venerdì 26 novembre 2010

AUTORIZZANDO LA DENOMINAZIONE «CIOCCOLATO PURO» L'ITALIA HA VIOLATO IL DIRITTO DELL'UNIONE

AUTORIZZANDO LA DENOMINAZIONE «CIOCCOLATO PURO» L'ITALIA HA VIOLATO IL DIRITTO DELL'UNIONE
Una corretta informazione dei consumatori può essere garantita tramite l'indicazione nell'etichetta dell’assenza di grassi sostitutivi
Il diritto dell'Unione relativo all’etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato 1 armonizza le denominazioni di vendita di tali prodotti. Quando contengono fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao (detti sostitutivi), la loro denominazione resta immutata, ma la loro etichettatura deve contenere, in grassetto, la specifica dizione: «contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao».
Per i prodotti di cioccolato che contengono unicamente burro di cacao, è possibile indicare sull'etichettatura tale informazione, purché sia corretta, imparziale, obiettiva e non induca in errore il consumatore.
La normativa italiana 2 prevede la possibilità che la dicitura «cioccolato puro» sia aggiunta o integrata nelle denominazioni di vendita o sia indicata in altra parte dell’etichettatura dei prodotti che non contengono grassi vegetali sostitutivi e commina ammende (da 3000 a 8000 euro) in caso di violazione.
La Commissione ha presentato un ricorso per inadempimento contro l'Italia dinanzi alla Corte di giustizia, affermando che tale Stato membro ha introdotto una denominazione di vendita supplementare per i prodotti di cioccolato, a seconda che essi possano essere considerati «puri» o meno. Tale circostanza integrerebbe una violazione della direttiva e si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte. La Commissione ritiene che il consumatore debba essere informato circa la presenza o meno nel cioccolato di grassi vegetali sostitutivi mediante l'etichettatura e non tramite l'impiego di una distinta denominazione di vendita.
La Corte ricorda in via preliminare che l'Unione europea ha realizzato un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita dei prodotti di cacao e di cioccolato finalizzata a garantire l’unicità del mercato interno. Tali denominazioni sono al contempo obbligatorie e riservate ai prodotti elencati dalla normativa dell'Unione. Chiarito ciò, la Corte dichiara che questa disciplina non prevede né la denominazione di vendita «cioccolato puro» né l’introduzione di una siffatta denominazione da parte di un legislatore nazionale. Pertanto, la normativa italiana è in contrasto con il sistema delle denominazione di vendita istituito dal diritto dell'Unione.
La Corte rileva inoltre che il sistema di duplice denominazione instaurato dal legislatore italiano non rispetta neppure i requisiti del diritto dell’Unione relativi alla necessità che il consumatore disponga di un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva che non lo induca in errore. La Corte, infatti, ha già dichiarato 3 che l’aggiunta di grassi sostitutivi a prodotti di cacao e di cioccolato che rispettano i contenuti minimi previsti dalla normativa dell’Unione non può produrre l’effetto di modificarne sostanzialmente la natura al punto di trasformarli in prodotti diversi e, di conseguenza, non giustifica una distinzione delle loro denominazioni di vendita.
Per contro, precisa la Corte, secondo la normativa dell'Unione, l’inserimento in un’altra parte dell’etichetta di un’indicazione neutra ed obiettiva che informi i consumatori dell’assenza, nel prodotto, di grassi vegetali diversi dal burro di cacao sarebbe sufficiente a garantire un’informazione corretta dei consumatori.
Di conseguenza, la Corte dichiara che la normativa italiana, consentendo di mantenere due categorie di denominazioni di vendita che, in sostanza, designano il medesimo prodotto, è idonea ad indurre in errore il consumatore ed a ledere il suo diritto ad un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva.
La Corte statuisce quindi che l'Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione.
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IMPORTANTE: La Commissione o un altro Stato membro possono proporre un ricorso per inadempimento diretto contro uno Stato membro che è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio.
La Commissione, qualora ritenga che lo Stato membro non si sia conformato alla sentenza, può proporre un altro ricorso chiedendo sanzioni pecuniarie. Tuttavia, in caso di mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva alla Commissione, su domanda di quest’ultima, la Corte di giustizia può infliggere sanzioni pecuniarie, al momento della prima sentenza.
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1 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29) e direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 giugno 2000, 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GU L 197, pag. 19).
2 Legge 1° marzo 2002, n. 39, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001; nonché decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 178, di attuazione della direttiva 2000/36/CE.