inchiesta da cui è scaturita la condanna del sig. Mantello per detenzione di dosi di cocaina ai fini della rivendita, gli inquirenti italiani disponevano già di prove sufficienti per incolparlo ed incriminarlo per le imputazioni contenute nel mandato d’arresto europeo, segnatamente per il traffico di droga organizzato. Tuttavia, nell’interesse della conduzione delle indagini, al fine di poter smantellare tale traffico e arrestare gli altri soggetti implicati, dette autorità inquirenti non avrebbero comunicato al Giudice per le indagini preliminari le informazioni e le prove in loro possesso, né avrebbero chiesto, all’epoca, l’avvio di un procedimento penale per tali fatti.

28 Secondo il giudice del rinvio, nel diritto tedesco, come interpretato dal Bundesgerichtshof, un reato di associazione, in linea di principio, potrebbe essere ancora penalmente perseguito a posteriori se, da un lato, soltanto singole azioni del membro di tale organizzazione sono state oggetto della denuncia e dell’indagine giudiziaria precedenti e se, dall’altro, l’imputato non ha acquisito il legittimo affidamento sul fatto che il primo procedimento riguardasse tutte le azioni compiute nell’ambito dell’associazione. Il giudice del rinvio non sembra tuttavia condividere pienamente tale posizione del Bundesgerichtshof. Esso suggerisce, infatti, di aggiungere una terza condizione, vale a dire che, al momento della decisione giudiziaria sul fatto singolo, gli inquirenti ignorassero necessariamente la sussistenza di altri reati individuali e di un reato associativo, contrariamente a quanto, appunto, verificatosi per quanto riguarda le autorità inquirenti in Italia.

29 Il giudice medesimo rileva, peraltro, che, da un lato, nella causa principale non sussisterebbero elementi transnazionali, in quanto il potenziale «idem» sarebbe costituito da una pronuncia giudiziaria del medesimo Stato membro di emissione e non di un altro Stato membro. Dall’altro, tale giudice rileva che la nozione di «stessi fatti» non ha ancora costituito oggetto di una pronuncia della Corte nel contesto del mandato d’arresto europeo. Orbene, l’Oberlandesgericht si chiede, quindi, se la giurisprudenza elaborata nell’ambito della CAAS possa essere trasposta ad una fattispecie come quella oggetto della causa principale.

30 Ciò premesso, l’Oberlandesgericht Stuttgart ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se la questione relativa alla sussistenza degli “stessi fatti”, ai sensi dell’art. 3, n. 2, della [decisione quadro] debba essere risolta sulla base:

a) della legge dello Stato membro emittente, ovvero

b) della legge dello Stato membro di esecuzione, ovvero

c) di una interpretazione della nozione di “stessi fatti” autonoma e uniforme nell’Unione.

2) Se illecite importazioni di sostanze stupefacenti costituiscano, rispetto all’appartenenza ad una associazione a delinquere volta all’illecito traffico di stupefacenti, “stessi fatti” ai sensi dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, laddove le autorità inquirenti disponevano, al momento della pronuncia della sentenza sulle dette importazioni, di informazioni e di prove che alimentavano il forte sospetto dell’appartenenza ad un’associazione criminosa, omettendo tuttavia, per motivi tattici nella conduzione delle indagini, di sottoporre le relative informazioni e prove all’autorità giudiziaria e di promuovere la conseguente azione penale».

31 Su richiesta del giudice del rinvio, motivata dalla preoccupazione del giudice medesimo di non procrastinare i tempi della consegna sollecitata dalle autorità italiane, la sezione designata ha esaminato la necessità di sottoporre il presente procedimento alla procedura d’urgenza prevista dall’art. 104 ter del regolamento di procedura della Corte. Con decisione 20 luglio 2009, adottata a termini del n. 1, quarto comma, del detto articolo, la Sezione designata, sentito l’avvocato generale, ha deciso di non accogliere la richiesta.

Sulle questioni pregiudiziali

32 Con le questioni pregiudiziali il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se, in circostanze come quelle oggetto della causa principale, possa opporsi all’esecuzione del mandato d’arresto sulla base dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro.

33 Infatti, dal primo quesito pregiudiziale, riguardante la questione se la nozione di «stessi fatti» di cui al detto art. 3, n. 2, costituisca una nozione autonoma del diritto dell’Unione, emerge, che, a parere del giudice del rinvio, qualora tale nozione dovesse essere esaminata unicamente alla luce del diritto dello Stato membro di emissione o di quello dello Stato membro d’esecuzione, detto giudice sarebbe quindi tenuto a procedere alla consegna del sig. Mantello. Tale conclusione scaturisce dal fatto che, da un lato, nel diritto tedesco come interpretato dal Bundesgerichtshof, un reato di associazione, in linea di principio, può essere ancora penalmente perseguito a posteriori qualora, da un lato, soltanto singole azioni del membro di tale organizzazione, siano state oggetto della denuncia e dell’indagine giudiziaria precedenti e se l’imputato non abbia acquisito il legittimo affidamento sul fatto che il primo procedimento riguardasse tutte le azioni compiute nell’ambito dell’associazione. Dall’altro, alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione italiana, menzionata supra al punto 14 e nelle informazioni, riportate supra al punto 26, fornite al giudice del rinvio il 4 aprile 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, la sentenza 30 novembre 2005 pronunciata dal Tribunale medesimo, non osta, nel diritto italiano, al perseguimento per imputazioni come quelle contenute nel mandato d’arresto.

34 Per contro, qualora la nozione di «stessi fatti» di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro dovesse essere considerata quale nozione autonoma del diritto dell’Unione, il giudice del rinvio chiede, con il secondo quesito pregiudiziale, se, contrariamente ai diritti italiano e tedesco, come interpretati dai supremi giudici degli Stati medesimi, tale disposizione della decisione quadro esiga, al fine di consentire il perseguimento di una persona per un’imputazione più ampia di quella già oggetto di una sentenza definitiva riguardante una singola azione, che le autorità inquirenti ignorassero necessariamente, al momento della prima incriminazione da cui sia scaturita tale sentenza definitiva, l’esistenza di altri reati singoli e di un reato di associazione, diversamente da quanto, in realtà, accaduto nel caso delle autorità inquirenti italiane.

35 Si deve ricordare, in limine, che, come risulta in particolare dall’art. 1, nn. 1 e 2, della decisione quadro nonché dai suoi ‘considerando’ quinto e settimo, essa è intesa a sostituire il sistema multilaterale di estradizione tra gli Stati membri con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie di persone condannate o sospettate, ai fini dell’esecuzione di sentenze o dell’instaurazione di azioni penali, fondato sul principio del reciproco riconoscimento (sentenza 6 ottobre 2009, causa C‑123/08, Wolzenburg, Racc. pag. I‑9621, punto 56).

36 Il principio del riconoscimento reciproco, cui è improntata l’economia della decisione quadro, implica, a norma dell’art. 1, n. 2, di quest’ultima, che gli Stati membri sono, in linea di principio, tenuti a dar corso ad un mandato di arresto europeo (sentenza 1° dicembre 2008, causa C‑388/08 PPU, Leymann e Pustovarov, Racc. pag. I‑8983, punto 51).

37 Infatti, gli Stati membri possono rifiutare l’esecuzione di un mandato siffatto soltanto nel caso di non esecuzione obbligatoria previsto dall’art. 3 della decisione quadro nonché nei casi elencati dal successivo art. 4 (v., in tal senso, sentenza Leymann e Pustovarov, cit., punto 51).

38 A tal riguardo, la nozione di «stessi fatti» di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro non può essere lasciata alla discrezionalità delle autorità giudiziarie dei singoli Stati membri sulla base del loro diritto nazionale. Infatti, dalla necessità di garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione discende che i termini di una disposizione di tale diritto, laddove non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri con riguardo alla nozione medesima, devono essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme (v., per analogia, sentenza 17 luglio 2008, causa C‑66/08, Kozłowski, Racc. pag. I‑6041, punti 41 e 42). Essa costituisce, quindi, una nozione autonoma del diritto dell’Unione la quale, come tale, può costituire oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale da parte di qualsiasi giudice dinanzi al quale sia stata proposta una controversia a tal riguardo, nel rispetto delle condizioni stabilite nel titolo VII del protocollo n. 36 del TFUE relativo alle disposizioni transitorie.

39 Si deve rilevare che tale nozione di «stessi fatti» figura parimenti nell’art. 54 della CAAS. In tale contesto, detta nozione è stata interpretata nel senso della sola identità dei fatti materiali, ricomprendente un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti medesimi o dall’interesse giuridico tutelato (v. sentenze 9 marzo 2006, causa C‑436/04, Van Esbroeck, Racc. pag. I‑2333, punti 27, 32 e 36, e 28 settembre 2006, causa C‑150/05, Van Straaten, Racc. pag. I‑9327, punti 41, 47 e 48).

40 Alla luce dell’obbiettivo comune degli artt. 54 della CAAS e 3, n. 2, della decisione quadro, consistente nell’evitare che una persona venga nuovamente perseguita o giudicata penalmente per gli stessi fatti, si deve riconoscere che l’interpretazione di tale nozione fornita nell’ambito della CAAS si applica parimenti nel contesto della decisione quadro.

41 L’autorità giudiziaria di esecuzione, qualora giunga a conoscenza dell’esistenza, in uno Stato membro, di una sentenza definitiva per gli «stessi fatti» oggetto del mandato di arresto europeo notificatole, deve, a termini dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto medesimo, a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna.

42 Nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio fa presente di essere incline, prima facie, a considerare i fatti oggetto della sentenza definitiva 30 novembre 2005, vale a dire la detenzione da parte del sig. Mantello di 155,46 g di cocaina in data 13 settembre 2005 a Vittoria, differenti, con riguardo alla nozione di «stessi fatti», rispetto a quelli indicati nel mandato di arresto, vale a dire, da un lato, i fatti, ricompresi tra i mesi di gennaio 2004 e novembre 2005, relativi alla partecipazione del sig. Mantello all’organizzazione criminale in qualità di corriere, intermediario e responsabile per il procacciamento di stupefacenti, nonché, dall’altro, quelli relativi all’illecito possesso di droga nel corso dello stesso periodo e in varie città italiane e tedesche.

43 Si deve quindi ritenere che, in realtà, i quesiti del giudice del rinvio vertano piuttosto sulla nozione di «sentenza definitiva» che non su quella di «stessi fatti». Infatti, detto giudice si chiede se, considerato che le autorità inquirenti italiane disponevano, al momento dell’emanazione della sentenza 30 novembre 2005, di elementi probatori attinenti a fatti, ricompresi in un periodo intercorrente tra i mesi di gennaio 2004 e di novembre 2005, che avrebbero potuto consentire di dimostrare i reati di partecipazione del sig. Mantello all’organizzazione criminale nonché di illecita detenzione di droga, tale sentenza possa essere considerata nel senso che non solo costituisca una sentenza definitiva di condanna per i singoli fatti verificatisi il 13 settembre 2005 per i quali è stato accertato il reato di illecito possesso di sostanze stupefacenti destinate alla rivendita, bensì parimenti una sentenza che osti all’ulteriore perseguimento per reati del genere di quelli oggetto del mandato di arresto.

44 In altri termini, il giudice a quo si chiede se la circostanza che le autorità inquirenti disponessero di elementi di prova relativi a fatti costitutivi dei reati indicati nel mandato di arresto, ma non sottoposti al giudizio del Tribunale di Catania nel momento in cui questo si è pronunciato sui singoli fatti verificatisi il 13 settembre 2005, consenta di ritenere la sussistenza di una decisione assimilabile ad una sentenza definitiva per i fatti esposti nel mandato di arresto medesimo.

45 A tal riguardo, si deve rilevare che si ritiene che una persona ricercata sia stata oggetto di una sentenza definitiva per gli stessi fatti, ai sensi dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, quando, in esito ad un procedimento penale, l’azione penale sia definitivamente estinta (v., par analogia, sentenze 11 febbraio 2003, cause riunite C‑187/01 e C‑385/01, Gözütok e Brügge, Racc. pag. I‑1345, punto 30, nonché 22 dicembre 2008, causa C‑491/07, Turanský, Racc. pag. I‑11039, punto 32) ovvero qualora l’autorità giudiziaria di uno Stato membro abbia emanato una decisione di definitivo proscioglimento dell’imputato per i fatti contestatigli (v., per analogia, sentenze Van Straaten, cit., punto 61, nonché Turanský, cit., punto 33).

46 La natura «definitiva» di una sentenza, ai sensi dell’art. 3, n. 2, della decisione quadro rientra nella sfera del diritto dello Stato membro in cui tale sentenza è stata pronunciata.

47 In tal senso, una decisione che, secondo il diritto dello Stato membro che ha avviato un procedimento penale, non estingue definitivamente l’azione penale a livello nazionale per taluni fatti non può, in linea di principio, produrre l’effetto di costituire un ostacolo procedurale all’avvio o al proseguimento di un procedimento penale, per gli stessi fatti, a carico di tale persona in un altro Stato membro dell’Unione (v., per analogia, sentenza Turanský, cit., punto 36).

48 A tal riguardo, l’art. 15, n. 2, della decisione quadro, al pari del quadro di cooperazione previsto dall’art. 57 della CAAS, consente all’autorità giudiziaria di esecuzione di richiedere, all’autorità giudiziaria dello Stato membro sul cui territorio sia stata pronunciata una decisione, informazioni giuridiche sulla precisa natura della decisione medesima al fine di accertare se questa, alla luce del diritto di tale Stato, possieda natura tale da dover ritenere che essa abbia definitivamente estinto l’azione penale a livello nazionale (v., in tal senso, per analogia, sentenza Turanský, cit., punto 37).

49 Orbene, nella causa principale, il giudice del rinvio si è avvalso appunto del quadro di cooperazione previsto dall’art. 15, n. 2, della decisione quadro. L’autorità giudiziaria emittente ha espressamente indicato, nella propria risposta, che, in base al diritto italiano, l’imputato era stato oggetto di una sentenza definitiva riguardante singoli fatti di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, ma che le imputazioni oggetto del suo mandato di arresto si fondavano su fatti differenti, attinenti al reato di criminalità organizzata nonché ad altri reati di illecita detenzione di sostanze stupefacenti ai fini della loro rivendita, che non avevano costituito oggetto della sentenza 30 novembre 2005 pronunciata dallo stesso giudice emittente. In tal modo, benché le autorità inquirenti disponessero di talune informazioni in punto di fatto relative a tali reati, dalla risposta fornita dall’autorità giudiziaria emittente emerge che la prima sentenza del Tribunale di Catania non può essere considerata nel senso che essa abbia definitivamente estinto l’azione penale a livello nazionale con riguardo ai fatti oggetto del mandato di arresto.

50 Conseguentemente, in presenza di circostanze come quelle di cui trattasi nella causa principale in cui l’autorità giudiziaria emittente, rispondendo ad una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 15, n. 2, della decisione quadro formulata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, ha espressamente rilevato, fornendo relativa motivazione, che la propria precedente decisione non riguardava gli stessi fatti oggetto del suo mandato di arresto e non ostava, quindi, al perseguimento dei reati indicati nel mandato di arresto medesimo, detta autorità giudiziaria di esecuzione doveva trarre tutte le conseguenze dalle valutazioni espresse nella risposta dell’autorità giudiziaria emittente.

51 Alla luce delle suesposte considerazioni, la questione pregiudiziale dev’essere risolta nel senso che, ai fini dell’emissione e dell’esecuzione di un mandato di arresto europeo, la nozione di «stessi fatti» di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione. In presenza di circostanze come quelle oggetto della causa principale, in cui l’autorità giudiziaria emittente, rispondendo ad una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 15, n. 2, della decisione quadro formulata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, abbia espressamente rilevato, in applicazione della propria legge nazionale e nel rispetto delle esigenze derivanti dalla nozione di «stessi fatti» consacrata nell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, che la precedente decisione pronunciata nel proprio ordinamento giuridico non costituiva una sentenza definitiva riguardante gli stessi fatti oggetto del proprio mandato di arresto e non ostava, quindi, al perseguimento dei reati indicati nel mandato di arresto medesimo, l’autorità giudiziaria di esecuzione non ha alcun motivo per applicare, con riguardo alla sentenza medesima, il motivo di non esecuzione obbligatoria previsto dall’art. 3, n. 2, della menzionata decisione quadro.

Sulle spese

52 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Ai fini dell’emissione e dell’esecuzione di un mandato di arresto europeo, la nozione di «stessi fatti», di cui all’art. 3, n. 2, della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione.

In presenza di circostanze come quelle oggetto della causa principale, in cui l’autorità giudiziaria emittente, rispondendo ad una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 15, n. 2, della decisione quadro formulata dall’autorità giudiziaria di esecuzione, abbia espressamente rilevato, in applicazione della propria legge nazionale e nel rispetto delle esigenze derivanti dalla nozione di «stessi fatti» consacrata nell’art. 3, n. 2, della decisione quadro, che la precedente decisione pronunciata nel proprio ordinamento giuridico non costituiva una sentenza definitiva riguardante gli stessi fatti oggetto del proprio mandato di arresto e non ostava quindi al perseguimento dei reati indicati nel mandato di arresto medesimo, l’autorità giudiziaria di esecuzione non ha alcun motivo per applicare, con riguardo alla sentenza medesima, il motivo di non esecuzione obbligatoria previsto dall’art. 3, n. 2, della menzionata decisione quadro.